Bianca come il latte rossa come il sangue – Alessandro D’Avenia

Un romanzo che sa essere crudele, perché ruota attorno a ciò che vogliamo sempre evitare quando c’è di mezzo la giovinezza: la morte per malattia. Un testo però di formazione, perché durante la lettura a “formarsi il carattere” non sono i ragazzi, verso il quale è stato forse indirizzato, ma gli adulti, che hanno bisogno giorno dopo giorno di ricordarsi che bisogna vivere. Perché la morte i ragazzi in qualche modo sanno affrontarla, mentre “i grandi” assolutamente no, nemmeno quando la sfiorano. Nella sottigliezza del racconto emergono diverse sfumature, riguardanti innanzi tutto l’amore e la vita, oltre che un leggero velo di spiritualità che in determinati momenti è fondamentale. Ma la chiave di lettura del testo ruota attorno a due colori, che di solito additiamo alla purezza e all’amore: ovvero il bianco e il rosso. Il primo, che rappresenta il vuoto della vita, senza altri colori, senza altre minuzie che possano colorarlo e renderlo più visibile, e il rosso del sangue, quello che scorre nelle vene e che può essere avvelenato dal bianco della malattia e dall’ira dei nostri pensieri: il sangue sacrificato, donato, per dare vita ad altro sangue,  così come è successo a Gesù Cristo. Il bianco che è la noia, la malattia, la morte, il rosso che è la vita, la passione, l’amore.

Alessandro D’Avenia sa parlare ai ragazzi, agli alunni, agli adolescenti che fuggono la scuola, che fuggono le parole dei libri che sono sempre le stesse, ripetitive, statiche. Lo scrittore ci insegna a ragionare con la nostra testa e, in qualche modo, grazie alla morte, a vivere. Lo conosciamo tutti, è il prof che tutti vogliamo avere, il collega che ci spinge a cavarcela quando siamo in difficoltà con una generazione distante anni luce dalla nostra, seguito da migliaia di persone, il prof. che sa far vivere chi è già morto: come i suoi personaggi, quei protagonisti che una volta concluso il libro non ci sono più per forza di cose. Ma lui, poiché ama il mestiere che fa, li lascia vagare nella testa dei suoi lettori, fino a quando questi capiscono che devono smetterla di annoiarsi e “non vivere abbastanza” perché anche quando si è colpiti dal dolore possiamo fare qualcosa.

Lei adesso è pallida. Ha perso i suoi capelli rossi, i capelli che mi hanno fatto innamorare. E io non ho avuto neanche il coraggio di parlarle, di aiutarla, di chiederle come sta. L’ho vista così e sono scappato. Sono scappato come un vigliacco. Ero convinto di amarla, ero convinto di andare in capo al mondo con lei, ero pronto a fare qualsiasi cosa, ho persino donato il sangue, e poi quando me la trovo davanti scappo. Scappo come un codardo. Non la amo. Uno che scappa non ama davvero. Era piccola, era indifesa, era pallida, e io sono scappato. Faccio schifo.

Lo scrittore ci mette di fronte alla paura e al coraggio, intese non come le solite emozioni di cui si parla, perché lui non ne parla, le “aziona”, giusto per farci capire cosa sono, come si vivono. Due sentimenti opposti, ma che trovano una linea di confine comune, che una volta varcata, possono conciliare, perché laddove incomincia la paura può subentrare il coraggio non tanto di farcela, quanto di affrontare il dolore, la vita e la felicità.

Regalare il proprio dolore agli altri è il più bell’atto di fiducia che si possa fare

Ci siamo emozionati tra le sue pagine, abbiamo sofferto, e abbiamo capito che non bisogna aspettare, che non c’è tempo di attendere per vivere, perché poltrire non serve a niente, se non a morire di una morte assuefatta dall’inezia.

Ci sono due modi per guardare il volto di una persona. Uno è guardare gli occhi come parte del volto. L’altro è guardare gli occhi e basta, come se fossero il volto. È una di quelle cose che mettono paura quando le fai. Perché gli occhi sono la vita in miniatura. Bianchi intorno, come il nulla in cui galleggia la vita, l’iride colorata, come la varietà imprevedibile che la caratterizza, sino a tuffarsi nel nero della pupilla che tutto inghiotte, come un pozzo oscuro senza colore e senza fondo.

Questo testo dalla semplice lettura ci fa comprendere come la felicità risiede nella quotidianità, nei rapporti coi nostri genitori, oppure con i nostri figli, con i nostri partner e con le persone che ci vogliono bene, che stanno sempre là, a rispondere ai nostri pensieri. Il romanzo mette insieme tante di quelle cose che ci hanno predicato ma inserite in un contesto di crescita emotiva, che ci accompagna per le strade dei meandri insondabili del nostro animo, e ci incita a credere nei sentimenti dei ragazzi, il nostro futuro, che oggi è costretto a subire i mali che noi adulti abbiamo seminato.

 

Bianca come il latte rossa come il sangue
Alessandro D’Avenia
Mondadori, 2010
Pagine 254
Prezzo di copertina € 13,00

 

 

 

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist