Elogio dello stupore – Francesco Bevilacqua

Stupirsi di fronte alle meraviglie della natura è ancora possibile nell’era dell’elettronica e della tecnologia in continuo avanzare? O lo stupore rimane solo prerogativa del folle?
Già nel ‘500, per quel che concerne il trasecolamento, era opinione diffusa che conveniva porsi nella condizione del folle piuttosto che del savio proprio perché il sapiente nutriva certezze assolute riguardo ai comportamenti della specie umana nei confronti del creato stesso. Mentre era il folle, spesso identificato in catastrofista e in genere negatore del metodo scientifico, il classico sollevatore dei dubbi. Ovvio è che le certezze di regola non conducono allo stupore, ci conferma Francesco Bevilacqua.

Il più famoso Elogio, come molti sanno, è stato scritto qualche secolo fa dal filosofo Erasmo da Rotterdam, che lo dedicò alla follia. Bevilacqua giustifica il suo:

Sapienza è osservare il mondo con distacco, conoscerlo con la ragione, giudicarlo senza emozioni. Follia, viceversa, è abbandonarsi al fluire inarrestabile delle passioni, è il prevalere dei sentimenti, è “patire” il mondo ovvero appassionarsi ad esso.

Ma cosa vuol dire stupore? La parola, ci spiega lo scrittore, deve la sua origine semantica alla radice indoeuropea steup, che ha il significato di “colpire”. Quindi in sostanza “stupirsi” significa “essere colpiti da qualcosa”. Di conseguenza, chi si lascia “colpire” non può che essere il folle, colui il quale «si è arreso alle passioni» ed «è disposto a soffrire pur di esser libero di amare». Mentre il sapiente non si lascia sferzare, visto che conosce già tutto e le passioni le domina.

Il testo si pone come un piccolo manualetto dove vengono esposti i pensieri attraverso i quali è possibile capire cosa spinge l’uomo a contemplare la natura con gli occhi del “fanciullino”, il simbolo dello stupore. Infatti, leggiamo, che i bambini di regola sono creature ingenue (dal latino ingenuus, “nato libero”) che sanno provare emozioni sentendosi partecipi della vita e si accostano a essa con la voglia di imparare. L’idea di base è una: rispettare il mondo naturale. E Bevilacqua espone questo pensiero attingendo dalla storia della filosofia e della letteratura.

In brevi righe sono trattati alti temi in difesa della natura incitando ogni uomo “civilizzato” immerso nel cemento a immergersi nel verde, predicando l’educazione alla responsabilità ecologica. E chiama l’uomo contemporaneo «presuntuoso», riallacciandosi al detto dei kogi (popolo andino che ha rifiutato di integrarsi completamente con la civiltà moderna), per stigmatizzarne comportamenti:

L’entusiasmo della parte civilizzata dell’umanità per le sue conquiste è simile all’euforia di un uomo che precipita da un’altissima rupe credendo di saper volare.

Così oggi, nell’era di internet, malgrado la natura venga da molti messi al bando, ci ricorda che nessun cervello elettronico può percepire la bellezza del creato. Quindi, d’accordo con lui, impariamo, come sanno fare i bambini, ascoltando la voce del “fanciullino”, a «capire il mondo senza “capirlo” del tutto, amarlo senza possederlo, stupirci senza “stupirlo”».

Elogio dello stupore
Francesco Bevilacqua
Rubbettino
Pagine 94
Prezzo di copertina € 5,16

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist