Amore – Stefano Levi Della Torre

La parola “amore” è una delle 24 inserite nel progetto linguistico “gemma”, di Ugo Gianni Rosemberg & Sellier di Torino. L’editore con questo progetto si prefigge di dare un ruolo innovativo alla lettura del libro, instaurando con il lettore un rapporto partecipativo, finalizzato alla cura dei vocaboli e della lingua.

“Amore” è la parola scelta dallo scrittore Stefano Levi Della Torre al quale l’editore chiede di scrivere tutto ciò che sa su questo termine, ciò che esprime come sentimento, ma anche come impulso verso gli altri, nei vari significati, quindi, aprire un dialogo con il lettore per approfondirlo. Stefano Levi Della Torre, accademico, pittore e saggista, laureato in Architettura a Milano e insegnante alla Facoltà di Architettura nel Politecnico milanese, introduce il suo lavoro con il Cantico dei Cantici di Salomone e prosegue con S. Agostino, Freud, Ovidio, Aristofane, Platone, Socrate, Stendhal, Nietzsche, Elisabeth Badinter, i fratelli Grimm, Kant, il Vangelo, Mosè. Alcuni di questi pensatori sono poeti, altri filosofi, psicologi, santi, scrittori, vi sono anche aforismi di libri sacri che, insieme ai personaggi, sono stati immaginati come austeri, perché antichi e lontani nel tempo, ma che l’autore li fa sentire vicini, come se stessero a parlare d’amore con noi. L’amore è un termine del quale spesso si è fatto cattivo uso, specie quando esso, uscendo dall’io di ciascuno per diventare lei/lui o noi, ha raggiunto livelli alti di lirismo, ma a volte anche bassi, sino a ridursi a meretricio. Non è facile spiegare l’amore, infatti l’autore si aggancia a S. Agostino, al modo originale di spiegarlo nella triade, come prospettiva che va dal Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, corrispondente all’amante, all’amato e all’amore, sino a diventare, nel Vangelo di Giovanni, un comando «che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,17)…perché andiate e portate frutti, in quanto scelti e costituiti per portare frutti attraverso l’amore. L’autore con Freud va alla ricerca dell’aspetto fisico-ormonale intrinseco del termine, individuando nella libido la pulsione principale dell’uomo e cerca una conferma nel racconto delle metamorfosi di Ovidio, dove il pastore Tiresia aveva vissuto la metamorfosi di donna e di uomo. L’amore in modo imperativo attiva l’immaginazione, stimola l’impulso di voler sapere che cosa è l’altro, che cosa percepisce di noi, se noi ci riconosciamo in lui/lei, nel suo sguardo e se avvertiamo la sua presenza dentro di noi quale interlocutore della nostra interiorità, fino al punto di vedere, con il rapporto sessuale, l’estensione di noi stessi giungere a quella della specie e renderla eterna.

L’amore viene considerato un fatto specifico e personale, intimo e in qualsiasi termine esso si ponga, tra genitori e figli, tra donna e uomo, tra donna e donna, tra uomo e uomo, la scelta rimane aperta perché l’amore è sempre alla ricerca dell’altro. Aristofane ai due sessi aggiunse l’esistenza di quello androgeno, dalle caratteristiche sia femminili che maschili e dalle forme sferiche, ma Zeus, per evitare l’estinzione chiamò Eros, il quale fece ricongiungere gli umani facendo loro provare piacere nel riprodursi e avere l’unità solo temporanea.

La ricerca di unità venne chiamata amore e poteva reggersi sia con un rapporto omosessuale che eterosessuale. L’attrazione erotica, quindi non era altro che la pulsione a ricostituire l’unità originaria.
L’autore entra poi nel simposio di Platone con l’interrogazione di Socrate a Diotima, la quale gli dà spiegazione con il racconto mitico di Penia (povertà) e Poro (Espediente), i quali ebbero un figlio, chiamato Amore, amico e seguace di Afrodite, perennemente povero, squallido, scalzo e pellegrino, insidia dei belli e dei nobili, coraggioso, audace, risoluto, grande filosofo, non immortale e neanche mortale, poteva nascere e nello stesso giorno morire e risuscitare, era l’amato e non l’amante e per questo appariva bellissimo.

Diotima rileva che tutti gli uomini sono saturi di amore sia nel corpo che nell’anima ed è per questo che la natura vuole riprodurli e insiste nell’affermare che l’uomo ama prima ancora di sapere chi amare, perché ha la tendenza ad uscire dal sé grazie all’altro, mirando alla propria trascendenza sullo sfondo dell’immortalità, pur avendo la consapevolezza della morte.

L’autore spiega l’Amore anche in termini ormonali, definendo l’innamorato un dopato, perché sopraffatto dall’effetto della dopamina che nel maschio prolunga l’innamoramento con l’aiuto dell’ossitocina e nella femmina stimola la produzione del latte, il numero degli orgasmi e l’attaccamento ai figli. Nonostante ciò i modelli della bellezza fisica o del fascino maschile e femminile si attingono non solo nel sociale ma nella pittura, nella letteratura, nel cinema, nella moda e nella pubblicità, entrambi i generi si sforzano di piacere a sé e agli altri, l’eros nasce nel momento in cui uno/a sente qualcosa verso l’altro/a e viceversa, facendo entrare in gioco la cosiddetta “funzione vessillifera”, simbolo di vanità. Scrive Stendhal:

 l’amore è un fiore delizioso, ma bisogna avere il coraggio di andarlo a cogliere sull’orlo di un abisso spaventoso,

solo lì si superano i dubbi tra amante e amato e i conflitti di potere, si trova anche l’equilibrio per legittimarsi l’uno all’altro, legittimazione però a volte anche estorta, tanto da generare, in passato, il delitto d’onore e lo stupro in famiglia e, in tempi recenti, il “femminicidio”.

Il potere di legittimazione è la radice del rapporto “politico” fra il genere maschile e femminile, dove la dominanza del maschio tende a disattivare il potere sessuale e materno della donna per trasferirlo dal terreno esistenziale a quello normativo e istituzionale della famiglia.

L’autore, attraverso la psicoanalisi, rintraccia la ferita presente in ogni essere umano, lasciata dalla separazione ombelicale della madre insieme al desiderio incommensurabile di essere amati, infatti noi ci acquietiamo con l’amore materno e paterno solo quando ci sentiamo garantiti, la minaccia di rottura del rapporto amoroso spinge ad atti irreversibili e odiosi, reminiscenza atavica del patriarcato, che faceva passare il rapporto uomo/donna dal possesso sessuale alla proprietà fisica, costume che sopravvive ai nostri giorni nonostante esso sia in profonda crisi. L’autore fa un excursus storico, iniziando dal VII sec. a.C. quando il re assiro fece uccidere le sue mogli, le concubine e il suo cavallo perché non voleva la loro sopravvivenza dopo la sua morte, ciò rappresentò il limite che poteva raggiungere l’uomo nell’affermare il diritto di proprietà.

L’art. 587 del nostro codice penale, che prevedeva il delitto d’onore, nonostante fosse stato abolito in tutte le sue norme con legge n.442/1981, convergendo con la crisi del patriarcato, ha reso più diffuso “il femminicidio”. L’autore è convinto che il vecchio patriarcato, con la figura del padre dotata di autorità e responsabilità, è quella a cui fa riferimento non solo la società civile ma anche quella religiosa.

La violenza non avverrebbe per una famiglia impostata in modo patriarcale ma per una crisi della sua dimensione, forse per una nuova ricostituzione del patriarcato o per l’affermazione di un potere senza responsabilità. Il figlio chiede un potere assoluto sulla funzione materna della donna e assistenza psicofisica. Il declino di autorità della figura del padre e l’attaccamento iperprotettivo verso i figli da parte della madre mettono in primo piano la figura dei figli, posizione che determina il declino del patriarcato e, dunque, la crisi della famiglia. In questo contesto la figlia assorbe dalla madre, dalle trasformazioni sociali e dal cambio di mentalità una forma di liberazione, mentre il maschio vede svanire l’autorità del padre e aumentare la possessività della madre.

Sembra che il futuro d’affrontare sia difficile sia per questa prospettiva, che l’autore mette in evidenza, sia per la nascita della superstruttura patriarcale, chiamata “globalizzazione”, all’interno della quale fiorisce violenza e si prevede una minaccia seria per tutta l’umanità.

L’autore rintraccia anche nei temi delle fiabe e delle favole la motivazione della crisi della famiglia, in quanto non rafforzano l’attaccamento verso il padre e la madre, ma incoraggiano lo svezzamento sentimentale.

In questi racconti la figura del padre e della madre appaiono lontane, sbiadite e ininfluenti perché, a conclusione del racconto, ognuno raggiunge il proprio obiettivo portando all’altare il principe o la principessa.

Stendhal pensa che i racconti fiabeschi, pur non essendo reali, siano stati resi autorevoli perché interpreti di tutte le nostre aspirazioni e che la vita si ripete come una fiaba, in modo immutabile e rassicurante nella sua verità così come la Bibbia conferma la sua autorevolezza ponendosi fuori dal tempo e rimanendo invariata nella credenza dei fedeli.

La chiesa però, in particolare quella cattolica, non si pone come amante al cospetto di Dio, ma come sposa, rendendo i fedeli figli di Dio, con un amore filiale sempre vincolante ma meno ansioso di quello di un amante, perché gode della mediazione di Maria Santissima.
L’autore scopre la generosità della natura, la quale prima di indicarci il dovere ci dà il piacere di viverla, avvicinandosi così alle tesi di Kant e di Leopardi:

il diletto è sempre il fine di tutte le cose, l’utile non è che il mezzo.

Non è così l’eros, esso è un impulso che vuole essere “scaricato”, dice Freud, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, infatti la religione diffida della mistica e guarda con sospetto l’amore del credente in rapporto diretto con la divinità, come si nota nella pagina scritta da Santa Teresa nel 1587 e nella mistica ebraica che, parlando dell’unione sessuale, evidenzia:

 …il piacere è un dovere religioso, produce ugualmente la gioia della Shekhinà (l’aspetto di Dio al femminile più vicino alla creazione) e diffonde la pace nel mondo. In ciò giocano due interpretazioni, quella che l’amore scende dall’alto per volontà di Dio e quella che l’amore sale dal basso per suscitare la potenza dall’alto. Molti si chiedono anche se l’amore sia giusto, esso quasi sempre non lega con la giustizia, fra di essi non c’è coerenza, essi hanno un punto in comune, sono bendati, ma hanno significati opposti.

L’amore corregge la giustizia quando è misericordioso e la giustizia corregge l’amore quando è equa, in questo modo lo spazio fra giustizia e amore è occupato dall’etica e da qui il modulo che la regge: ama il prossimo tuo come te stesso, l’unità di misura verso il prossimo è l’amore verso se stessi, esso è anche reciprocità, che si coniuga nel “non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te.

L’io passa, così, dalla prima alla terza persona, spossessandosi della propria e vedendosi nell’altro, mentre l’etica assume forma diversa dalla giustizia che, invece, pone le persone alla pari, senza mettersi nei panni dell’altro. L’etica, dunque, oltre alla reciprocità comportamentale pone il soggetto di fronte alle proprie responsabilità, facendolo commisurare con l’altro, la giustizia, invece, dove arbitro di tutto è il giudice e la legge, non tiene conto della soggettività delle parti.

L’amore è un cortocircuito fra l’io e il tu, l’etica è un atto fra la prima e la terza persona singolare e plurale, la giustizia, invece, è un atto dell’altro con l’altro, si stabilisce, così, una reciprocità dove l’amore sta all’etica e l’etica alla giustizia. L’amore, nato da un atto libertario, come la seduzione e il corteggiamento, viene plasmato dall’etica in modo che ognuno risponda dei propri atti, dove prevalga la propria dignità e venga rotto il muro dell’irresponsabilità, dell’amoralità e dell’arbitrio. Il prevalere di questo atteggiamento modifica anche il rapporto amoroso e accade ciò che Freud definì “il disagio della civiltà”.

Il tema dell’amore è stato scandagliato sino allo sfinimento, montagne di scritti accertano la singolare e vasta interpretazione della parola “Amore”, in tutte le lingue, in tutte le lettere scritte dagli innamorati, nella moltitudine di trattati multidisciplinari scientifici e teologici, al punto che, a conclusione di questo lavoro, leggiamo:

Questo libro che non è un libro, o meglio che non è solo un libro, è la prima battuta di un dialogo che continua…Un dialogo fatto di voci diverse: per questo, qui, le pagine sono ancora da scrivere. Da te.

Sulle pagine di questo testo scorre l’onda alta del pensiero che cammina col battito del cuore dell’autore, attingendo da innumerevoli scenari intellettuali che testimoniano come, sin dalla notte dei tempi, l’amore sia stato l’elisir dell’umanità, con tutti i diversi significati attribuitigli, per questo l’autore aspetta che sia tu, lettore, a scrivere le altre pagine, nel libro della tua vita, perché il tema dell’amore è sempre aperto e mai viene delegato.

Amore
Stefano Levi della Torre
Rosenberg & Sellier, 2013
Pagine 128
Prezzo di copertina € 9,50

Franco Santangelo

Critico e Storico