Annalisa Di Domenico: comunicare una visione

Nell’attuale universo di immagini, utilizzati come principale mezzo di comunicazione, ci chiediamo spesso cosa spinge l’uomo a lasciarsi catturare da essi, e quali sono le possibilità di redenzione, perché non sempre la comunicazione è positiva e si pone come vantaggio per la società. Avevamo letto a tal proposito un interessante libro dal titolo Comunicare una visione, scritto dalla docente universitaria Annalisa Di Domenico, che oggi abbiamo avuto il piacere di incontrare. Dopo qualche domanda per esplicitare la sua visione della multimedialità moderna ci ha spiegato come quest’ultima sia colonna portante della società e in che modo possiamo farne vanto.

Cosa vuol dire esattamente “Comunicare una visione”?
Seguire una “visione” nella vita è fondamentale per poter raggiungere i propri obiettivi. La “visione” non è da intendersi nell’accezione astratta o mistica del termine, ma nella capacità di far confluire tutte le esperienze in un disegno progettuale più grande che, seppur non chiaro fin da subito, esiste come meta. Se si possiede questa capacità di “vedere”, tutti le scelte e i percorsi intrapresi, anche in ambiti diversi, si trasformano in idee finalizzate ad un unico scopo e ogni momento diventa funzionale alla “visione”. Paolo Portoghesi afferma che già il tragitto per andare a scuola da bambino ha inciso sulle sue scelte successive: «Avevo già attribuito agli edifici che mi circondavano un valore interrogativo. Queste architetture mi inquietavano, mi ponevano dei problemi che ho cercato di risolvere proprio occupandomene». Molti di noi non affinano questa capacità e vivono senza una “visione” e spesso i loro percorsi sembrano essere composti da avvenimenti e occasioni scollegate e inutili.

Come nasce l’iter di questo libro?
Il libro nasce in modo abbastanza casuale, non sono tanto le professioni quanto le scelte degli intervistati che mi hanno colpito e che hanno ispirato questo piccolo testo. Personalità complesse e allo stesso tempo molto comunicative e disponibili, archetipi creativi che spaziano e si muovono con dinamiche diverse, ma che hanno una forza progettuale che apre delle porte, che indica delle vie. Marco Delogu nel libro ci dice che non cerca di fotografare il vero, ma parte da un bisogno vero: «Era un mio bisogno farle ed è questo che mi interessa anche nel cinema e nella letteratura». Ho voluto approfondire questi incontri perché le loro posizioni hanno suscitato in me grande curiosità.

Sono chiamate in causa quattro persone diverse fra loro: un critico, un fotografo, un regista e un architetto. Ci descrive brevemente cosa l’ha colpita del loro pensiero e perché ha scelto di dare la parola proprio a loro?
Ho voluto intervistarli perché ognuno di loro ha saputo spingersi al di là delle loro specifiche conoscenze, tutti hanno perseguito e comunicato una specifica “visione”. Ugo Gregoretti quando comincia a fare i primi esperimenti di programmi televisivi, utilizza un medium sconosciuto e ci crede. È lui stesso a raccontarci che «Allora la televisione era una scatola magica, ma non si capiva bene come funzionasse. […] Inizialmente, andammo a tentoni, imparando prima l’uso degli strumenti come la macchina da presa e, poi, cercando di inventare un linguaggio televisivo». Gregoretti non si fa troppe domande, crea, inventa, ri-media (remediation) da altre realtà e altre situazioni come la radio e il cinema.

E lei cosa pensa delle immagini?
R. Jacobson afferma che «Non colui che ignora l’alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia sarà l’analfabeta del futuro». La quotidianità che viviamo, sia essa reale o virtuale, è fatta di immagini, tutto è riconducibile alle immagini. Educare l’occhio, saper guardare ci aiuta. Le immagini sono dirette, non ci danno sempre il tempo di essere analizzate e influiscono inconsciamente sul nostro vissuto. Le immagini, poi, ci pongono sempre di fronte a nuovi stimoli, a nuove questioni, come l’arte. Achille Bonito Oliva stesso vede l’arte come «portatrice sana del dubbio sistematico, contro ogni certezza garantita».

Ha progetti nel cassetto?
Il mondo è pieno di storie che possono ispirarci e che varrebbe la pena di raccontare. Un’idea è quella di proseguire sul modello del libro/intervista con interlocutori legati alla Comunicazione Multimediale e alle loro capacità di vedere oltre.

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist