Franco Santangelo, uno scrittore dedito alla ricerca storica

Franco Santangelo è un uomo che della ricerca ha fatto il suo stile di vita. Una persona che ha sempre cercato la strada della verità, che lo ha portato a raggiungere diversi privilegi importanti. Ha scritto libri di carattere saggistico, citato dagli accademici per la sua pignoleria nella storiografia, ha deciso di raccontare in che modo si mette all’opera e quanto ha inciso la ricostruzione culturale del suo territorio ai fini dell’identità e anche del turismo.

Il suo ultimo libro riguarda il suo posto di origine, come mai ha pensato di dedicarsi al progetto di ricostruire la storia di Regalbuto?
Lo scopo di ricostruire la storia del territorio dove si nasce è quello di coinvolgere la comunità locale, facendola sentire vicina agli avvenimenti accaduti, per non perdere la memoria storica nel vissuto quotidiano. La storia, in senso lato, è fatta di tanti piccoli tasselli nei quali ognuno può scorgere l’identità di se stesso, della propria famiglia o del gruppo sociale di appartenenza.

Qual è stata la parte più interessante della ricerca?
È chiaro che la leva che muove ogni branca delle attività di una comunità è l’economia, materia interessante, che permette di conoscere meglio, anche sotto l’aspetto politico-sociale, una intera comunità. Nel descrivere le situazioni economiche, determinatesi nel tempo, ma anche quelle artistiche, sociologiche e politiche, interdipendenti fra di loro, non li ho esaminate facendo ricerca operativa, perché ho escluso che essa potesse rientrare in quei propositi che preconizzano o modificano un sistema economico. Ho fatto, invece, ricerca applicata, per esplorare e approfondire i vari campi. La ricerca è stata finalizzata a mettere in evidenza, nelle varie epoche, l’economia di un piccolo centro, la municipalità e i diversi sistemi che si sono susseguiti, da quello agricolo a quello industriale, in modo che ognuno, identificando il proprio passato economico, potesse trarre conclusioni migliori per il presente.

Ci racconti del suo territorio, e per quale motivo la gente dovrebbe venire a visitarlo
Usare l’aggettivo possessivo per parlare del proprio territorio mi sembra un po’ improprio perché Regalbuto, trovandosi al centro di un triangolo, chiamato Sicilia, soggetto a tante dominazioni di diverse etnie, restringe anche il significato di territorio “mio”, nel senso che non solo alcuni vocaboli non sono nostri, ma anche usi e costumi ci sono stati tramandati, quindi lo stesso territorio porta i segni di un passato che non appartiene solo al presente. Regalbuto trova le sue origini nell’antica città di Amèselon, della quale non si conoscono i fondatori, ma è certo che la sua fondazione sia avvenuta fra il V e IV secolo a.C., sul Monte S. Giorgio. Venne occupata dai Mamertini, come avamposto, fra il territorio dell’antica Kentoripa (attuale Centuripe) e Agiryon, (attuale Agira), per intimidire entrambi, perché alleati di Gerone II di Syracusa, nemico che nel 269 a.C. li affrontò sul fiume Kyamosoros (attuale fiume Salso Cimarosa), sconfiggendoli, distruggendo così la città e dividendo il territorio ai due alleati. Nel punto in cui affluisce il fiume Salso nel Simeto, sono stati scoperti degli insediamenti che alcuni individuarono con la città di Symaetus, nome derivato erroneamente dal fiume omonimo e di tutta la valle, mentre altri autorevoli studiosi sostengono trattarsi del nuovo insediamento di Amèselon, dopo la distruzione di Gerone II di Syracusa. Le condizioni climatiche e malariche ostacolarono la durata dell’insediamento forzoso vicino ai due fiumi, infatti, successivamente gli abitanti furono costretti ad allontanarsi dal luogo per risalire verso il Monte San Calogero, zona più salubre, dove, verso il 970 d.C., i “saraceni” la riedificarono, chiamandola Rahl-Butahi (dall’arabo Casale-fortificato), acronimo dell’attuale Regalbuto. L’edificazione araba appartiene ancora al patrimonio urbanistico della città con tutte le sue caratteristiche distintive, diverse dai successivi insediamenti di origine cristiana e giudaica. Alla dominazione Normanna e a quella Sveva che, con il Re Manfredi, riedificò ancora Regalbuto, subentrarono gli Angioini, cacciati poi dai “vespri siciliani”, ma la Sicilia venne consegnata agli Aragonesi prima e agli spagnoli dei viceré dopo e per lungo tempo. I Borboni addirittura la duplicarono nella storia, chiamando la loro dominazione “regno delle due Sicilie”, cancellato però con lo sbarco dei mille e l’adesione all’unità d’Italia, ove il popolo di Regalbuto e il comune di Bronte, di Randazzo, di Maletto, di Centuripe, di Cesarò, di Francavilla, di Castiglione e di Linguaglossa scrissero una pagina di storia diversa da quella raccontata dai libri di scuola.

Sin dal 1510 Regalbuto diede uomini illustri, come Gian Filippo Ingrassia, allievo di Vesalio e padre della scuola medica siciliana, il nuovo Ippocrate, il Galeno siculo che, divenuto protomedico del regno di Sicilia, contrastò la peste ed escogitò i primi metodi di prevenzione per combattere le patologie del tempo. Alla sua morte questi metodi furono portati avanti dal suo discepolo e concittadino Pietro Maccarrone e divennero ben presto oggetto di studio e patrimonio delle università siciliane e partenopee. Anche l’unità d’Italia contribuì alla fioritura culturale del nostro territorio, dove la medicina viene tramandata fino ai nostri giorni con professori di chiara fama, come Tripi (Odontoiatria), Crimi (anestesia), Scilletta (trapianti), Di Gregorio (Virologia), G. A. Marraro (presidente nazionale degli anestesisti), Marino (pediatria), fino a giungere ad un altro maestro della medicina, Salvatore Citelli, laringoiatra, la cui fama giunge oltre frontiera, lasciando scritto il suo nome persino sull’Etna, a quota 1741 metri s.l.m., per la costruzione del “rifugio Citelli”. Non mancano letterati, come Carmelo Cordaro, autore di “Zorina”, poema rusticano, Vincenzo Pernicone, curatore del dizionario della lingua italiana, Don Giuseppe Campione, grande collaboratore di Sturzo, Riccardo Lombardi, costituente della Repubblica, Dino Lo Giudice, fondatore della cassa agraria locale e tanti altri che, per un piccolo centro come Regalbuto, stanno a testimoniare la dimensione di un importante contributo per la crescita culturale, scientifica, economica e politica della comunità locale, che si dilata notevolmente oltre il nostro ambito territoriale.

Chiudo qui questa breve sintesi perché resto nella convinzione di dividere il territorio in zona privata, pubblica e proibita, traendo lezione dal comportamento di alcuni animali che tracciano il proprio territorio in questo modo, riservando alla zona privata un uso strettamente personale, alla zona pubblica la condivisione con gli altri e alla zona proibita il divieto di qualsiasi accesso. Va notato che, mentre gli animali tracciano il territorio con gli escrementi corporali, gli essere umani lo tracciano con paletti costruiti dai loro pensieri, fino ad erigere mura, come quello di Berlino. Cosicché puoi educare gli animali a fare i propri bisogni nella lettiera, ma quando essi li depositano altrove vuol dire che smarcano il territorio, anch’essi hanno bisogno di uscire fuori da quello precedente, tutto l’insegnamento dato viene così annullato perché cambia movente e strategia.

Perché dunque la gente dovrebbe venire a visitare Regalbuto? Il perché è froidiano per ognuno di noi, in quanto, nel decidere di conoscere qualcosa, stabiliamo delle finalità e, attraverso una logica tutta nostra, vogliamo individuare le sequenze temporali del passato e del presente che hanno caratterizzato la storia locale, come è stato marcato il territorio e le strategie che hanno sortitocambiamenti.

Si viene a Regalbuto per scoprire il suo passato ed anche il presente. Introducendoci liberamente nella zona pubblica, di cui parlavo prima, si può ammirare il Monte San Giorgio e San Calogero, siti dell’originario insediamento. Immettendoci nel centro abitato si può scoprire la testimonianza storica urbana della presenza dei “saraceni”, nell’omonimo quartiere; quella dei Cristiani nelle numerose chiese e quella degli ebrei nel quartiere giudaico di Santa Lucia. Appare, non meno interessante, la visione del lago artificiale più grande della Sicilia, il lago Pozzillo, anche il più bello perché, con la sua natura incontaminata, ha trasformato l’habitat in una vera oasi naturale, degna di essere visitata; poi il “carnevale regalbutese”, il più bello di quelli celebrati nel centro della Sicilia, la Pasqua, la festa del Protettore San Vito, in agosto, quella della Patrona della città, La Madonna del Soccorso, a settembre e, infine, la degustazione dei cibi della cucina locale che, quando offre piatti legati alle tradizioni, è insuperabile. Se il visitatore ha voglia di sapere e di conoscere di più può passare dalla zona pubblica a quella privata e, infine, dipende strettamente dal possesso di doti personali particolari per accedere alla zona proibita.

Lei ormai può considerarsi uno storico, visto che ha dedicato molte ricerche ai personaggi come Don Giuseppe Campione e Riccardo Lombardi, ci dica in che modo svolge le sue ricerche e, dunque, come si svolge una sua giornata tipo?
Io non ho, mio malgrado, un curriculum accademico alle spalle, per fregiarmi dell’appellativo di storico, perché lo faccio per passione, senza usurpare niente a nessuno, quindi, ringrazio quegli accademici e studiosi che me lo danno, honoris causa, gratificandomi con le loro citazioni. Ogni giorno mi confronto con me stesso e con gli altri, scrivo anche saggi storici, frutto di ricerche che vogliono ricostruire eventi remoti o recenti. Per fare ciò vado alla ricerca delle tracce per trovare le testimonianze, cioè le fonti, che possono essere orali, scritte, materiali e visive, dalle quali, partendo dall’origine, ne esce una prima scrematura e, successivamente, vengono individuati luoghi e soggetti di cui si vuol parlare per costruire la storiografia del tempo scelto. A volte il metodo imita il modo di come noi stessi ricostruiamo la nostra vita e quando ci imbattiamo a parlare dei giorni che non ricordiamo, cioè quelli della nascita, per averne memoria ricorriamo alla testimonianza della mamma, dell’ostetrica, ecc.. Questo tipo di lavoro non viene fatto da solo, altri studiosi partecipano alla elaborazione di questi documenti. Tutte le fonti vengono raccolte e catalogate e solo dopo si perviene a delle laboriose classificazioni che utilizzano i diversi strumenti della ricerca, ai quali dedico un paio d’ore e, a volte più, durante la giornata.

La sua passione per la scrittura e per la ricerca in che modo è nata?
Questa domanda me la sono posta sempre e la risposta si ferma nel mio primo giorno di scuola. I bombardamenti della seconda guerra mondiale causarono la distruzione di gran parte del centro abitato del mio paese e la mia famiglia fu ospitata in una casa di campagna. Il primo giorno di scuola mia mamma mi accompagnò fino ad indicarmi in linea d’area il percorso per raggiungere il paese, ma quando arrivai in un punto che biforcava sbagliai l’imbocco ed anziché giungere in paese mi trovai sbarrata la strada dal fiume Salso, scoppiai a piangere in modo forte per richiamare l’attenzione di qualcuno. Passò fortunatamente un contadino con un cavallo bardato di contenitori laterali fatti di canna, come i cesti di vimini che si tengono nelle case per vari usi, quelli del contadino, invece, servivano per il trasporto di semenze. Alla domanda del contadino, figura che non dimenticherò mai, di come mi chiamavo e che cosa facevo li, non risposi, anzi aumentavo l’intensità del pianto. Il modo di com’ero vestito, un grembiulino nero con colletto bianco appena abbozzato, la borsa di cartone con libro e quaderni, lo indusse a portarmi in paese, infatti mi consegnò al comando dei vigili urbani che, rintracciando mio padre, a lui mi consegnarono, liberandomi così da ogni paura. Da quel giorno per me è stato un cercare il metodo per non sbagliare la strada, quella strada che mi doveva portare a scuola, quella scuola dalla quale ho ricavato la passione di scrivere.

Che libri legge e chi sono i suoi scrittori preferiti?
Non disdegno i classici, da Dante a Boccaccio, da Machiavelli a Pirandello e al Verga, nei quali scopro ancora tutto il fascino della lettura, come la Divina Commedia, Il Decameron, Il Principe, Uno, nessuno e centomila, I Malavoglia. Ho letto Vino al vino di Mario Soldati; A futura memoria di Leonardo Sciascia; Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; Ed è subito sera di Salvatore Quasimodo. Il mio preferito è però Tu, sanguinosa infanzia di Michele Mari.

Chi è Franco Santangelo nella vita quotidiana?
Sono ancora quel bambino del primo giorno di scuola, uno che non finisce mai di apprendere.

Che messaggio vuole lasciare ai giovani in questo periodo storico poco entusiasmante?
Ingannare se stessi vuol dire ingannare gli altri; essere se stessi, nel bene e nel male, vuol dire possedere la chiave per la soluzione di ogni problema, alle condizioni, però, che la chiave venga costruita personalmente.

Ha altri lavori in cantiere?
Si, da qualche anno ci lavoro, spero di giungere a conclusione entro l’anno corrente.

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist

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