Alfredo Tocchi: come diventare immortali

Risvegliarsi da un coma e comprendere quanto la vita sia veramente appesa a un filo. È quello che è accaduto allo scrittore Alfredo Tocchi, che in qualche modo ha raccontato la sua vicenda nel libro Confessioni di un pazzo di raro talento. Un lettore onnivoro che ci ha svelato quanto lo scrivere può diventare importante ai fini dell’immortalità.

Quando e come nasce la sua passione per la scrittura?
Fin dagli anni della scuola elementare, sono stato un lettore onnivoro. Al liceo ho scritto le mie prime poesie. Ho scritto in prosa soltanto per quattro anni, tra il 2010 e il 2014, dopo essere stato in coma a causa di un’ischemia cerebrale, completando la trilogia Ciò che non è stato (composta dai romanzi Tra un anno sarò felice – edito da Zerounoundici e poi, col nuovo titolo Confessioni di un pazzo di raro talento da dEste Edizioni – Dimmelo domani e Dove fuggire, auto pubblicati su Amazon) e La principessa del carnevale di Rio e altri racconti (anche questo auto pubblicato su Amazon dopo una prima pubblicazione del racconto introduttivo Celeste da parte di Mondoscrittura).

Quali sono stati i suoi maestri?
Ovviamente, dare una risposta è estremamente difficile. Limitandomi a tre nomi, citerei Paul Auster, per me un’anima gemella, Andrei Makine, maestro nella nobile ed elegante arte del contrappunto e Céline, nichilista lucido e disilluso come me. Adoro Voltaire, la geniale ironia dissacratoria del Candido e del Dizionario filosofico.

Il suo libro preferito?
Ho amato più di ogni altro Il piccolo principe: pura poesia in prosa e immagini.

Quando scrive cosa vorrebbe trasmettere ai suoi lettori?
Scrivo per comunicare con “sconosciuti amici”, come ho scritto in una mia poesia. Voglio essere soprattutto sincero e trasmettere i miei pensieri più profondi, mettere a nudo la mia anima. È ciò che Henry Miller aveva teorizzato in Tropico del cancro e Oscar Wilde realizzato nel suo De profundis.

I suoi personaggi come vengono fuori, sono reali o immaginari?
Flaubert diceva: “Madame Bovary c’est moi”. C’è qualcosa di me in alcuni miei personaggi ma nel complesso – parafrasando Italo Svevo – posso dire che la mia trilogia Ciò che non è stato “è un’autobiografia, ma non la mia”.

Cosa pensa della vita e della morte?
Mi sono risvegliato dal coma e subito dopo sono rimasto sette mesi convalescente – dopo un intervento al cuore – sul divano di casa. Nel frattempo, oltre alla salute, ho perso soldi, lavoro e moglie. Penso che la vita non abbia altro senso che la prosecuzione della vita stessa. Sono agnostico. Ritengo che l’unica vera consolazione sia l’amore e l’unico sfogo contro l’assurdità della nostra condizione l’ironia. Proprio perché agnostico, ritengo che la vita sia la nostra condizione, l’unica occasione. Ritengo che lasciare un segno in senso artistico sia una sorta di sfida contro l’eternità della morte.

Chi è Alfredo Tocchi nella quotidianità?
Un maudit, ma soltanto a metà. Un uomo che dopo avere compreso in un istante che la vita di ciascuno di noi è appesa a un filo ha voluto lasciare – insieme ad altre 500.000, l’impronta della sua mano nella caverna (Amazon).






Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist