Attilio Bergamin, dai sogni alle avventure

Uno scrittore che ha ottenuto un successo inimmaginato può fungere da esempio per chi intende percorrere questo cammino. Attilio Bergamin, con la sua saga di Arteo, ha fatto sognare molti, alimentando fantasticherie e speranze che anche in un’epoca di crisi possono avere fondamenta. Ci ha insegnato che non basta avere il talento per farcela, ma occorrono volontà e tenacia per intraprendere e continuare il cammino. Lo abbiamo incontrato, e ci ha parlato di sé.

Come sono nati i suoi libri? Che percorso hanno seguito?
I miei libri sono nati perché non potevo fare a meno di scriverli. La storia di Arteo è sempre stata dentro di me, dovevo solo capire come farla uscire e vi posso garantire che non è stato così facile come quando uno ne parla a voce. Uno scrittore mette nelle mani del lettore non solo una storia, ma parte delle proprie esperienze e di ciò che conosce. Quindi dona una parte di se stesso nell’opera che crea. Questo porta a uno sforzo incredibile creando un immenso vuoto che alla fine lascia barcollanti. È una fatica smisurata che, devo ammettere, mi ha regalato un sacco di soddisfazioni. Naturalmente lo sforzo si amplifica quando si tratta di scrivere un romanzo storico, perché bisogna effettuare una ricerca dettagliata che sia in grado di far vivere i personaggi in un’ambientazione dell’epoca fedele. Insomma, mi sono letto un bel po’ di libri sulla civiltà fenicia e sulla dinastia saitica egiziana e di tutto ciò che ci stava intorno. Da lì ho cominciato a pensare alla storia, a come strutturare gli eventi per renderla avvincente e significativa, utilizzando un linguaggio semplice ma non banale che potesse coinvolgere il lettore riga dopo riga. Era importante per me che questo romanzo fosse in grado di distinguersi nel panorama editoriale. Naturalmente c’è stata qualche stesura antecedente a quella definitiva per lo più nel Segreto di Nekao. D’altronde era il mio primo romanzo e dovevo migliorare la mia tecnica. Cosi, una volta terminata la versione definitiva, mi sono messo alla ricerca di una casa editrice e, come molti autori esordienti, ho avuto parecchie richieste da editori a pagamento che ho puntualmente scartato. Non c’era garanzia che il libro fosse davvero distribuito, finché non è nata questa collaborazione profonda con le Edizioni A.P.E. e di conseguenza con l’Accademia dei Poeti Erranti che ha arricchito il mio bagaglio culturale dandomi la possibilità di raggiungere l’obiettivo di una pubblicazione senza sorprese. Poi il resto è un mezzo miracolo. I librai hanno creduto nel progetto, mi hanno aiutato perché questo romanzo sta vendendo senza che ci sia in supporto un budget pubblicitario. E, naturalmente, ci sono i lettori che con il passaparola hanno permesso di raggiungere risultati insperati, per questo non mi stancherò mai di ringraziarli.

Come si svolgono le giornate di Attilio?
Io sono una persona molto semplice. Ho una moglie e due figli piccoli meravigliosi, di conseguenza la mia vita è frenetica, anche se felice. Poi vivo a Milano e le cose si complicano per forza.  La scrittura fa parte di me e gli dedico tutto il tempo necessario. È un lavoro complicato ma meraviglioso. Sono felice di possedere quest’attitudine.

Chi si cela sotto le sembianze dei suoi protagonisti?
Ogni personaggio raccontato fa parte della mia vita. Magari non direttamente in ogni sfaccettatura, ma ognuno di loro è il frutto delle mie esperienze. Secondo me un soggetto di un romanzo non può essere credibile se non è la rappresentazione di qualcosa di vero. E questo è indipendente dal genere narrativo che un autore sceglie. Io credo di aver letto romanzi ambientati ai giorni nostri con protagonisti falsi nelle espressioni, nell’atteggiarsi, con modelli psicologici preformati, imprigionati in vite insulse che sono solo la copia apatica di esistenze reali. Si può notare da mille dettagli e il romanzo ne soffre. Ora prendiamo ad esempio un’opera narrativa di pura fantasia come Peter Pan. Quanto questo personaggio nella sua assurdità è vero? Moltissimo. Pensate soltanto alla metafora del bambino che non vuole crescere baluardo contro gli adulti raffigurati come pirati maldestri. Geniale, ma tremendamente legato alla realtà! Ognuno di noi ha ancora dentro un bambino che lotta contro un adulto maldestro per via delle difficoltà della vita. Ecco, io nei miei personaggi uso questo criterio. Dovevo garantirgli uno spessore emotivo e psicologico che fosse in grado di donargli la vita. Se uno di loro soffriva, il lettore doveva cogliere quella sofferenza perché derivava da qualcosa di realmente vissuto. Pensate solo ad Arteo ammorbato dal dolore causato dalla follia della madre, oppure alla redenzione di Riopanico fino a giungere alle grandi domande che si pone Bashir nel secondo romanzo sul significato della giustizia.
Un altro esempio è senz’altro il personaggio più fantasioso dell’Arteo. Mi sto riferendo al Turuk simbolo malvagio di una parola che non si può pronunciare. È una figura di pura fantasia, eppure si trasforma dentro di noi nella rappresentazione di tutto ciò che non è permesso dire e pone sommessamente la questione della libertà di parola. Quindi nei miei soggetti esiste sempre un legame con la realtà perché io ritengo che solo in quel caso i protagonisti sono vivi.
Arriviamo all’Arteo. Lui è il protagonista e ha senz’altro qualcosa di me. È una persona talentuosa proprio come me, e proprio come capita a me deve lottare per raggiungere i risultati faticando. Anche questo è una delle caratteristiche che distingue questo romanzo. Il personaggio principale è sì un predestinato, ma a differenza di altri deve faticare come un pazzo per raggiungere i propri obiettivi. Non c’è magia che lo soccorre e nemmeno un deus ex macchina. Il messaggio è: avrai anche talento, ma non arriverai a niente senza impegnarti!

Qual è, secondo lei, il ruolo del destino nella vita dell’uomo?
Alla fine ognuno di noi ha un destino da decifrare, il mio è legato alla letteratura e alla cultura. Siamo piloti di macchine lungo un percorso irto d’insidie. A volte la strada è dritta e corriamo veloci, in altri casi ci si muove lenti per via di pericolose curve. In ogni caso, per prima cosa, dobbiamo diventare dei buon piloti. L’educazione, la cultura, la capacità di razionalizzare gli eventi, sono un buon inizio per diventare degli ottimi piloti. Come potete intuire il mio concetto di destino è differente da quello che di solito è in uso comune. Io non credo che esista un ordine divino o naturale prestabilito nell’universo dove ogni esistenza ha la propria vita segnata. Esistono delle tracce superiori che non dipendono dal nostro volere. Tornando alla metafora utilizzata prima credo che il nostro destino dipenda da quale macchina ci viene data in dotazione e quale strada percorriamo. In quel caso non abbiamo scelta, è il fato che decide o chi per esso. Tuttavia la nostra capacità di diventar buoni piloti può senz’altro migliorare la nostra vita rendendo il percorso esistenziale perlomeno più docile.

C’è un personaggio al quale è particolarmente legato?
Non ne esiste solo uno. Nel primo romanzo c’è Riopanico che per certi versi mi assomiglia. La redenzione è un aspetto vitale di fondamentale importanza. Il saper riconoscere i propri errori e pagarne le conseguenze per rinascere percorrendo una strada migliore, è un concetto molto affascinante. Saper riconoscere i propri errori non è solo un atto di coraggio, ma d’intelligenza. Poi c’è Zonco che è un antagonista geniale nella sua malvagità contorta. È un personaggio ammorbato dalla sete di potere, quindi il più vero rapportato al nostro tempo. Nel secondo mi piace molto Bashir e i suoi dubbi. Janef e la sua candida sincerità. Nadir e quel fardello nell’anima. L’amore che matura in Afra. Arteo e le sue controversie emotive. Loro li ritengo per certi versi ingegnosi. Ma devo confessare che faccio fatica a sceglierne qualcuno. Li amo tutti molto!

Come fa a intrattenere un rapporto così intimo tra i suoi personaggi e ciò che loro accade?
È una bellissima domanda questa e cercherò di essere sintetico. Il rapporto è così intimo perché i miei personaggi possiedono una storia che il pubblico conosce bene attraverso una narrazione semplice ma non banale. E, di conseguenza, gli accadimenti sono facilmente riconducibili a ciò che i personaggi hanno vissuto. Sono contento che questo si evidenzi dalla lettura. Inoltre c’è stato un gran lavoro sull’orchestrazione degli eventi per rendere quest’opera così suggestiva. Un lettore, in una delle mie presentazioni in libreria, ha definito l’Arteo un cult book. Ecco, io ho apprezzato molto. Ritengo che il rapporto d’intimità tra i personaggi e ciò che gli accade abbia contribuito a questa definizione.

Ha in programma una continuazione della Saga?
Certo! Potrei mai lasciare i lettori con il fiato sospeso per sempre? Sto già scrivendo il terzo romanzo. L’unica anticipazione che posso darvi è che la storia riprende svelando alcuni retroscena del passato di alcuni protagonisti.

 

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist