Il viaggio e la scrittura: Mario Carlo Angelo Dotti

Mario Carlo Angelo Dotti è uno scrittore che nel suo Zante, la sera, il faro affronta il tema del viaggio in tutte le sue sfaccettature. In questa intervista racconta la passione per la scrittura e molto altro, riesce a svelarsi a tutto tondo variando su vari argomenti che riguardano se stesso.

Che cosa rappresentano per lei la scrittura e il viaggio?
La scrittura è l’origine di un viaggio, ne è la continuazione, l’evoluzione e la conclusione che porta a nuovi viaggi. Il viaggio dell’umanità inizia con la sua storia e la storia incomincia con la scrittura. Può essere che ci siano state altre civiltà, prima di quelle conosciute, ma senza la scrittura nessuna di esse, per noi, esiste. Tutti gli esseri di questo pianeta sono in grado, al massimo, di costituire società organizzate, ma nessuno, oltre all’uomo, sa scrivere.
Non ho mai creduto che l’uomo discenda dalla scimmia se no, con lo stesso principio evolutivo, anelli mancanti o meno, avremmo anche degli uomini-cavallo, uomini-pesce e, perché no, uomini-uccello o uomini-zanzara. Se l’uomo avesse origini da una scimmia, perché le scimmie non fanno almeno qualche incisione rupestre? Nessun essere di questo pianeta, eccetto l’uomo, si preoccupa di rappresentare qualcosa: perché?

Dunque la scrittura, una peculiarità unica su questo pianeta, forse ci dice che veniamo da più lontano. Senza di essa la più sofisticata manualità non può arrivare neppure alla tecnologia; poi si può costruire un’ascia, non un cellulare, un computer, un condizionatore, una centrale elettrica, un’automobile… al massimo una slitta o un carro.

Sono le “folli” visioni degli scrittori come Salgari che, in tempi moderni, hanno cambiato il mondo. Inoltre ogni civiltà si basa su codici scritti e lo spirito umano si è evoluto sui libri, con i testi sacri, con il diritto codificato, con la filosofia. Di denaro e manovre finanziarie rimane sempre poco.
Non sono religioso ma so riconoscere che è innegabile che un libro come la Bibbia ha rivoluzionato il mondo, facendo luce sull’etica, e ciò è avvenuto indipendentemente dal fatto che Cristo sia realmente esistito oppure fosse un personaggio scaturito dalla fantasia di uno scrittore. Unita alla vita reale, la parola scritta, letta, riletta e riscritta, permette punti di vista nuovi che, inspiegabilmente, restano occlusi ai più.

Mi piace una storiella che gira da un po’ negli infiniti meandri del web. Sicuramente molti l’hanno già sentita, ma provate a rileggerla con gli occhi dello scrittore, che prende d’impatto e a piene mani, senza alcuna riserva, nettari d’ambrosia e veleni, ma poi rimugina, percorre e ripercorre e trita…

“Ciao. Io sono il coniglietto bianco. E tu chi sei?”
“Ciao. Io sono il cane-lupo!”
“Il cane-lupo?”
“Sì. La mia mamma è una cagna, il mio papà un lupo; hanno fatto l’amore e sono nato io: il cane-lupo.”
“Ciao. Io sono il coniglietto bianco. E tu chi sei?”
“Ciao. Io sono la trota-salmonata.”
“La trota-salmonata?”
“Sì. La mia mamma è una trota, il mio papà un salmone; hanno fatto l’amore e sono nata io: la trota-salmonata.”
“Ciao. Io sono il coniglietto bianco. E tu chi sei?”
“Ciao. Io sono la zanzara-tigre.”
“… ma va aff…!”

Ovviamente prima mi ha fatto ridere. Poi ho pensato a come l’apparentemente innocuo protagonista ostenti la sua “bianchezza”, quasi a bandiera della “giusta” normalità alla quale contrappone un ambiguo “e tu chi sei?”. Un po’ come dire: “Tu che non sei un coniglietto bianco, e sottolineo bianco, sei qualcuno?”. Poi non si preoccupa di dare alcun riconoscimento a cani-lupo e trote-salmonate, e tira dritto. La sola inutile risposta la dà alla zanzara-tigre, unicamente per premurarsi di far sapere che “non è scemo, lui…”. Somiglia molto, con permesso, alla maggior parte di noi.

Sulla base di un paio di credenze, tra l’altro prese a occhi chiusi e generalmente le prime in cui ci imbattiamo che, ovviamente, sono anche le più diffuse, ci permettiamo di essere compulsivamente e ostinatamente ciechi a qualsiasi realtà che da esse si discosti e ne siamo persino ottusamente e “popolarmente” orgogliosi. Quanti messaggi subliminali può contenere questa storiella? Quale effetto e diffusione avrebbe se non fosse scritta? Fra le varie informazioni che restano al di sotto della cosciente soglia di percezione, non ce n’è anche una che rende normale, ovvia, comune e unico atteggiamento tollerabile e tollerato una conformistica, studiata e arrogante ignoranza?
Quanto è potente la scrittura! Quanto può andare fuori controllo?
Premesso, per inciso, che uno dei miei autori preferiti in assoluto è Sibilla Aleramo, per l’anagrafe Rina Faccio, nonna di Adele Faccio (e chi ha orecchie intenda): un altro esempio di potenza della scrittura, ma anche del suo possibile utilizzo volutamente o (Ops!) involontariamente scorretto è Eve Ensler con il titolo I monologhi della vagina. Di qualche effetto? Indipendentemente da che cosa tratti, argomento che personalmente ritengo troppo delicato per essere preso così, a mani ruvide, e che il titolo sia siffattamente voluto nell’intenzione di vendersi il più possibile, mi viene da supporre che non si sia pensato all’interpretazione più ovvia. Ovvero: “Discorsi inutili al femminile”. Oppure, peggio, Eve Ensler non si è resa conto che qualche maschilista un tantino più sveglio replicherà immediatamente che “il monologo è l’unica forma di conversazione che la donna può sostenere”.

Sibilla Aleramo, l’eccezionale autrice di Una donna, la femminista che non ebbe bisogno di identificarsi con nessun movimento femminista, si rivolterebbe nella tomba…

La scrittura è la forza dell’umanità: stiamo attenti a come la usiamo. Con eccessiva ingenuità o avidità ci facciamo decapitare o ci impicchiamo da soli.

I “coniglietti bianchi” pensano, è vero, ma lo fanno senza osservare. Quanto è potente la scrittura?Quanto può uccidere o addirittura convincere a uccidere se il lettore è uno sprovveduto? Per Vladimir Nabokov la Letteratura è finzione. Fondamentalmente è così e purtroppo può essere anche un pericoloso gioco di specchi. Spesso è l’apparenza che uccide: provate solo a immaginare l’ipotetica scena in cui,

Inseguito da una innocua proiezione olografica, un fuggiasco si butta da una finestra e muore. Il mondo dell’editoria, e non solo, è pieno zeppo di spacciatori di pseudocultura velenosa e il cervello umano è soggetto a meccanismi inconsci facilmente sfruttabili. Certe realtà si possono osservare anche in natura e forse non a caso il succitato Nabokov fu anche un entomologo. Lo scorpione, per esempio. Se si traccia attorno a quest’aracnide un ampio cerchio di alcool e gli si dà fuoco, chiaramente le fiamme si estinguerebbero in pochi secondi e all’animaletto non succederebbe nulla.

Invece esso, vedendosi apparentemente circondato, si suicida con l’ampolla caudale colma del suo stesso veleno, pungendosi appena dietro alla testa, in un punto in cui l’aculeo può inserirsi fra le placche della dura corazza. Non discuto la sostanza, anche la spazzatura può avere un valore: esiste l’arte punk. Dico solo per l’ennesima volta che lo scrittore dovrebbe servire per migliorare l’umanità e aggiungo che il “vizio di volontà”, per errore, violenza o dolo, è riconosciuto anche dall’ordinamento giuridico italiano.

Com’è nato il suo libro?
Zante, la sera, il faro è il primo libro che ho scritto, ma non è il mio libro. Una volta pubblicato il libro diventa di chi lo legge e ognuno ne riceve quello che decide di riceverne.
Il primo impulso perché assemblassi i miei ricordi di esperienze reali assieme ai miei pensieri fu, in un periodo di grigiore, il desiderio di replicare qualcosa che mi aveva fatto sentire, sebbene fondamentalmente solo, felice di essere in qualche modo utile.
Spesso sembro essere sereno, allegro, tranquillo, ma è la crosta che limita il dilagare di una tristezza congenita, tristezza che comunque mi spinge a cercare qualcosa, e tale “maschera” è il mezzo che conosco per evitare di limitarmi a sopravvivere. Se non trovo requie in un posto, mi sembra ovvio dover cercare in un altro, che sia dentro o fuori di me. Personalmente mi sembra che agire solo dentro non porti sufficienti conquiste; un po’ come se dovessi attingere all’esterno concreto, per potere lavorare dentro, per poi di nuovo uscire e rendere partecipe il fuori delle mie scoperte, in un ciclo che si autoalimenta e che è il principio di qualsiasi crescita o contributo ad essa.

Dunque il viaggio reale a Zante c’è stato ed è durato quattro anni. Non poteva essere altrimenti: come avrei potuto descrivere le emozioni che certi luoghi regalano, senza prima averle provate? Ed è sicuramente più facile ed efficace farlo dopo averli visitati.
Ugualmente per narrare dei sentimenti della gente ho preferito viverli insieme alla stessa gente: in una festa popolare, in un lutto famigliare, nella vita di tutti i giorni, in un caffè al bar, nel lavoro…
Inoltre questo è un procedimento che funziona sempre e che tutti potrebbero sperimentare. Voglio dire che partendo da un luogo di questo mondo si arriva a un luogo dell’anima, perché è dal concreto che si traggono emozioni e sono le emozioni che possono sublimare in sentimento, che è la dimensione più elevata dell’uomo. Certo che dev’essere un luogo tranquillo, che permetta di far tacere il caos per sentire le altre voci. Questo libro lo ritengo un’esperienza delicata, nel senso di leggera e, per chi lo voglia, non troppo impegnativa. La conoscenza muove i suoi passi dalla comunicazione e per comunicare bisogna che si esca dal guscio, in modo reale oppure virtuale ma… meglio in entrambe le forme. Uscire da se stessi è un viaggio, implica uno spostamento, in primis uno spostamento di punti di vista. Perché non farlo con una vacanza che, oltre a essere piacevole, è uno dei mezzi che la gente ritiene meno insidiosi.

Fin da piccolo infatti mi sono accorto che la gente ha paura di tutto: intanto che si parla di begli ideali e bei pensieri, tutto bene ma quando si tratta, finalmente, di realizzarli, allora incominciano i guai. C’è sempre, sempre, sempre, la paura di cambiare. Mi è sembrato fattibile provare ad abituare le persone che lo desiderino, a un procedimento di approccio al mondo che possa essere graduale, piacevole e almeno apparentemente sicuro. Una vacanza è divertimento ma può essere di più, può essere speciale. Ed è proprio questo il rischio. Potrebbe succedere che ne usciamo cambiati.

Me lo dissero alcuni degli ospiti dei miei tour e così mi fecero capire tante cose. Allora quello che ho voluto fare nel libro è ripetere quello che facevo nella realtà con quei miei tour, perché è bello scoprire… il bello delle differenze! Come ho scritto nel libro: “La mia intenzione è quella di precedervi solo di qualche passo, perché vi venga naturale sbirciare dietro all’angolo, perché il vedermi fare qualcosa sposti il vostro punto di vista un poco oltre l’abitudine, senza che sia io a suggerirvi niente.”

Un semplice procedimento che dovrebbe diventare parte del nostro modo di muoverci, perché si possa essere diversi dal “coniglietto bianco” del discorso precedente. E la mia ricompensa? Il mio libro è solo un piccolo e modesto inizio ma, sempre dal libro: “Mi piace proprio pensare che possiate considerarmi con voi, compagno casuale e discreto di un viaggio che comunque rimarrà soltanto vostro” e, aggiungo ora, di un viaggio che potrà essere di tutti, perché saranno tutti a costruirlo, e che tutti, un giorno, potranno definire “nostro”.

Il suo scrittore preferito?
In questo momento è Gianluca Guadagnini di Librolibero.eu che, recensendomi, ha scritto: «n questo libro-guida Karlos ci porta con sé nella Zante più turistica e in quella meno esplorata, fatta di storie, aneddoti e paesaggi meravigliosi. Ci conduce in posti dove ognuno di noi, grazie al clima, alla gente e alla particolare luce che inonda l’isola ionica, ritrova la propria pace interiore, ascolta la propria anima e riesce a riscoprire quella voglia di riscatto ormai perduto […] Una guida non guida, un romanzo non romanzo, una vita precedente e una nuova, fatta di riscatti e di speranze per gli altri». È in grado di cogliere le più sottili sfumature della vita riuscendo a evidenziarne l’essenza ed è tanto abile da trasmettere emozioni e sentimenti in un lavoro che dovrebbe essere prevalentemente giornalistico. La sua è prosa poetica e la recensione una “recensione non recensione”… quasi un romanzo.

Se posso dire qualcosa su un altro fra i miei autori preferiti, oggi parlerei di Johann Wolfgang Goethe e de I dolori del giovane Werther. Trovo eccezionale come un uomo vissuto fra il Settecento e l’Ottocento abbia saputo esprimere sentimenti tanto complessi e delicati, unitamente a pensieri che ancora oggi sono in anticipo sui tempi. Solo una breve citazione dal testo di cui sopra: «… tutti gli uomini fuori dal comune, che hanno fatto qualcosa di grande, qualcosa di apparentemente impossibile, sono stati in ogni tempo considerati ubriachi o pazzi…»

Tre aggettivi per descrivere la sua personalità?
Apparentemente calmo, irrequieto, felicemente triste.

Chi vorrebbe ringraziare in questa sede?
A tutti coloro che si sono concessi il rischio di sbagliare, di essere denigrati se non invisi, per il solo vitale istinto di trovare qualcosa di nuovo. È con essi che l’umanità è cresciuta.

 

 

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice