Gaia conventi: narratrice di delitti
I segreti del noir umoristico spiegati direttamente da chi lo tratta. E così, dopo aver letto La morte in pentola, abbiamo deciso di sondare il terreno, andare “dietro le quinte” e incontrare l’autrice, la simpatica Gaia Conventi, che svela retro scena di qualche “ingrediente” e analizza alcuni particolari dei suoi delitti.
Il mondo della terza età: cos’ha di speciale? E come mai, secondo lei, diverte così tanto?
Ho avuto modo di conoscere il mondo degli anziani grazie alla nonna di mio marito, signora brillante ma dal carattere assai ostico. Attorno a lei, alle sue passeggiate quotidiane nel parchetto, alle sue lunghe telefonate alle amiche novantenni, ruotava un microcosmo che ho sempre trovato affascinante. I ricordi di una vita venivano narrati quotidianamente, fino a diventare fatti del giorno, ma antichi di decenni. Ho una passione per la favella fiabesca dei nonni, miei e altrui, starei ore ad ascoltarli. Le storie della guerra, le piccole meschinità coi vicini di casa, racconti di antenati emigrati in Argentina. Dietro ogni episodio ci sono secoli, fame patita ma grande forza d’animo. Credo che gli anziani siano un buon esempio di come va preso il mondo, con caparbietà. Perché tutto questo dovrebbe divertire il lettore? Perché probabilmente siamo in tanti ad essere piacevolmente colpiti dalle piccole stramberie dei nostri avi. Ad un nonno si perdona tutto, quando si è nonni si è un po’ bambini.
Gli ingredienti del suo libro sono la comicità e la tragedia: due opposti che difficilmente collimano. Qual è il segreto del successo di questo genere di nicchia secondo lei?
In ogni tragedia c’è qualcosa di comico, un po’ come la barzelletta di quello che cade dal grattacielo e ad ogni piano esclama “fin qui tutto bene!”. La vita è fatta di sfaccettature, non è tutto bello e non è tutto brutto, ma se la si sa prendere con filosofia, probabilmente il bicchiere è sempre mezzo pieno. Concordo nel dire che il genere è piuttosto di nicchia, del resto non riuscirei a scrivere un romanzo in cui si piange. Sono fatta così, sono una persona che ride molto e ama strappare un sorriso, c’è qualcosa di più bello di una sana risata?
Come mai ha deciso di ambientare a Ferrara, città d’arte e piuttosto tranquilla, questo giallo?
Sono ferrarese d’adozione, Ferrara l’ho conosciuta da studente fuori sede, me ne sono innamorata e non l’ho più lasciata. È una città paciosa, eppure ha alle spalle secoli piuttosto gravidi di efferatezze… gli Estensi non erano propriamente dei gentiluomini. È una città vivibile, ricca di fascino, è un’ambientazione che ricorre spesso nei miei gialli e noir. Cambiano i personaggi, raramente cambia la location. Diciamo che ho deciso di farne il mio marchio di fabbrica!
I personaggi bizzarri: le loro caratteristiche sono frutto di fantasia oppure di autentica realtà?
Molti personaggi hanno alle spalle una vita reale o sono mix di più persone. La Franca e la Iole (da notare il “la” anteposto ai nomi, a Ferrara è la regola) sono realmente esistite e, anzi, probabilmente le ho descritte meno bizzarre di quanto non fossero. In realtà credo che ognuno di noi abbia caratteristiche che il resto del mondo giudica un tantino strane. Insomma, ammettiamolo, nessuno è così “normale” come crede d’essere.
Come nascono i personaggi del suo libro?
In ogni libro i personaggi nascono per caso, un ricordo, uno spunto… all’improvviso arriva l’idea che mette tutto assieme e ne tira fuori una storia. Mi serviva una scusa buona per portare a spasso i personaggi e i lettori nella mia amata Ferrara. Da lì la scelta della gita, ma non una qualsiasi, ovviamente. Confesso che non ho mai partecipato a questo genere di viaggi, però ho una lunga esperienza di viaggi in pullman, merito di cinque anni in un liceo a qualche decina di chilometri da casa. Adoro scrivere gialli ambientati in spazi chiusi, è sempre una sfida. Per i personaggi minori mi sono guardata in giro, mi servivano figure facilmente riconoscibili, per evitare che il lettore si chiedesse ad ogni passo a chi mi stavo riferendo. Qualcuno di loro potrà sembrare una macchietta, ma spero d’aver dato ad ognuno una certa tridimensionalità.
Quali sono gli ingredienti per un buon giallo, secondo lei? E per un noir?
Un buon giallo è quello che si legge volentieri, in cui il lettore non perde il filo. Mai divagare troppo, si rischia di far calare la tensione. Una mia vicina di casa, signora tutta pizzi e crinoline, ottantenne amante del Giallo Mondadori, sostiene che i personaggi non devono mai essere troppi. “Sai”, mi confessò un giorno, “siamo soprattutto noi anziani ad avere tempo di leggere, se i personaggi sono tanti, facciamo confusione”. Credo sia una buona regola, buona per giovani e meno giovani, l’intrigo di un giallo assomiglia ad uno schema di parole crociate. Tutti i fatti devono incastrarsi e non si può barare col lettore omettendo indizi o puntando sul colpo di scena finale. Un noir ha caratteristiche similari ma scatena emozioni diverse. Ho avuto la fortuna di vincere il “Gran Giallo Città di Cattolica” con La morte scivola sotto la pelle, ho capito scrivendolo che sarebbe stato un buon racconto, mi dava l’angoscia! La stessa cosa posso dire di Oni il demone, sulla prossima antologia di Lama e Trama. Parlavo di harakiri e a fine stesura avevo mal di pancia. Direi che l’ingrediente principale di entrambi è e rimane la credibilità delle situazioni e dei personaggi. Per quanto riguarda il delitto il mio motto è “praticabile e riproducibile”… ma ovviamente non invito nessuno a mettere in pratica la faccenda!
Le pentole sembrano il “luogo” del delitto: c’è un messaggio recondito in questo particolare?
Confesso che ho scelto un titolo facilmente equivocabile, la cosa è stata fatta per ingannare ed attrarre. Diciamo che strizza l’occhio al più noto «Signori, il delitto è servito», trasposizione cinematografica del Cluedo.
C’è un messaggio particolare che vuole lanciare al suo pubblico?
Dico sempre che scrivo “gialli da spiaggia”, voglio tenere compagnia al lettore e nulla di più. Il mio messaggio è piuttosto semplice: sappiate ridere di tutto.