In difesa del Welfare State – Federico Caffè

Nonostante Marx e Keynes siano stati messi in soffitta dai moderni economisti, le lobby multinazionali tendono apertamente ad abbattere qualsiasi regola che disciplini il potere economico nel mondo, pur di piegare il potere pubblico al servizio dei mercati e non del cittadino e far sì che i governi nazionali non privilegino più operatori economici e imprese locali. Le multinazionali pretendono, quindi, con la globalizzazione economica, un ruolo di “governance” dell’economia e determinare, ufficialmente, in ogni paese, la politica pubblica senza più il controllo del cittadino. Di fatto è avvenuto già uno stravolgimento del Welfare State non solo con la modificazione della nomenclatura delle istituzioni che avevano il compito di governare il paese, ma con il preoccupante condizionamento esercitato dalle multinazionali sul potere esecutivo, legislativo e anche giudiziario nei diversi paesi, al punto da mortificare quel concetto di sovranità nazionale su cui si erano fondate e costruite le nazioni.  Il pericolo che si corre, come sostiene qualche filosofo e qualche economista italiano, è quello che le democrazie vengano piegate ad una nuova forma gestionale tale da  correre  il rischio che il terzo millennio venga gestito dal totalitarismo della tecnica, privo di ogni etica pubblica e dove lo stesso Welfare State non verrà più dettato dalle esigenze del cittadino, quale detentore della sovranità popolare, ma dalle multinazionali.

Paolo Ramazzotti,  professore associato presso la facoltà di Economia e del Dipartimento di Istituzioni Economiche e Finanziarie dell’università di Macerata, già discente del Prof. Federico Caffè dell’Università di Roma, relatore della sua tesi di laurea ottenuta con lode nel 1985, condirettore della rivista Forum for Social Economics (dal 2012), coordinatore dell’area di ricerca “Institutional Change” dell’EAEPE (European Association for Evolutionary Political Economy) dal novembre 2003, Coordinatore della ricerca su Politica economica e Sviluppo in Argentina e Italia, svolta da parte delle Università di Ferrara, Macerata e Padova e della “Universidad Nacional del Litoral” (Santa Fè) e “Universidad Nacional de Rosario” in Argentina (dal 2009 al 2011), membro del Council dell’EAEPE (European Association for Evolutionary Political Economy) (dal 2010 al 2013), “Gastprofessor” presso  il Fachbereich Wirtschaftswissenschaft dell’Università di Brema (2009), ha molte pubblicazioni scientifiche in Economia, ha svolto una ricca attività didattica nelle varie università italiane ed estere e in ultimo ha curato la pubblicazione della seconda edizione di In difesa del Welfare State, di Federico Caffè, saggi di politica economica.

Ramazzotti è un grande stimatore di Federico Caffè e per questo, a 25 anni dalla sua scomparsa, lo ricorda nella sua introduzione come un personaggio limpido, motivato da grandi ideali, oltre che economista come elemento attivo della Resistenza Italiana e, successivamente, della costituente, col suo grande contributo di esperto nelle commissioni e nei ministeri. Egli, insieme a Giuseppe Dossetti, scrisse sulla rivista Critica sociale e diede anche la sua collaborazione a importanti testate giornalistiche nazionali. Alla prima edizione di In Difesa del Welfare State sulla politica economica, pubblicata nel 1985, nella quale Caffè  traccia una linea economica per il raggiungimento di “una civiltà possibile”, Ramazzotti aggiunge due saggi, scritti da Caffè ancora prima dell’originaria pubblicazione, dove rileva   l’importanza del settore pubblico nell’economia del paese, mentre nel secondo saggio cerca di scoprire l’efficacia degli strumenti creati e adottati dalla politica economica della CEE.  Ramazzotti lascia al lettore lo spazio necessario per riflettere e confrontare le teorie di Caffè con quella che è la realtà odierna, ben consapevole che il modello di mercato propugnato da Caffè oggi è gravato da interessi costituiti nazionali e sovranazionali, tanto che il pensiero keynesiano viene visto come “una rivoluzione culturale incompiuta”. Ramazzotti sottolinea come il filo conduttore del libro poggi sia sul settore pubblico che privato, mettendo in rilievo gli ostacoli di carattere politico e istituzionale che evidenziano “La solitudine del riformista”, tratto da un famoso articolo pubblicato da Caffè nel 1982. Questi contributi di pensiero, dati da Caffè, per Ramazzotti  potrebbero essere il suggerimento di un nuovo percorso, arricchito di etica, per scongiurare la morte del neoliberismo. Infatti nella sua prima presentazione dei saggi del 1985 afferma:

L’apporto del pensiero keynesiano riceve indubbiamente un rilievo prevalente nei saggi qui riuniti: ma come rivoluzione intellettuale incompiuta e non come condensato di precetti suscettibili di essere adoperati senza tener conto del modificarsi delle vicende storiche!

Per Caffè il Welfare State è, quindi, un traguardo da realizzare come elemento diverso dal profitto da porsi come energia vitale e dominante della società in quanto tanto più debole essa si rivela tanto più incompiuta rimane la “società del benessere”. Sottolinea come ogni riforma debba superare l’ostacolo della lotta di retroguardia escogitata da coloro che hanno interessi nel vecchio ordinamento, i quali tendono a respingere il prezzo ad essi addebitato, quali destinatari del costo delle riforme medesime. Tutto ciò richiede un’azione consapevole dei poteri pubblici non solo per garantire l’efficacia e l’efficienza della riforma ma soprattutto la sua fattibilità e il suo buon fine. Bisognerebbe sostenere un’ ampia distribuzione della ricchezza anziché concentrarla in poche mani e ridurre l’onerosità della tassazione, visto che gli interessi costituiti la evitano, con l’attenuazione del divario tra efficienza ed equità del meccanismo dei prezzi, lasciando pagare così al potere politico un costo che si identifica  con la perdita di consenso sociale. Il potere politico, per converso, immette, con i servizi pubblici,  forme di assistenzialismo in eccesso pur di non abbassare il consenso sociale, escludendo a priori un miglioramento in termini di qualità dei servizi pubblici medesimi. Caffè spiega anche il concetto d’inflazione e l’influenza della tecnologia nella produzione, il modo come alcune imprese si espandano eccessivamente e come altre invece vengano emarginate, facendo scaturire da ciò una lotta tra ricchi e poveri, nuda e cruda perché senza ideali. Da qui nasce una contestazione verso gli economisti italiani, una critica all’opera di Ferrara su Il Germanesimo economico in Italia, la quale esordisce con la tesi della libertà limitata che, in definitiva, superando tale limite  giunge alla distruzione della medesima ed in modo spaventoso acuisce gli attriti fra capitale e lavoro a discapito dei lavoratori, creando una  questione sociale esplosiva. Critica anche la posizione di Ferrara relativa alla monetazione e ai suoi surrogati laddove sostiene che a battere moneta potrebbero essere anche i privati. L’altra analisi riguarda L’americanesimo economico in Italia, dove l’imprenditore accetta l’ingerenza dello Stato nell’impresa fino a quando ne riceve il contributo, la respinge invece quando esso intende regolarizzare la gestione dell’impresa, facendo assumere a questo tipo di “contratto sociale” le sembianze  di una compravendita.
Federico Caffè afferma con l’economista George J. Stigler che «viviamo in un mondo pieno di politiche erronee, non erronee però per coloro che le sostengono» e sottolinea come a volte vengano effettuati degli interventi destinati all’insuccesso sin dal loro nascere.

Siamo in un momento in cui, in economia, prevale un’opinione avversa all’intervento pubblico, si è voluto contrapporre il mercato allo Stato, specie quando l’Italia ha accentuato questo percorso pervenendo alla privatizzazione delle imprese statali o parastatali, con conseguenze perturbatrici del sistema economico. Che le politiche economiche adottate dal governo possano costituire una fonte di instabilità è ovvio ed è pure innegabile che in molti casi esse siano state, di fatto, destabilizzanti. Condividere l’assoluta impotenza dell’azione governativa nell’economia del paese significa lasciare che la stessa vada per proprio conto ed è sbagliato credere che l’azione governativa possa incidere agendo soltanto sulla politica monetaria e fiscale.
Seguire i vari saggi dell’autore richiede una visione ampia e unitaria dell’economia per la difesa del  Welfare State, ma Ramazzotti  sottolinea che:

Tradizionalmente la politica per la crescita e l’occupazione è stata realizzata ricorrendo a tre strumenti: la politica monetaria, quella fiscale e quella del cambio. Sul piano teorico si è dibattuto a lungo sulla loro efficacia relativa. Oggi quel dibattito sembra essere stato azzerato da mutamenti istituzionali importanti. Sin dagli accordi di Maastricht la politica fiscale è stata vincolata dall’entità del disavanzo e del debito pubblico.

Federico Caffè prosegue nella sua tesi evidenziando le teorie del vecchio e nuovo protezionismo, il difficile incontro fra diritto ed economia e tutto ciò che rimane dell’eredità intellettuale keynesiana, pervenendo a delle considerazioni chiare sull’economia pubblica. Valuta i vantaggi conseguiti con la creazione della CEE e fa una riflessione critica sul cammino da percorrere, mettendo in risalto un’Europa incapace di assumere atteggiamenti coerenti nei confronti delle società multinazionali, le quali strumentalizzano le riforme facendo  mantenere l’egemonia al sistema di mercato senza alcun controllo pubblico e conservando i limiti e le insufficienze di un sistema che pratica e predica il laissez-faire.

In conclusione si può affermare che gli accordi europei di Maastricht e Lisbona, il primo come regolatore della stabilità e il secondo come intesa “sull’economia della conoscenza” , siano convergenti solo in parte perché ipotizzano due anime diverse di Europa, una basata  su parametri liberisti del controllo rigido dei bilanci e l’altra su obbiettivi quantitativi orientati alla sostenibilità. In questo periodo prevale l’indirizzo di Maastricht, cioè la politica dei tagli,  imposta a tutti i paesi europei, una politica che soffoca e che per molti paesi risulta insostenibile, non parte invece l’accordo di Lisbona per dare fiato all’Europa e farle  percorrere la strada “della crescita economica sostenibile con nuovi posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. L’unità europea non può fermarsi al pareggio dei bilanci e all’imposizione di tasse, entrambi  ottenuti  con il taglio del Welfare,  Ramazzotti ha fatto bene, quindi, a riproporre le tesi di Federico Caffè, quale metodo di studio e di conoscenza per percorrere una strada possibile verso un’economia che assicuri il ”benessere sociale”.

In difesa del Welfare State
Federico Caffè
Rosenberg & Sellier, 2014
Pagine 157
Prezzo di copertina € 13,50

Franco Santangelo

Critico e Storico