Due – Alfredo Tocchi

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Lei li inquadra nell’obbiettivo della macchina fotografica e pensa che forse è ora di lasciarli, di tornare in Kazakistan. Il raggio di sole che illumina il volto di lui ne evidenzia le rughe, le occhiaie scure, la stanchezza. Inizia a invecchiare e lei non vuole sprecare la sua vita accanto a un vecchio, a un uomo che s’illude di essere uno scrittore ma non riesce a diventarlo.
Lui pensa che in fondo è fortunato, che lei è bella, giovane, piena di gioia di vivere. Sorride davanti all’obbiettivo – il suo sorriso timido e un po’ storto – e dà una carezza a Wigo.
Lei scatta la fotografia, la guarda e la trova brutta, così li inquadra di nuovo e ne scatta una seconda. Ora è il suo turno di sedersi sulla panchina, vuole una fotografia sotto il ciliegio fiorito da mandare a sua madre e da postare su Facebook, per far sapere a tutti che sta bene, è bella e felice in un parco di Milano, in questa giornata di primavera.

Lui odia fare fotografie, ma s’impegna: lega persino Wigo all’albero perché non dia uno strattone mentre scatta. La vede nell’obbiettivo, sorridente ed è fiero che sia diventata sua moglie. L’ha sposata contro il parere di tutti: parenti, amici, colleghi. “E’ troppo giovane, probabilmente è soltanto alla ricerca di un pollo da spennare”. No, lui non è un pollo. Non ha più nulla, nemmeno una casa e ha considerato tutte le ipotesi. Ora, quattro mesi dopo le nozze, vive ogni notte con lei come un regalo. Ha conosciuto la solitudine, ha conosciuto l’amore. Non è un uomo capace di bastare a se stesso, ha bisogno di condividere le sue gioie – e i suoi dolori – con la donna che ama. E la ama, sinceramente.

Anche lei lo ama, ma non può sacrificare la sua vita per lui. Lui non ha più illusioni – eccetto quella assurda di diventare uno scrittore. Non ne vuole sapere di lavorare tutti i giorni, di ricominciare a fare l’avvocato. Poi è malato, lei lo ha visto alzarsi di notte, non una ma tante volte e andare in cucina a prendere di nascosto una medicina, prima di tornare a letto e rannicchiarsi in un angolo, sforzandosi di controllare il dolore. E’ troppo giovane per tutto questo, lo ama ma deve fuggire prima che sia tardi, che anche le sue illusioni svaniscano.

Lui scatta tre fotografie e le porge la macchina fotografica. Sono riuscite bene: persino la città è magnifica in questa giornata di primavera e quel ciliegio rosa è al culmine della sua fioritura. Pochi giorni e tutto svanirà, i petali cadranno e poi sarà subito autunno. Il tempo c’insegue, non dobbiamo sprecarlo. La nostra vita è unica, dobbiamo godercela.

Ora, tenendosi per mano, camminano verso il centro del parco. Wigo trotterella davanti a loro, finalmente libero. Anche lui, istintivamente, sa che i minuti di libertà sono rari, bisogna farne tesoro. Conosce la noia delle giornate trascorse a sonnecchiare sul divano o accucciato ai piedi del suo padrone. Chi li vedesse, penserebbe: “che bello, sono in due”. Invece ciascuno dei due è lontano dall’altro, vicino e lontano. Forse, se si parlassero, riuscirebbero a riannodare quel legame che – tra mille sconosciuti – li ha uniti. Ma ciascuno ha i suoi pensieri e condividerli con l’altro non sembra opportuno: lui svelerebbe la sua disperata fragilità, lei la sua dolorosa insoddisfazione.
Mezz’ora più tardi, sono di nuovo in casa. Lei è davanti a Skype, parla con sua madre. In Kazakistan fa freddo, la primavera è ancora lontana.

Lui è in cucina. Ama cucinare per lei. Senza di lei, preferiva un piatto al ristorante: troppo triste sedersi a tavola davanti alla televisione. Ha apparecchiato la tavola con cura – come sempre – e le ha cucinato pasta al tonno, uno dei suoi piatti preferiti. Tutto è pronto. Con ancora indosso il grembiule, si affaccia alla porta della sala e la chiama: “Tanya, è pronto”.

Lei saluta in fretta la madre: le ha raccontato che va tutto bene, che c’è il sole e fa caldo. Sa che sua madre è finalmente tranquilla: sua figlia è lontana ma finalmente sposata. Lui sembra un uomo gentile. E’ un po’ troppo vecchio, ma forse è un bene, terrà a bada l’irrequietezza di sua figlia. Va in bagno a lavarsi le mani e – guardandosi nello specchio – pensa che forse tra poco troverà il coraggio di lasciarlo.

Lui non sospetta nulla, ma sa che l’amore può finire. Sa che tutto può finire, che nella vita nulla è per sempre. Sa che l’uomo ragiona per contrasti: se non si conosce la solitudine, non si apprezza abbastanza l’essere in due. Scola la pasta e la porta in tavola. Sorride mentre stappa una bottiglia e versa due bicchieri di vino.
Lei lo fissa e quel sorriso le toglie il coraggio di parlare. Quel sorriso – forse – ha rinviato la fine di un amore.
Mangiano in silenzio. Tutto è perfetto, come sempre, perché lui è un bravo cuoco. Quando lui le domanda: “Hai voglia di andare a mangiare un gelato?” Lei, senza esitazioni, quasi dimenticando tutto il resto, gli risponde: “Sì”.