La globalizzazione raccontata a mia figlia – André Fourçans

In un testo scorrevole e accessibile a tutti quelli che vogliono tenersi informati sull’attualità e sugli eventi del mondo, sono esposti seriamente e con un tocco d’ironia allettante, le linee generali concernenti il problema della globalizzazione.

André Fourçans, professore di economia e di finanza presso la Scuola superiore di Scienze Economiche e Commerciali (Essec), quindi esperto in problemi economici e monetari, oltre che conferenziere internazionale e scrittore per la grande stampa francese e straniera, è stato membro del Consiglio economico e sociale, oltre che deputato europeo. Nel suo ultimo saggio scrive appunto alla figlia, tant’è che si esprime in seconda persona singolare, in una sorta di comunicato scritto, diviso in brevi capitoli, con domande alle quali risponde in tono simpatico e spiritoso, affrontando i temi più importanti dell’economia moderna.

Scrivere di un problema come quello della globalizzazione non è cosa da poco, perché ancora non si è instaurato un accordo preciso né sul significato del termine, né sulla sua datazione, né sul segno positivo o negativo dei suoi effetti. Inoltre si fa ancora fatica nel delimitarne le sfere di influenza, in termini geopolitici e settoriali.
Eppure l’economista, calandosi involontariamente nei panni di chi per la prima volta ne viene a conoscenza, nel suo testo ripercorre vicende durante la storia annesse al problema proprio per darne una visione globale. Se l’intento può sembrare quello di affrontare la problematica portando alla luce fenomeni connessi al progresso economico, il risultato è che, oltre al dibattito prodottosi, compare il desiderio di dare una esposizione di quello che sia e possa riguardare effettivamente la globalizzazione nell’impatto mondiale.

Dunque l’autore a chi indirizza questo saggio ironico-economico? Nel prologo è lui in primis che pone il quesito e risponde francamente: «È a questa giovane donna che io mi rivolgo. E attraverso te, a tutti coloro, dai 17 ai 97 anni, che hanno voglia di condividere il nostro viaggio»; quindi nell’immeditato coinvolge e rende complice il lettore, intendendo affrontare «le grandi questioni che agitano le nostre società e che scaldano il […] cervello […] di molti»; ma, sempre in seconda persona singolare rassicura:

stai tranquilla; non è mia intenzione giocare sullo Spirito Universale che racchiude l’insieme delle conoscenze. Né ho intenzione di cadere nello snobismo di casa nostra, dove basta essere esperti in un settore per reputare di essere esperti in tutto.

L’economista manifesta una personalità vivace, invitando genuinamente il lettore a leggere e guardare fra le righe, sorridere e pensare.

Del resto la «globalizzazione percorre tutte le nostre vie, ovunque esse conducano, ovunque esse si insinuino» e con inflessione ottimistica prosegue, rivolgendosi ancora alla figlia dicendo che si tratta sì di

problemi enormi. Ma […] in quest’inizio di millennio il futuro non è poi così buio come certi falsi profeti vorrebbero farci credere. Spero di riuscire a convincerti.

L’autore «utilizzando il metodo della confraternita, quella degli economisti» usa un «metodo fondato sull’analisi ma anche sull’osservazione dei fatti e dell’esperienza» e non manca l’umiltà di chi conosce se stesso, di chi sa porsi nel mondo con audacia, fermezza, dedizione, mettendosi in gioco e accettando i propri limiti. Rende nota anche l’intenzione di poggiarsi «sulle basi della conoscenza oggettiva, poiché, sì, essa esiste, anche se ha le sue incertezze e le sue zone d’ombra», ma senza tralasciare la sua «esperienza nazionale ed internazionale. Senza tuttavia aspirare all’infallibilità»; e si pronuncia alludendo a guisa di esortazione perché vorrebbe che ci «si divertisse con serietà».

Inoltre, ricollegandosi ai grandi artisti del passato, fa un paragone con se stesso: «Pare che al grande Renoir piacesse ripetere che se la pittura non l’avesse divertito, non avrebbe dipinto» perché per il nostro scrittore è lo stesso «nel maneggiare la penna invece che il pennello».

Quindi «libertà e responsabilità sul piano personale, democrazia sul piano collettivo» dal momento che è suo interesse coprire «un ampio ventaglio politico dove molti possono riconoscersi, sia di destra sia di sinistra».

Il saggio rivela un importante intento se vogliamo moralistico/educativo: attraverso alcune citazioni dei più importanti maestri relegati fra gli “amatori della sapienza” quali Platone, Aristotele, Cartesio, Pascal, Dostoïevski (e persino De Crescenzo), invita il lettore, con ponderosità e senza atteggiamenti didascalici, ad avvicinarsi alla grande filosofia di stampo etico-politico.

Entrano in ballo la biotecnologia, le scienze della vita, le tecnologie e le conseguenti applicazioni su di esse; e le «decisioni politiche, economiche, sociali o culturali» aumentano di numero per cercare di “inglobare” il maggior numero di stati possibili al fine di creare una collaborazione per il bene di tutti. Ma è anche vero, e l’autore lo dice chiaramente, che «una rivoluzione tecnologica non si traduce automaticamente in una rivoluzione economica».Da economista e, quindi, conoscitore del sistema economico, ravvisa che

i Sacerdoti dell’economia non sono degli intoccabili detentori della Verità infusa. Posseggono tuttavia strumenti e metodi che, se usati a proposito, sono efficaci.

Fourçans analizza il problema partendo dalle origini del «fenomeno» rimontando al 1914, periodo nel quale si è avuto uno sconvolgimento dell’economia mondiale; perché volendo scendere nel dettaglio «i primi tentativi di globalizzazione cominciavano a delinearsi […] intorno alla presa di Costantinopoli da parte dei Turchi» già nel 1453. Ma alla

fine del XIX secolo, l’apertura internazionale – in materia di commercio, di movimenti di capitali e di immigrazione – ha prodotto una forte convergenza delle economie del Vecchio e del Nuovo Mondo. Prima della Grande Guerra, la libertà dei capitali era […] la regola che univa i centri finanziari dell’Europa, dell’Occidente, dell’Oceania, dell’Africa e dell’Estremo Oriente,

e dopo il disastro provocato dalle due guerre mondiali l’integrazione dell’economia ha potuto riprendersi solo dagli anni Cinquanta.

Questa ripresa ha fatto sì che la gente percepisse la globalizzazione in maniera nuova. Forse ciò è stato dovuto alla diffusione dei mezzi di comunicazione, del telefono, del computer… crescita strepitosa che appare senza limiti di questi tempi! Però è anche vero che «Il primo computer è stato realizzato nel 1946» ma soltanto nel 1999, ovvero cinquant’anni dopo, l’autore precisa, «la metà delle famiglie americane digitava sulla tastiera». Quindi è chiaro che la globalizzazione dall’inizio del XXI secolo è più «densa» e che «i suoi effetti sulle nostre società sono insieme più estesi e profondi rispetto a come avveniva in altri tempi».

Oltre a un ottimismo di base non mancano gli incoraggiamenti di tipo etico che vogliamo estendere non solo all’argomento di cui trattiamo, ma alla vita in genere: «la nozione del bene e del male dipende dalla prospettiva nella quale ci si pone. Al tempo l’onore di accomodare l’andamento degli eventi». Pillole di saggezza cinese si rilevano nel testo, ma che vengono integrate dalla concretezza della logica economica, che non viene mai meno.

Difatti, in questo saggio, l’autore espone molti esempi adattati alla quotidianità per semplificare i ragionamenti, e nello stesso tempo prospetta delle soluzioni, visto che secondo il suo pensiero «è a livello mondiale che bisognerebbe coordinare le misure» solo che al momento «non esiste una struttura capace di farlo» e con tono sempre fiducioso consiglia:

perché non inventarla? In fin dei conti la cooperazione internazionale ha portato alla creazione nel 1995 dell’Organizzazione Mondiale del Commercio […] il cui obiettivo è quello di dirimere le dispute e i contenziosi commerciali tra le nazioni – dal bue agli ormoni, ai prodotti transgenici, passando per la banana e per i nostri gustosi formaggi – al fine di fare rispettare, per quanto possibile, il libero scambio […] sarebbero auspicabili […] una buona cooperazione e scambi fruttuosi tra i paesi. Nonché la definizione di princìpi comuni e trasparenti volti a favorire la concorrenza, al Nord come al Sud.

La rivoluzione (scientifica, tecnologica…) è in espansione, ma tutti i problemi che ancora galleggiano secondo l’autore «non saranno, per questo, risolti»; se ci si concentra direttamente sul progresso, e quindi sul futuro, si rischia di ricadere nell’errore, che sarebbe quello di trascurare gli eventi storici già trascorsi.

Per Fourçans, è importante ripercorrere la storia e gli attinenti avvenimenti dal punto di vista economico-politico-sociale, infatti all’interno del suo saggio sono molti i ragionamenti che preleva dai fatti realmente accaduti – come abbiamo già delineato – gli unici che possono dare una dimostrazione tangibile di quello che effettivamente possa essere annesso alla questione della globalizzazione. E di fatto marca al proposito quello che profferiva il filosofo statunitense George Santayna: «Coloro che perdono la memoria del passato sono condannati a ripeterlo».

In qualche modo teme che gli statunitensi non siano favorevoli alla globalizzazione, perché in questo modo essa sfuggirebbe al controllo del loro paese. Del resto c’è sempre quella voglia di rimanere ancora predominanti… e questi (non meno degli europei) lo sanno bene!

Ma diciamoci la verità: esiste uno stato ideale che pensa solo agli interessi esterni a se stesso? Per l’autore «il modello ideale non esiste; ma alcuni si avvicinano alla perfezione più di altri. In base alle proprie preferenze culturali, alla propria storia, alle proprie tradizioni». Inoltre «Quel che è buono per noi […] non è detto che lo sia per i paesi in via di sviluppo».

Per un’apertura maggiore alla globalizzazione, un passo da fare sarebbe l’abbattimento delle barriere protezionistiche; inclinazione che l’euro ha rafforzato e tende tuttora ad accelerare in Europa. Per il nostro professore di economia e finanza, il quale affronta la problematica da molteplici punti di vista, scendendo nei particolari anche della produzione cinematografica (e di tutto ciò che fa consumo), il protezionismo «Danneggia il consumatore-spettatore-contribuente», perché nel tornaconto pecuniario farebbe «pagare più del dovuto» e riduce «le sue possibilità di scelta».

Per quel che concerne invece la povertà e le conseguenti disuguaglianze, facendo un ragionamento efficace – dal momento che non solo egli considera le differenza di popolazione nel mondo, ma fa anche un’ulteriore distinzione fra popolazione all’interno dello stesso paese – giunge alla soluzione che essa difficilmente possa essere eliminata in maniera definitiva, perché

qualunque sia il tenore di vita di una società, esisterà sempre un reddito al di sotto del quale le persone sono considerate povere. È, invece, possibile valutare l’evoluzione della povertà nel tempo, giudicare cioè se essa peggiora o si attenua; il che rappresenta già un’informazione preziosa.

L’autore è come se volesse che il suo lettore giungesse a conoscenza di situazioni che spesso rimangono nascoste o ignorate – ci riferiamo alle statistiche sui costi di prodotti di consumo, le tecnologie e le grandi aziende come ad esempio General Motors, Renault, i canali televisivi, le case editrici, l’industria cinematografica di Hollywood, che nel loro insieme rappresentano una «sorta di fusione di culture». Ma spesso i problemi rimangono aperti. Nel senso che l’economista scatena dibattiti, questioni… ma che non portano a una soluzione fattibile perché una soluzione in effetti non c’è, o gli stati (i cosiddetti “capi”) non la vedono, interessati a fare i propri interessi o, meglio, a stare vigilanti perché non tocchino il “fondo”. Del resto, come dare loro torto? «Che perdita di efficienza siamo disposti a sopportare per ottenere più uguaglianza?»

Fourçans ci invita a fare dei piccoli accorgimenti dal momento che non è poi così complicato prendere in considerazione problemi che in genere sono alla portata dei “grandi”. Egli stesso afferma:

La verità, per quanto ripugnante, è che tutto avviene come se i paesi ricchi preferissero vedere i poveri restare poveri, piuttosto che vederli diventare ricchi e far loro concorrenza.

Una sorta di viaggio quindi. All’interno del quale si incontrano illustri personaggi che hanno contribuito a creare le fondamenta della nostra storia ambientale, culturale, economica, politica, sociale. All’interno del quale si visitano terre dei continenti, per trattenersi in Francia, in un diario di viaggio da ripercorrere ogni volta che si è pronti a capire e approfondire i problemi che riguardano il mondo attuale. Un viaggio che implica ambiente, cultura, disoccupazione, ecologia, immigrazione, invecchiamento della società, povertà, risorse del territorio… perché secondo l’economista

la globalizzazione può costituire una formidabile opportunità di miglioramento del tenore di vita di tutti, dei paesi industrializzati così come dei paesi in via di sviluppo. Senza parlare del fermento di innovazione, di libertà e di democrazia che può contribuire a diffondere in tutto il paese.

Trattandosi di un testo per un pubblico di non specialisti ma curioso dell’attualità – permetteteci di ribadirlo – si cerca di comprendere il problema senza ricorrere a parole o frasi difficili, perché lo scrittore riesce a trattare una faccenda di tale grossa complicazione servendolo su un piatto d’argento – volendo usare questo luogo comune.

Al di sopra di tutto, con la sua forza livellatrice, domina per fortuna un pensiero di fondo collettivo che l’autore evidenzia particolarmente: in qualunque campo – economico, etico, politico – «l’onestà è la migliore delle politiche».

La globalizzazione raccontata a mia figlia
André Fourçans
Rubbettino
Pagine 218
Prezzo di copertina € 14,00

 

 

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist