Una lunga trattativa – Giovanni Fasanella

Il patto fra Stato e mafia, scrive Giovanni Fasanella, è un qualcosa che si trascina da oltre centocinquant’anni. Attraverso questo libro, l’autore sembra chiedersi: ma quando finirà questa storia?
Egli, partendo dal presupposto che ogni storia ha un inizio e una fine, crede che, con il crollo del muro di Berlino, il tridente Mafia-Stato-Angloamericani debba considerarsi rimesso nel magazzino degli attrezzi fuori uso e questa speranza non è solo sua ma della maggior parte degli italiani. Ma chi è Giovanni Fasanella? È un giornalista parlamentare, sceneggiatore, documentarista e autore di molti libri sulla storia “invisibile” italiana, tra i quali è da ricordare, Segreto di Stato, La verità da Gladio al caso Moro, Che cosa sono le BR, La guerra civile, I silenzi degli innocenti, 1861. La storia del Risorgimento che non c’è sui libri di storia, Intrighi d’Italia. 1861-1915, Dalla morte di Cavour alla Grande guerra, Il Sol dell’Avvenire, Intrigo internazionale, Il golpe inglese.

Una lunga trattativa, edito da Chiarelettere, è preceduto da cinque interessanti pre-testi, seguiti da una presentazione del libro e dell’autore dove si evidenzia che non si tratta di un testo di storia ma di una ricostruzione giornalistica, frutto di tanto lavoro e di moltissime informazioni provenienti da fonti archivistiche, bibliografiche e giudiziarie. Esso si apre con la caduta del muro di Berlino, che se da un lato ha messo fine alla guerra fredda dall’altro ci rivela un paradosso, ossia il ritorno globale all’intolleranza e, di conseguenza, l’inizio delle guerre vere. Della trattativa Stato-Mafia si parla molto in questi giorni ma, secondo Giovanni Fasanella, le origini sono ben lontane e si rifanno alla seconda guerra mondiale. La caduta del muro di Berlino ha rappresentato il crollo di un recinto, servito a tenere al riparo tanti segreti, adesso svelati ad uno ad uno in modo brutale.

L’autore, con professionalità, individua i personaggi recenti e quelli passati, facendoli muovere, nel rispetto delle loro caratteristiche e del proprio linguaggio, con piena autonomia, così come si sono succeduti sul palcoscenico della politica nazionale e internazionale, alla guida delle istituzioni, negli ingranaggi della politica e della diplomazia, ma anche nelle organizzazioni esoteriche.

Lo scopo che l’autore si prefigge è quello di far emergere la verità da fonti diverse dall’indagine storiografica, avvalendosi di informazioni documentarie derivate da quelle originali e utilizzando i lettori come destinatari di questo lavoro. Il compromesso Stato-Mafia è amplificato dagli eventi processuali in corso, le relazioni e i dialoghi che l’autore mette in essere avvengono in modo diretto, così come la storia o i resoconti documentali li descrivono, mettendo in evidenza anche il ruolo testimoniale dello stesso autore sugli eventi più recenti. Quest’ultimo, analizzando le vicende legate allo sbarco degli alleati in Sicilia con l’operazione Husky, rileva l’origine della struttura clandestina Gladio come struttura segreta della NATO, generata dalle ceneri dell’EVIS (Esercito Volontari per l’Indipendenza della Sicilia), organismo che finisce di esistere come corpo militare del separatismo e diventare, per volontà degli angloamericani, il braccio militare segreto contro il comunismo nella nascente guerra fredda.

Napolitano e la sua corrente non condivisero, perché infondate, le accuse fatte da Occhetto e Violante sull’impeachment nei confronti di Cossiga, il quale si dimise due mesi prima della scadenza del suo mandato e dopo l’uccisione a Palermo di Salvo Lima, personaggio vicino ad Andreotti.

Fasanella fa un interessante excursus storico sulla mafia in Sicilia, abilmente entra ed esce dagli accadimenti, mantenendo il collegamento su tutto ciò che lega mafia e politica fino ai nostri giorni, da Crispi a Garibaldi, da Vittorio Emanuele Orlando a Mussolini e da Giuseppe Pitrè che la copre culturalmente al Prefetto Mori che la combatte militarmente. Entra nell’intimo dei connubi, dai Savoia ai fascisti e ripulisce il mito del “Prefetto di Ferro”, perché fu soltanto scudo dell’impalcatura propagandistica del regime. Inoltre presenta lo scenario prima e dopo l’8 e 9 luglio 1943 in cui risalta il ruolo di mafiosi, come Luk Luciano, Vito Genovese, don Calò Vizzini, Genco Russo, Gaetano Filippone e Paolino Bontà. Man mano che l’invasione degli Alleati procedeva, la mafia diventava sempre più pericolosa tanto che il capitano Scotten, Vice Console USA a Palermo, propose tre soluzioni per arrestarne l’ascesa, e ne scaturì una tregua negoziata in cui l’avv. Francesco Musotto, Alto commissario per la Sicilia, venne incaricato a dirigere le trattative con mafia, separatisti, ex fascisti, aristocratici e chiesa. Con l’imminente sconfitta del nazi-fascismo, il comunismo divenne il nuovo nemico da combattere fra gli stessi alleati. La nascita del “Fronte Nazionale contro il Comunismo” e la creazione di organismi segreti coperti dalla NATO generò la guerra dentro la guerra e i moti del “non si parte”, appoggiati da ex fascisti, repubblichini e mafiosi, per far credere che la Sicilia era a favore della Repubblica di Salò e non per i Savoia, facendo mancare così i rinforzi all’esercito italiano e indebolendo la lotta partigiana. Gli angloamericani, con la concessione dell’autonomia, compensarono la mafia e insieme al vaticano prepararono la vittoria della DC, nelle elezioni del 1948. La presenza di Giuliano, una volta sconfitto il comunismo, era diventata ormai scomoda, così, nel 1950, venne fatto uccidere dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta.

Il prezzo da pagare alla mafia sia da parte degli Alleati che dell’Italia venne deciso all’Hotel delle Palme di Palermo un mese prima della concessione dell’autonomia e della fine della monarchia, dove gli americani con la collaborazione di Luk Luciano e del suo luogotenente, Vito Genovese, scrissero la “bozza” dello Statuto della regione autonoma, poi firmata da Re Umberto. Ciò fu la ricompensa che gli angloamericani diedero alla mafia per i servizi resi e da rendere per il futuro. Tutto questo condizionò la storia dell’Italia per oltre mezzo secolo. L’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, avvenuto dopo la scoperta dei centri segreti della NATO e la scomparsa al ministero di tutto l’archivio sulle indagini svolte, lascia intendere che vi sono ancora strutture più segrete di quelle scoperte.

Il successivo riavvicinamento DC-PCI creò un allarme internazionale e all’interno dell’alleanza atlantica, inglesi, americani, francesi e tedeschi valutarono le azioni da intraprendere per impedire che l’Italia finisse in mani comuniste. Si paventò un colpo di stato militare su suggerimento dell’Inghilterra, ma America e Germania optarono per un’azione sovversiva, così le Brigate Rosse fecero incursione nello scenario politico italiano in modo violento, raggiungendo il culmine nel 1978, con il delitto di Aldo Moro. L’autore ci fa conoscere il pensiero di uno degli studiosi più seri del caso Moro, Francesco Biscione, secondo cui un’entità superiore indistinta era in grado di attivare e disattivare le bande criminali coinvolte, come la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra e la banda della Magliana. Fino al 1983 vi fu una sequenza impressionante di omicidi e la serie di delitti, eccellenti da parte della mafia, portò “i padrini” a credere di uscire indenni da quel pur breve cambiamento politico, che era servito a rompere il compromesso Mafia-DC, trascinatosi sin dal lontano 1948.

Con dovizia di particolari ci parla del 16 dicembre 1987, giorno in cui vennero condannati diciannove potenti capi-mafia della Sicilia, a iniziare da Totò Riina, grazie alla collaborazione di Tommaso Buscetta e in seguito al ruolo esercitato dai pentiti. Un’altra sconfitta per la mafia venne con la scoperta della P2, la loggia all’interno della quale si erano mimetizzati mafiosi e camorristi prima del sequestro Moro. Giovanni Paolo II, per la prima volta nella storia dei Papi, fece sentire la voce della chiesa. Lo stesso cardinale di Palermo, Mons. Pappalardo, ai funerali di Alberto Dalla Chiesa disse, citando Tito Livio: «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur». Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici.

Questa volta, invece, è Palermo ad essere espugnata e non Sagunto. Il crollo del muro di Berlino ebbe un effetto devastante, in quanto lasciò scoperti tutti gli apparati segreti della guerra fredda. L’ammiraglio Fulvio Martini propose di riconvertire Gladio in funzione antimafia, ma Andreotti si oppose, anzi, nel vanificare il progetto, sembrò mandare segnali a soggetti occulti. Intanto venne mandato a Palermo il colonnello Mario Mori in aiuto di Falcone e Borsellino e vennero creati i Ros, nuclei antiterrorismo, ma le procure frazionarono il risultato delle loro indagini, disperdendoli sui tavoli dei vari uffici. Mori, accusato per non avere arrestato Bernardo Provenzano ed essere sceso a patti con Vito Ciancimino, dopo la cattura di Totò Riina, fu processato e assolto per favoreggiamento alla mafia. Mentre Andreotti smantellava i segreti di Gladio, rivelando anche i nomi dei seicentoventidue componenti, Falcone, a Trapani, intercettava due altre organizzazioni segrete, quella del centro “Scorpione” e del circolo “Scontrino”. Le lettere anonime che volevano squalificarlo come magistrato non si contavano più, in quanto aveva scoperto un progetto in cui si voleva uccidere il giudice Carlo Palermo e proprio per questo, vennero trasferiti, senza alcuna logica, quattro questori e tre capi squadra mobile. Mentre a Roma c’era chi voleva annullare il lavoro di Falcone e Borsellino, Corrado Carnevale, presidente della prima sezione penale della Corte di Cassazione, clamorosamente fece scarcerare una marea di boss mafiosi e Andreotti, di fronte all’evidenza, fu costretto, con decreto, ad annullare gli effetti della sentenza Carnevale. Per tutta risposta la mafia uccise il sostituto procuratore Antonio Scopelliti, l’anno successivo l’andreottiano Salvo Lima e mise sotto tiro tutta la classe politica. In questo clima si andò alle elezioni e anche la mafia volle presentare proprie liste, sotto forma di leghe del Sud. Mentre si attendeva l’elezione del Presidente della Repubblica, a Palermo, con una carica di cinque quintali di tritolo, venne fatto saltare in aria Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta. Due giorni dopo, il parlamento non elesse presidente della repubblica Andreotti, come previsto, ma Oscar Luigi Scalfaro. La risposta della mafia a questa scelta avvenne, due mesi dopo, con l’uccisione di Paolo Borsellino, in via D’Amelio, a Palermo. “Mani pulite” fece saltare il governo Amato a cui subentrò Carlo Azeglio Ciampi e si andò a nuove elezioni. Il popolo fece sentire il proprio sdegno, ma la mafia non demordeva e con una lettera alle più alte cariche dello Stato chiedeva la revoca dell’art. 41 bis e la rimozione del direttore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Nicolò Amato.

Cosa voleva la mafia?
Voleva l’abolizione dell’art. 41 bis o semplicemente verificare se vi erano le condizioni per riformulare quell’accordo stipulato nel 1947, ormai finito in modo naturale per la caduta del muro di Berlino?
Poiché la lettera dei famigliari inviata alle più alte cariche dello Stato non ricevette risposta né da Scalfaro e neanche da Papa Giovanni Paolo II, incominciarono una serie di attentati prima a Firenze, all’accademia dei Georgofili, e poi a Roma, con una cinquecento ripiena di esplosivo, vicino a Palazzo Chigi. Lo Stato rispose sostituendo Nicolò Amato al dipartimento delle carceri. Ciò fu ritenuto insufficiente e poco tempo dopo vennero fatti esplodere, in contemporanea, alcune bombe a Milano, in via Palestro e a Roma, a San Giovanni Laterano e a San Giorgio al Velabro, con cinque morti e dodici feriti. La sede del governo rimase isolata dal resto del mondo da un blackout telefonico, come era successo nel 1978, il giorno del sequestro Moro. Il giorno dopo il ministro Conso concesse novecento revoche del 41 bis, su un totale di milletrecento. Nel settembre del 2012, qualche giorno prima della sua dipartita, Pier Luigi Vigna, Procuratore Nazionale Antimafia, così si esprimeva:

Ci ha particolarmente colpito la singolarità degli obiettivi che non sono propri di Cosa nostra, come le chiese e i musei. Questo fattore ci ha stimolato a investigare se al di fuori della mafia ci fossero stati degli input, tenendo presente che Cosa nostra è un tassello di un più ampio mosaico dove possono concorrere imprenditoria criminale, politici con la P maiuscola, logge massoniche deviate.

Gli americani capirono come la fine della guerra fredda avesse avuto in Italia delle conseguenze catastrofiche e che essa stesse per inserirsi in un quadro internazionale esplosivo, così Bill Clinton mandò a Roma un suo ambasciatore, Bartholomew, con un mandato ben preciso: fare in modo che si potesse attraversare quella fase così difficile con meno danni possibili, lasciando le relazioni Italia-Stati Uniti e Italia-Nato intatte e, anzi, ancora più forti. Bortholomew riattivò tutto riportando le relazioni a livello della fine della seconda guerra mondiale. Si andò alle urne nella quasi certezza di una vittoria elettorale della sinistra di Occhetto, in quanto tutto il fronte anticomunista era scompaginato dalle inchieste giudiziarie. Occhetto continuò a demonizzare DC e PSI e mirò a raggiungere il potere con il controllo della magistratura. Appariva sempre più evidente che lo scopo di “mani pulite” non era quello di debellare la delinquenza, ma utilizzare tangentopoli per scopi politici. I risultati delle elezioni del 94 anziché alla vittoria pronosticata per Occhetto portarono a quella di Berlusconi e, come previsto da Bartholomew, la geografia politica italiana venne rivoluzionata e così,come accadde in America, anche in Italia venne accentuata la legalizzazione della mafia siciliana attraverso la creazione di un nuovo ordine mafioso, stabilendo nuove dinamiche politiche atte a relazionarsi con le istituzioni e facendola apparire una connivenza nuova e “pacifica”. Anni dopo, il Ministro della Repubblica Italiana, Pietro Lunardi, dichiarò

Con mafia e camorra bisogna convivere e i problemi di criminalità ognuno li risolva come vuole.

È da queste affermazioni che si deduce come l’Italia abbia pagato un prezzo, in nome di una connivenza pacifica, cioè l’impunità mafiosa, a fronte di un’alternativa che era quella di far saltare in area l’Italia.

Ma quanto tempo durerà? Chiede l’autore.
Il libro di Fasanella, senza volerlo, ci rivela che in Italia non c’è stata una prima e una seconda repubblica, ma si tratta di un continuum. La classe politica italiana bleffa o ha paura, mentre la National Security Agengy americana, no!
Essa, col suo datagate, ha intercettato tutti i governi dell’Europa e anche il fantasma di Cossiga, che vive ancora al Quirinale incarnato nel presidente Napolitano, il quale ripete con dolore il messaggio sull’esigenza di una riappacificazione nazionale, se si vuole salvare l’Italia prima che sia troppo tardi.
Come se non bastasse, c’è chi ripete il modulo, che fu di Occhetto, con Grillo che ripropone l’impeachment del Presidente della Repubblica.
A Giovanni Fasanella, va il merito di indicarci, con la sua opera, posizioni unitarie più solide per fronteggiare ogni emergenza.

Una lunga trattativa. Stato-Mafia: dall’Italia unita alla Seconda Repubblica. La verità che la magistratura non può accertare
Giovanni Fasanella
Chiarelettere, 2013
Pagine 240
Prezzo di copertina € 13,00

Franco Santangelo

Critico e Storico

Un pensiero su “Una lunga trattativa – Giovanni Fasanella

  • 29 Gennaio 2014 in 11:53
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    TZETZE – Politica e società

    “Cosa nostra e Politica erano soci”

    Intervista al pentito Franco Di Carlo su
    Repubblica.

    Lei ha avuto parte in
    questi disegni?

    “Non ho preso parte alle stragi e non
    le avrei condivise, ma ero in carcere e ho ricevuto visite da esponenti di
    servizi che mi hanno proposto un accordo per fermare Falcone”.

    Quando?

    “Accadde prima dell’attentato
    all’Addaura dell’89, venne a trovarmi un emissario di un ufficiale dei servizi
    che era stato il mio tramite con il generale Santovito per tanti anni. Con lui
    c’era il capo della Mobile Arnaldo La Barbera, quest’ultimo non si presentò, ma
    assistette. Non lo conoscevo, lo riconobbi in fotografia in seguito. Vennero a
    chiedermi di trovare un modo per costringere Falcone ad andar via da Palermo, a
    cambiare mestiere. Mi spiego così l’attentato dell’Addaura”…

    È stato citato al processo sulla
    trattativa, andrà?

    “Risponderò come sempre, ma è
    riduttivo chiamarla trattativa: non c’è stato un accordo soltanto sul 41 bis.
    Cosa nostra e politica hanno avuto un dialogo continuo, erano soci”.

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