Franca Mancinelli: la poesia plasmata dalle mani del lettore

Franca Mancinelli, nata a Fano nel 1981, ha pubblicato due libri di poesie, Mala kruna (Manni, 2007) e Pasta madre (Nino Aragno editore, 2013). Un’anticipazione del suo secondo libro di versi è apparsa in Nuovi poeti italiani 6, a cura di Giovanna Rosadini (2012) e nel n. 273 di Poesia (luglio/agosto 2012). Collabora come critica con Poesia e con altre riviste e periodici letterari.

Una sua poesia a cui è più legata?
In Pasta madre sono tre: Cucchiaio nel sonno, Un colpo di fucile e Dormivo su una pagina ogni notte. Si dice che negli istanti prima della morte la nostra vista sia particolarmente potenziata e che ci sia concesso vedere sfilare davanti agli occhi la verità della nostra vita, condensata in alcune sequenze fondamentali. In Un colpo di fucile immagino questo momento: le cose finalmente liberate dalla loro parte inessenziale, scorrono e si allontanano da noi, sono come foglie colte nella loro caduta, in quei pochi istanti in cui anche a loro, come agli uccelli, è concesso di volare.

Un colpo di fucile
e torni a respirare. Muso a terra,
senza sangue sparso.
Cose guardate con la coda
di un occhio che frana
mentre l’altro è già sommerso, e tutto
si allontana. Gli alberi
si piegano su un fianco
perdono la voce in ogni foglia
che impara dagli uccelli
e per pochi istanti

La poesia cos’è per lei?
Ecco, tornando a quanto dicevo prima, credo che questo piccolo e breve miracolo della visione delle cose in se stesse possa accadere, oltre che sulla soglia della morte anche in altri momenti della nostra esistenza. Con la poesia ricerco proprio questo: un’apertura dello sguardo. Tutto messo da parte, il corpo accucciato a terra, come colpito da un proiettile che gli sta sciogliendo il cuore. È da lì, dalla terra, dal nostro letto d’erba o di cotone, che il mondo appare: possiamo distinguerne nitidamente i contorni, come al crepuscolo le linee delle case, i tetti, gli alberi stagliati contro il cielo.

Che rapporto ha con il lettore?
So che Pasta madre non è un libro di “immediata” lettura e che oggi invece si chiede sempre più alla poesia di essere “comprensibile”. Non vorrei fosse uno dei sintomi dell’impoverimento culturale del nostro paese. Il linguaggio che si atrofizza e restringe le proprie possibilità espressive, l’immaginazione sempre meno attiva, sempre meno capace di portarci in viaggi che non siano guidati. Sono d’accordo con Brodskij quando scrive: «L’accusa che spesso si muove alla poesia – che è difficile, oscura e via di seguito – sta a indicare non già lo stato della poesia ma il piolo della scala evolutiva su cui la società è rimasta bloccata». Nel titolo del mio libro, Pasta madre, c’è anche l’idea del dono di una materia che deve essere lavorata e plasmata nelle mani del lettore. È lui che fa sì che resti in vita, cogliendo nel potenziale generativo della poesia ciò che più fa parte della propria esistenza. È lui che dalla pasta madre può fare un pane.

Progetti futuri?
È impossibile per me fare progetti nella poesia. Non ho mai scritto pensando di costruire qualcosa. I libri, i due libri che ho fatto uscire finora, sono venuti sempre dopo le poesie. Sono nati sul pavimento della mia stanza. Erano fogli che si allineavano in piccole file, cambiando ordine e numero, fino a che non divenivano sequenze di quello che mi sembrava un senso più ampio. Con Mala kruna ho trovato il filo di una narrazione, con Pasta madre invece ho cercato una scansione nel silenzio, un ritmo del respiro. Ora sto cercando una nuova lingua che mi porti a raggiungere un’altra parte di me e delle cose. Un ponte si va formando senza vedere l’altra riva. Cede e crolla prima di toccarla.

*La foto che ritrae l’autrice è di Enrico Chiaretti

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice