Le persecuzioni contro i cristiani nell’Impero romano – Raùl Gonzàlez Salinero

La persecuzione contro i cristiani nell’Impero romano – approccio critico – di Raùl  Gonzàlez  Salinero – Editore Graphe.it – è un saggio  giunto  in Italia  grazie alla traduzione di Roberto Russo che, con la generosa concessione dei diritti dell’opera da parte dell’Editrice spagnola,  diretta dal Professor Sabino Perea Yèbenes,  l’ha pubblicato in formato libro e in  formato Ebook. La prefazione è del Prof. Mauro Pesce, personaggio che ha partecipato alla stesura del libro Inchiesta su Gesù. Pesce intuisce la delicatezza del tema e nella prefazione mette in evidenza il messaggio e le pratiche sociali del Cristianesimo, il profondo radicamento nel mondo antico del giudaismo e le distorsioni che accompagnano le letture successive. Comprende come l’intolleranza dei Romani venne  trasmessa ai Cristiani e trovò delle coincidenze non astratte fra ciò che i Romani consumarono con lo sterminio di Santi, Vescovi, Preti, Diaconi e come i cristiani perseguitarono i pagani e, chiedendosene il perché, scopre che tolleranza e intolleranza sono le facce di una stessa medaglia; l’applicazione dell’una o dell’atra è legata alla volontà degli uomini, secondo il contesto socio politico in cui operano. Giunge alla conclusione che le persecuzioni sono un fatto di grande valenza storica e che vanno combattute perché non sono un elemento secondario della vita quotidiana degli uomini e  nessuna giustificazione può essere trovata nei confronti delle vittime. Conferisce il merito al Prof. Salinero nell’avere svolto un lavoro sistemico prezioso tale da permettere un’ interpretazione  storiografica delle fonti, utile e  degna di essere conosciuta.

Salinero suddivide l’ opera in tre capitoli,  con una ricca bibliografia. Inizia con l’origine del cristianesimo  e della sua evoluzione per affermare che gli studiosi attuali pervengono alla conclusione che esso più che discendere dalla religione ebraica rappresenta il gemello, nato dall’humus religioso giudaico esistente all’epoca di riferimento. Lenta fu la separazione dei cristiani dalle sinagoghe avvenuta con la costituzione delle chiese. L’autore sottolinea le gravi tensioni  venutesi  a creare  man mano che il cristianesimo metteva radici nella società, in quanto esso non accettava nessun compromesso con gli altri culti e con il politeismo dell’Impero romano, il quale proteggeva lo sviluppo uniforme di uno stile di vita e un modello che li comprendesse tutti.

I cristiani, quindi, non tolleranti di questo sistema, furono considerati  dissidenti. L’autore compie una ricerca  minuziosa  sulle vere ragioni delle persecuzioni dell’Impero romano contro i cristiani e asserisce che la crescita immediata  del cristianesimo,  all’inizio della metà del II secolo, fu vista come un pericolo per il potere imperiale, in quanto stava per nascere uno “stato dentro lo stato”, infatti i cristiani si autoescludevano da qualsiasi incarico pubblico, sia civile che militare, e all’interno delle chiese si sviluppava un’opposizione al potere romano e addirittura germogliava una dottrina politica che portava  alla negazione della pratica dei precetti prescritti dal sistema religioso ufficiale, con conseguente attacco dei fondamenti su cui poggiava la comunità nazionale romana. I cristiani vennero accusati di ateismo (termine che in seguito cambierà di significato) nel senso che negavano qualsiasi credo verso gli dei del politeismo, anzi li definivano demoni, evidenziando così un atteggiamento di sfida verso il potere costituito, il quale  trasformò di fatto la religione cristiana in una “illicita religio”, giudicandola come la causa di tutti i mali.  I cristiani presero anche le distanze dal culto per l’Imperatore, motivo, però, non centrale delle persecuzioni, quanto, invece,  fu grave l’accusa dei delitti contro i costumi (Flagitia), indicata come: orge sessuali, rituali con sangue, antropofagia (o banchetti tiestei), incesti, pratiche abortive ecc. Fu Plinio il giovane, governatore di Bitinia, a mettere in luce l’infondatezza delle accuse, ma che però trovò strani alcuni costumi e l’autore riporta il seguente testo di Ireneo a conferma di tali stranezze, non molto diverse da quelle dei contemporanei:

Alcuni di loro non si astengono neppure dall’usanza, odiosa presso Dio e presso gli uomini, della lotta con le fiere e del duello a morte uomo contro uomo. Alcuni, dediti a sazietà anche ai piaceri del corpo, dicono di ricambiare le cose carnali con cose carnali, e le spirituali con spiritualità.  Altri invece, apertamente e senza vergogna, strappano ai mariti le donne di cui si innamorano e ne fanno le loro spose. Altri poi all’inizio si comportano in maniera modesta e timorata, facendo finta di abitare insieme con sorelle, ma poi col passare del tempo si danno a conoscere per quel che sono, poiché la sorella resta incinta ad opera del fratello.

