Reality Show – Luigi Milani

Il nuovo palcoscenico regalatoci dalla tecnologia moderna è la Tv, una scatola che oltre ad avere il filo dell’alimentazione elettrica e quello dell’antenna che attrae le onde radio, ha un altro filo invisibile, uguale a quello che lega i personaggi di Aspettando Godot: Pozzo, il padrone e Luky, il servo, congiunti da una corda, che li unisce in un legame apparentemente inscindibile. Nel racconto breve di Luigi Milani, Reality Show (scaricabile gratuitamente dal sito La mela avvelenata), la scatola televisiva, forse, non ha più né fili e né corde, dato il successo conseguito dai collegamenti Wi-fi, di fatto, però, fra l’oggetto e il soggetto vi è una corda che li collega e, proprio per questo, l’autore manifesta più volte il tentativo di volere svincolare il soggetto da quella congiunzione che lo tiene legato allo spettacolo della realtà.

Non l’avrei mai creduto possibile, ma ci sono cascato anch’io: ti pare che debba ridurmi a guardare un programma trash come questo?

Ciò lo spinge a fare ripetuti tentativi di separazione dall’oggetto, non come tale, ma in relazione a quello che esso trasmette dal palcoscenico televisivo, comportamento dettato dall’impossibilità di non riuscire a distinguere il vero dal falso. Il racconto lineare e cronologico delle scene televisive è di Luigi Milani, ma le sue reazioni comportamentali sono molto diffuse, nel senso che hanno molteplici matrici di origine diversa, proprio perché i Reality show generano reazioni contrarie alla rappresentazione di spettacoli sempre più ingannevoli. Il racconto, breve e scorrevole, mostra quel filo invisibile che lega l’immagine televisiva, sopraffatta dall’enorme peso di oggetti che schiacciano il corpo possente che appare in Tv (vera o falsa che sia) con la pesante compressione psicologica che subisce lo spettatore prima di rendersi conto dell’autenticità dell’immagine. Leggere il racconto e immaginare i due soggetti, il trasmittente e il ricevente, potrebbe portarci a collocarli sullo stesso piano, entrambi sovraccaricati, se pur da pesi diversi, ma legati l’uno all’altro da quella corda che tiene in vita la comunicazione interpersonale, dove, però, non è facile individuare colui che la tiene in mano per fare il padrone e non il servo.

Di nuovo, mi chiedo fino a che punto si spingerà la finzione – perché è una finzione, vero? – di questo show ripugnante, che ora tocca vertici di macabro raccapriccio. Vorrei distogliere lo sguardo, ma non riesco a staccare gli occhi dallo schermo.

L’autore del racconto non rifiuta il linguaggio disarticolato, che non c’è, però non riesce ad accettare l’immagine esagerata di una scena poco attendibile, creata al solo scopo di fare sensazione e di attrarre l’attenzione dello spettatore. Non c’è, quindi, l’omologazione del personaggio televisivo, anzi vi è una forma di ripulsa per salvaguardare la sensibilità individuale, resa indifferente dal linguaggio “sensazionale”, in quanto non è portatore di senso ma dell’”assurdo”, quell’assurdo inteso come il rifiuto delle nostre capacità reali che, portate sul palcoscenico televisivo, annullano ogni tentativo logico di comprensione della realtà, per cui allo spettatore rimane soltanto la percezione del non senso, che lo relega al ruolo di spettatore insensibile verso ogni evento.

La luce rossa si spegne, le telecamere hanno finito di riprendere lo spettacolo.

Dice William Brown: Un tempo la gente era abbruttita dall’ignoranza, ora lo è dalla televisione, praticamente non è cambiato nulla. Luigi Milani crede nella comunicazione e conclude senza assumere l’iniziativa di toglie il cordone che lega l’utente alla televisione, lascia che sia la stessa Tv, spegnendo le luci e chiudendo il sipario, a togliere l’imbarazzo della scena.

Reality Show
Luigi Milani
La mela avvelenata
Prezzo di copertina Gratis

 

Franco Santangelo

Critico e Storico