Realismo positivo – Maurizio Ferraris

«We wonder what a hedgehog/Has to hide, why it so distrusts» (Ci chiediamo cosa mai un riccio/abbia da nascondere, perché sia così diffidente). È proprio con l’hedgehog di Paul Muldoon, col riccio irto e impenetrabile, che veniamo a contatto con l’immagine di una realtà ostile e solida, una realtà che non risponde placidamente ai nostri sguardi, che non si lascia plasmare e che pertanto «non condivide il suo segreto con nessuno» , in quanto resistente. È esattamente nel concetto di resistenza che si trova il nucleo dell’ultimo lavoro di Maurizio Ferraris Realismo positivo, edito da Rosenberg & Sellier, che conferma, qualora ce ne fosse stato bisogno, il rinnovato interesse della filosofia per il realismo. Del resto, a ulteriore riprova di ciò, ricordiamo che proprio la scorsa settimana si è tenuto a Roma il convegno Conseguenze del realismo, sotto la direzione scientifica di Mario De Caro, Maurizio Ferraris e Riccardo Pozzo.

In questo agile pamphlet, dotato di una struttura regolare e puntuale con tanto di chiosa metaletteraria (col dialogo tra l’Hylas e il Philonous di matrice berkleyana), Ferraris ci dice infatti che la realtà non si limita ad esistere, ma che resiste, ci si oppone, e tale opposizione, nel limitare i nostri rapporti con essa, ci suggerisce delle possibilità. Si distacca dunque sia dai costruzionisti, per i quali la realtà conoscibile coincide con gli schemi strutturali della mente, sia dai realisti negativi, che invece non vanno oltre l’aspetto “oppositivo” della realtà. Ferraris vuole invece sottolineare l’aspetto positivo della realtà, che nel darsi ci offre già la regola per interpretarla. Se è vero dunque – ricorrendo all’esempio di Richard Rorty riportato nel testo – che «posso pulirmi le orecchie con un cacciavite», è anche vero che non possiamo usare il tavolo «come ombrello per ripararci da un meteorite». Il mondo si da, indipendentemente da tutto, e ciò è

la prova evidente del fatto che i nostri schemi e concetti non possiedono alcun valore costitutivo rispetto al mondo, ma, semmai, il loro valore è soltanto conoscitivo. Hanno insomma una portata epistemologica, non ontologica.

La realtà, quindi, dissacrata dal postmodernismo per gran parte del novecento, oggi può trovare la sua possibilità di riscatto. Una realtà cui Ferraris vuole ridare dignità ontologica, ammonendo quanti vogliano relegarla ad una dimensione meramente epistemologica. Non a caso è proprio il pensiero di Nietzsche, in quanto sostenitore dell’idea che «non esistono fatti ma solo interpretazioni», ad essere (frettolosamente?) messo alla porta dal neorealismo. Ma ancor prima Ferraris si rivolge alla filosofia trascendentale kantiana, in quanto responsabile del “sovvertimento” nella ricerca filosofica. Kant, infatti, ha concentrato la sua indagine non sulla realtà circostante, ma sulla natura delle potenzialità conoscitive umane. Ha sostituito così la domanda «che cos’è la realtà?» con «come dev’essere la nostra mente affinché possa comprendere la realtà?». Un approccio del genere, pertanto, avrebbe comportato un progressivo depauperamento ontologico del reale, fino al punto da renderlo poco più che un mito inconoscibile.
Da qui prende avvio “l’anti-rivoluzione copernicana” di Ferraris, il quale sente l’esigenza di riaffermare senza mezzi termini che la realtà esiste. I fatti, gli oggetti, le cose con cui ci troviamo giornalmente a fare i conti, non sarebbero quegli aggregati informi nei quali i dotti accademici del Novecento vorrebbero trasformarli. Ferraris tende la mano all’uomo comune, spaurito di fronte ai fumi dottrinali che gli impediscono di orientarsi in una realtà sempre meno decifrabile. Come suggerisce Mario De Caro, infatti, la vera sfida della filosofia consisterebbe nel coniugare l’ambito del “senso comune” con l’oggettività della scienza.
Il tentativo dei neorealisti di appellarsi alla concretezza del reale può a mio parere interpretarsi come reazione di difesa – legittima ma sproporzionata – nei confronti dell’attuale modernità liquida, fragile e informe. Il progressivo decadere delle certezze, infatti, ha comportato l’impossibilità ad individuare posizioni sufficientemente autorevoli in moltissimi ambiti. In un contesto così relativizzato, il new realism punta a ritrovare la concretezza del reale sovvertendo il dualismo epistemologico fondato da Locke, secondo il quale oggetto e percezione dell’oggetto sarebbero due cose distinte. A tale reazione non possiamo negare né il coraggio né l’onestà, per il suo tentativo di “solidificare” una realtà sempre meno conoscibile, quando tutti, mercato globale in testa, sembrano puntare alla direzione contraria. La totale “interpretabilità” della realtà, rischia infatti di renderla pericolosamente manipolabile, ci avvertono i nuovi realisti. Nonostante ciò, paradossalmente, sono proprio loro ad essere additati dalle vecchie leve post-moderniste per lo stesso motivo: secondo i fautori del pensiero debole il new realism imporrebbe il dato tratto dall’oggettività scientifica in maniera intransigente e inoppugnabile, prerogative dei sistemi totalitari e assolutisti. Insomma pensiero debole e neorealismo si scontrano senza esclusione di colpi su chi dei due propugni maggiormente le derive totalitarie. In mezzo a loro, forse, ancora una volta sguscia indisturbata la realtà.
Il tentativo di rottura del new realism, come tutte le “rivoluzioni”, sembra mostrare un giustizialismo sommario e sbrigativo nei confronti della pesante eredità della filosofia continentale. Il rischio è che senza un confronto profondo con quest’ultima, l’azione di Ferraris – e di quanti in Italia e all’estero si ritrovano in tale corrente – si traduce in un semplice e improduttivo revival dell’ovvio. Del resto, come ha saggiamente sottolineato Emanuele Severino, il neorealismo non fa altro che riprendere un dibattito aperto da millenni.
Inoltre, Ferraris sembra ingenuamente confondere la filosofia trascendentale di Kant col pensiero di Berkley. Kant non ha infatti decretato l’inesistenza della realtà, e neppure l’ha fatta coincidere col senso o con l’idea che da esso traiamo. Ha “soltanto” concentrato il suo obiettivo speculativo sulle procedure gnoseologiche dell’apparato umano, in quanto elemento irremovibile dal processo di acquisizione della realtà. Nessuno, tranne forse proprio il filosofo dell’esse est percipi, è mai giunto a negare il valore ontologico della realtà. Nessuno ha insomma negato l’esistenza della natura al di fuori delle coscienze umane. Neppure il filosofo della scuola neokantiana di Baden, Heinrik Rickert, negava la realtà quando affermava che

Il senso che una realtà riceve rispetto ad un valore non appartiene all’essere reale, ma si dà solo in funzione di un valore che vale, e per questo è anch’esso irreale.

Il nostro auspicio, che peraltro fa eco a quanto affermato da Severino, è dunque che il new realism si astenga da «una certa leggerezza purtroppo occhieggiante» e imbocchi con serietà e rigore la strada del confronto – di certo fecondo – con la tradizione filosofica novecentesca.

Realismo Positivo
Maurizio Ferraris
Rosenberg & Sellier, 2013
Pagine 110
Prezzo di copertina: € 10,00

Riccardo Ricceri

Medico Specialista in Neurologia