Breve guida al suicidio – Giuseppe Galato

 

Quando mi venne affidata la redazione della recensione al libro in questione rimasi un po’ restio, forse facendomi suggestionare dal titolo, ma poi, vedendo l’impostazione data alla pubblicazione dal giovane autore salernitano, ho ritenuto necessaria una recensione valutativa e interpretativa che evidenziasse gli aspetti del problema contenuti nel testo.
Leggendo un libro, di solito, vado subito alla ricerca della trama, senza svelare nel recensito la conclusione, invogliando, così, la curiosità dei lettori a scoprirla nell’opera, ma in questo caso il titolo, prima ancora di parlare di trama, è rivelatore, anzi anticipa la conclusione, quale potrebbe essere appunto quella di un aspirante suicida, per cui ho ritenuto fare una interpretazione e una valutazione coerente del libro e del tema trattato. L’autore inizia spiegando cos’è il suicidio, ma trovo questa spiegazione fuori dal contesto politico-sociale, specie quando afferma l’idea di alcuni filosofi sull’assenza di Dio attribuita al fatto che politici e imprenditori non sono propensi al suicidio. Va bene come battuta ironica, se si è contro i politici e gli imprenditori, proprio perché il contesto è stato ed è al contrario del significato letterale del concetto espresso, infatti, senza andare lontano nel tempo, con mani pulite prima e con la recessione economica attuale, è noto a tutti come diversi politici ed imprenditori, ironia della sorte, si fossero suicidati. L’autore vuole essere su ciò affrancato dal consenso di chi è favorevole al suicidio, creando un contraltare fatto di coloro i quali sono contro, ma legando entrambi a un denominatore comune, costruito su un ipotetico risparmio economico sia per chi pratica il suicidio o no. Si corre il rischio di credere che egli ha fede in ciò che dice, mentre la sua è una finzione, non perché l’ironia è tratta da uno stravolgimento letterale del significato delle parole, ma perché egli mira a farsi beffa volutamente, fingendo di prendere in considerazione qualcosa ritenuta sbagliata, cioè fa del sarcasmo che, però, non potrebbe essere de-contestualizzato, ma breve, tagliente e facilmente comprensibile all’ascoltatore, anche se ciò non sembra.
Egli coglie una forma di ironia amara, non quella che fa sorridere, ma quella che offende e umilia, dando l’impressione che ci sia un senso di frustrazione, che non induce al dialogo con il lettore ma ad una forma di nichilismo, rendendo difficile qualsiasi comprensione o spiegazione della problematica, un isolamento angoscioso, un sarcasmo sempre più duro quando considera il suicidio come una malattia. Il libro, proseguendo la lettura, ci presenta tre contenitori dove troviamo all’interno del primo le modalità di suicidio, nel secondo i disturbi della malattie che portano ad esso, nel terzo le ipotetiche note di addio di chi ha disertato la vita e le interpretazioni sia religiose che istituzionali. È lo stesso autore a dichiarare che si tratta di un’opera sarcastica e che per questo il racconto dovrebbe essere contestualizzato sulla realtà odierna, possibilmente richiamando altri contesti, come quelli antichi, dove ricercare la diversità di giudizio su una pratica o un comportamento definito maggiormente negativo. In Egitto è famoso il suicidio di Cleopatra per non diventare lo scettro della vittoria di Ottaviano su di lei, in Grecia, invece, a chi si suicidava veniva amputata la mano e veniva seppellito fuori città, a Roma la moglie di Bruto si suicidò per vergogna e Seneca soltanto per essere stato sospettato di complotto contro Nerone, nella civiltà giapponese il suicidio era una pratica per mantenere l’onore e una prova di coraggio; il Cristianesimo, l’Ebraismo e l’Islamismo lo vietano perché la vita è un dono di Dio.
Nell’era contemporanea possiamo trovare il suicidio di Jan Palach, cecoslovacco, riformista, sostenitore della “primavera di Praga”, poi ancora, il gesto suicida del ragazzo cinese davanti ai carri armati in Piazza Tienammen, a Pechino, rimasto vivo per l’intervento dei suoi compagni. Quasi tutti atti eroici ricchi di etica e morale, pochi quelli intrisi di vigliaccheria, come ci ricorda Giuda.

Al di là della trama è difficile, comunque, scrivere un saggio sarcastico, in quanto esso trova il massimo dispiegamento nella forma orale. Questa forma letteraria personifica l’assurdità in quanto vuol fare credere all’interlocutore, in questo caso all’aspirante suicida, la convinzione delle ragioni che lo spingono al suicidio, giungendo a conclusioni talmente assurde per dimostrare falsamente l’infondatezza delle ragioni che portano al tale gesto.

Esempio: “Hai ragione di affermare che gli asini volano, ne ho visto uno che è passato proprio sopra casa mia”, oppure quello di trovarsi davanti ad un aspirante suicida che chiede all’amico, dopo tanto tempo che non lo incontrava, dove fosse stato, ricevendo la seguente risposta: “Dopo essermi suicidato sono stato in vacanza nell’aldilà, ottimo trattamento, confesso di sentirmi un po’ dispiaciuto per essere ritornato in fretta ”. Ho inserito gli emoticon, accanto ad ogni aforisma, perché aiutano meglio a comprendere, nella forma scritta, il sarcasmo delle frasi, sostituendo le “linguacce”, la mimica e le allusioni, proprie del sarcasmo orale.

Uno dei tanti esempi di suicidio, trovato nel secondo contenitore del libro, è questo:

Altro classico suicidio è quello perpetrato tramite l’utilizzo di un’arma da fuoco, a meno che il suicida non sia sensibile alla vista del sangue. Uno dei principali consigli da dare è quello di informarsi bene sulle leggi del proprio Stato su uso e possesso di armi da fuoco, in modo da non andare incontro a sanzioni civili e/o penali nel caso il possesso di arma da fuoco sia vincolato a qualche permesso speciale.

Noto caso di suicidio, tramite utilizzo di arma da fuoco, fu quello di Thomas Focker, generale dell’Impero Britannico d’istanza a Calcutta durante la Rivolta Del Thè Focker, che come ogni gentleman inglese della sua epoca, aveva una passione smodata per la caccia. Fu proprio durante una battuta di caccia in una riserva indiana che, colto da un’improvvisa crisi d’identità, credette per un attimo di essere una lepre, si puntò il fucile tra gli occhi e premendo il grilletto si uccise, poi si cucinò in salmì”.
Visto che gestire mentalmente queste forme di sarcasmo necessita un dispendio di energie, è chiaro che la conclusione di quest’opera porta ad un vantaggio sociale non indifferente. L’autore ha iniziato questo lavoro con l’assunto:

Tutti nella propria vita hanno pensato almeno una volta al suicidio

mi sono riproposto di rispondere a questa domanda a conclusione della lettura, in effetti non mi sono mai accorto di averci pensato, perché per me la vita è bella, ma la mia compagna, Paola, mandandomi un sms, mi ha fatto ricordare in quale circostanza ciò mi è accaduto, ecco il testo del msg: Riflettendo sull’orgasmo, mi sono accorta che esso ha sei fasi: 1° quella asmatica, Ah, ah…2° Geografica: Qui, qui…3° Matematica: Di più, di più…4° Religiosa: O Dio mio!…5° SUICIDA: Sto per morire…6° Omicida: Se ti fermi t’ammazzo.

Come non accorgersi che tutta l’umanità, almeno una volta, ha pensato di suicidarsi… che dico, tante volte gli uomini l’hanno pensato, anche le donne, ma sono tantissimi quelli che l’hanno fatto… ora ho capito perché l’autore ha dedicato il libro “a suo padre e a sua madre che trombavano”, detto da lui, ciò vuol dire che in mancanza di questa trombata (suicida), non avremmo potuto conoscere questo racconto della iella.

 

Breve guida al suicidio
Giuseppe Galato
Edizioni La Gru, 2013
Pagine 100
Prezzo di copertina € 13,00

Franco Santangelo

Critico e Storico