È da ritenere che le accuse di immoralità, nate da una cattiva interpretazione della liturgia cristiana, causarono persecuzioni da parte degli stessi al punto che nel 177 d.C., a Lione,  avvenne un tumulto, quasi a giustificare che fosse il popolo e non il potere imperiale a perseguitarli, chiamata “la quarta persecuzione contro i cristiani”. Le accuse procedevano ormai “per nomen” e non per imputazione come per altri imputati che, invece, potevano difendersi da ogni addebito. I cristiani infatti venivano processati a causa del “nomen cristianorum”, dove il magistrato era istruttore della causa, accusatore, giudice e in  determinati momenti di crisi economica, applicava il  diritto di confiscare le ricchezze della chiesa e dei cristiani per cederle allo stato imperiale, anche se rispettato dai cristiani.

All’ inizio  del secondo secolo d. C. i martiri cristiani convertivano il loro credo in una  grande testimonianza di fede, sdrammatizzando la loro difficile posizione nonostante il nascere della “teoria del conflitto” che, secondo una certa storiografia, vedeva uniti gli ebrei ai persecutori romani, tesi difesa dagli storiografi fino al XX secolo ma rimasta senza alcuna prova e quindi infondata, anche se inserita in un filone letterario culturale cristiano con una funzione retorica avente il compito di rafforzare l’autodeterminazione della dottrina ufficiale della chiesa. L’autore cerca di fare luce su quali strumenti giuridici i magistrati  facevano poggiare le loro decisioni, se sulle  norme coercitive  di polizia o sugli  editti imperiali, ma la scarsa presenza di documentazione induce a pensare che l’unico strumento legale in base al quale agivano  era quello  dell’istitutum neronianum, prassi giuridica basata però su un miscuglio di teorie, tanto che Plinio il Giovane fu costretto a consultare l’Imperatore per  agire contro di loro. Se la prima norma fu reiscritta da Traiano ciò testimonia che nel I secolo non vi erano norme anticristiane,  l’istitutum neronianum non era da considerarsi come una raccolta di leggi bensì il rispetto di usanze e costumi, interpretazione data da Cicerone e Giulio Cesare. Con Nerone, quindi, iniziarono le condanne morali contro i cristiani e continuarono con i suoi successori. Non vi era però nessuna  legge che prevedesse il delitto di cristianesimo e le pene inflitte per questa imputazione,  come la pena di morte, i lavori forzati o l’invio forzato di donne cristiane nei lupanari, l’azione del magistrato, quindi, non ebbe  origine nel diritto penale romano ma nel considerare l’appartenenza del singolo cristiano  come ad una setta eversiva e sovversiva dello stato imperiale. Questo sistema processuale fu conosciuto come legis actiones fino al II secolo,  dopo si sviluppò  quello per  formula fino a Diocleziano, e, successivamente, per cognitio extra ordinem. Secondo l’autore fu questo il regime processuale adottato, lo stesso di quello applicato per i criminali. Nei processi venne integrata anche la tortura in quanto i magistrati miravano a fare negare all’imputato l’appartenenza al cristianesimo, costringendo i deboli alla menzogna. Ciò portò, successivamente, i cristiani a scegliere il martirio volontario come riscoperta dei valori del cristianesimo. Quando i cristiani si presentavano volontariamente per  essere martirizzati, tale condotta eroica  faceva sfuggire da ogni controllo la situazione alla società pagana, proprio perché rievocava la morte del Cristo. L’autore presenta la sua ricerca documentale dall’alto della sua esperienza  di professore di storia antica all’università di Madrid per affermare che il martirio dei cristiani fu la più alta testimonianza di fede e la chiave di lettura dell’affermazione del cristianesimo. Uno dei più validi motivi delle persecuzioni, della tortura e del martirio dei cristiani è condensato nella narrazione di Tacito:

…l’origine del cristianesimo  risiede nella persona di  Cristo, il quale, sotto l’impero di Tiberio, era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato e, momentaneamente sopita, questa esiziale pratica religiosa di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolaio di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di turpe e di vergognoso.

Il primo persecutore dei cristiani fu Nerone, ma la prima grande persecuzione fu promossa dall’imperatore Decio, con il primo editto nel 249, con l’obiettivo non di causare martiri ma apostati che, come affermato da fonti cristiane, furono copiosi. Decio mirò a restaurare la grandezza e i valori  di Roma e la religione dei padri, ordinò a tutti i cittadini un sacrificio pubblico, punendo coloro che si rifiutavano con l’arresto, la tortura e la morte. Negli ”atti dei martiri”  germogliava già la prospettiva teologica trionfale  del martirio. Fu la seconda grande persecuzione di Valeriano nel 257  a colpire i vertici del Clero, infatti sequestrò chiese e cimiteri, impose ai Vescovi, ai Preti e ai Diaconi il sacrificio agli dèi  e sancì la pena di morte per chi si rifiutava; fu in questa circostanza che l’Imperatore capì l’importanza del ruolo sociale raggiunto dai cristiani.  La terza e ultima persecuzione fu quella di Diocleziano,  il quale continuò la confisca dei beni ecclesiali iniziata da Valeriano e mirò anche alla riorganizzazione dell’Impero attraverso la tetrarchia per superare problemi politici, militari ed economici che, di fatto, rallentò le persecuzioni ed  ebbe come effetto quello di dare ai cristiani una  maggiore, ma soltanto apparente,  tranquillità, in quanto essi, adagiandosi  alla corruzione dei costumi e dei principi religiosi, causarono scontri violenti con i pagani, dove i rappresentanti dello stato spesso furono costretti ad intervenire per sedare i tumulti. Diocleziano  fu indotto  ad emanare l’editto del 24.2.303, ordinando il rogo dei libri sacri, la confisca dei beni, la distruzione delle chiese, il divieto di riunioni, la negazione di ogni difesa per fatti di natura giuridica, la perdita di ogni carica e  privilegio nelle istituzioni della stato e l’impossibilità di raggiungere onori. Restano comunque oscure le motivazioni che portarono a una così grande persecuzione, vi furono esecuzioni di massa e le carceri si riempirono  all’inverosimile al punto che Diocleziano, nel ventennale del suo impero, concesse una specie di grazia ai cristiani, per svuotare le carceri. Solo dopo un decennio le persecuzioni si attenuarono, in quanto si giunse  alla disgregazione del sistema tetrarchico e quindi alla modificazione della società. Con la croce di luce sognata da Costantino iniziò l’era cristiana “in hoc vinces”, in quanto ciò lo portò alla conversione considerando Dio, Supremo e Cristo come le divinità che dovevano guidare la ricostruzione dell’impero romano. Nell’arco di un secolo però la situazione si capovolse, si passò dalla persecuzione di Diocleziano verso i cristiani a quella dei cristiani  verso i pagani che, come sostiene l’autore, nemmeno l’intervento protettivo della cancelleria imperiale poté fermare. Salinero conclude la sua ricerca con le parole di Montserrat Torrents: «il paganesimo non si estinse: fu eliminato dalla legge. I templi non caddero: furono chiusi e demoliti. I pagani non si convertirono: furono obbligati a farlo. Con tali precedenti, pianificare il problema della conversione del paganesimo rasenta il cinismo storiografico». L’autore con questa  conclusione riapre  il discorso della tolleranza  avviata dall’Imperatore Costantino verso i cristiani e come, in meno di trent’anni, si giunse in modo quasi assurdo alla loro intolleranza, in quanto tale religione, diventando religione di Stato, fece  iniziare  nuove persecuzioni.

Ma la tolleranza non è la disposizione, consapevole e volontaria, a riconoscere legittimità alle idee e ai comportamenti altrui?
Si potrebbe pervenire alla conclusione che il termine tolleranza ha due significati “positivo e negativo” e per lo stesso motivo, come dice Bobbio, anche il termine intolleranza.
Considerando il pomo di Eva che, secondo la narrazione biblica, Adamo non doveva mangiare, si potrebbe pervenire anche alla prima intolleranza dell’Uomo verso Dio, (da non confondere con una intolleranza  alimentare), la quale si tramanda non solo con la misteriosa sporgenza tiroidea negli uomini adulti e in qualche  donna, ma nel pensiero di ogni uomo  al quale è richiesta molta saggezza nel gestirla per evitare ogni fratricidio. I due primi esseri umani rinunciarono al Paradiso per la terra e all’eternità per entrare nella storia, infatti da loro ebbe inizio la storia dell’Uomo, quella a cui ha prestato molta attenzione l’autore di questo libro.

 

Le persecuzioni contro i cristiani nell’Impero romano
Raùl Gonzàlez Salinero
Graphe.it, 2009
Pagine 120
Prezzo di copertina € 15,00

Franco Santangelo

Critico e Storico