Conflitti: parliamone – Maria Martello

Nell’ambiente scolastico è noto a tutti quanto un insegnante lasci traccia in tanti studenti che hanno saputo vedere in lui una persona capace di riflettere sulla vita in generale. Ne sanno prendere modello qualche volta, se ne distaccano qualche altra. In ogni caso ne fa parte, con parole, gesti, comportamenti o semplici sguardi. Insieme agli alunni compone un team, funge da manager, ma non per pura autorevolezza (che di certo non guasta), solo come esempio, in quanto maestro, come erano soliti definire gli antichi greci, considerando discepoli gli allievi.

Le vite, a volte trasparenti, di quei giovani adolescenti che amano confrontarsi o scegliere riferimenti semplicemente per creare punti fermi, ruotano per una buona parte dell’intera giornata intorno alla classe, agli insegnanti e agli insegnamenti/comportamenti dei docenti. È risaputo, infatti, quanto la scuola abbia il compito di “educare” lo studente non solo per quel concerne l’istruzione ma anche per integrarlo nella società, affinché questi possa ben ponderare gli stimoli passionali, accettandoli e gestendoli. Questo in linea anche con quello che ribadisce Goethe, secondo cui l’uomo è irripetibile in ogni suo aspetto e diverso dall’altro valorizzando se stesso e alimentando la propria autostima: solo così è possibile mettere in piedi fondamenta robuste e abbattere le instabilità emotive.

Il ruolo del docente, nel contesto scolastico, conta molto. Egli è una figura professionale ma anche umana, pertanto emotiva e di certo educativa. La sua immagine rimanda, talvolta, a quella di un mediatore. Ma a quale proposito? In diversi ambiti. In primis in quello della classe, dove trascorre buona parte del tempo, dove ci sono circa 20-27 alunni con caratteri diversi con i quali basta poco per entrare in conflitto, per tanti motivi.
I litigi sono spesso all’ordine del giorno (e anche dell’ora). Essi scaturiscono non sempre da circostanze negative, ma dalla voglia di far prevalere la propria opinione. Ne parla la psicologa e pedagogista Maria Martello nel suo libro Conflitti: parliamone. Dallo scontro al confronto con il metodo della mediazione. Il polemos, dai tempi di Eraclito, è il padre di tutte le cose e, grazie a ciò, sappiamo che esiste la pace proprio perché c’è stata la guerra. Esso esprime la molteplicità lacerata dell’essenza nell’ordine dell’apparenza e ne richiede alla fine una di ordine creativo. Infatti da questo punto di vista il litigio può servire, d’accordo con l’avvocato matrimonialista Annamaria Bernardini de Pace che interviene nella parte introduttiva del volumetto, a «mettere tutte le carte in tavola» per poi stabilire i percorsi dei sentieri intrapresi e giungere alle verità.

Ma uno dei cardini fondamentali della prof.ssa Martello, che si deduce durante la lettura, non è tanto l’obiettivo della vittoria, cioè capire e decidere chi ha la meglio, quanto il significato in sé del conflitto. E poi di uscirne con serenità e soddisfazione. Proprio perché a vincere deve essere la saggezza.
Apprendiamo così diverse verità: una riguarda la storia interiore che matura poi in un conflitto, dovuto a diversi fattori (ferite dell’infanzia “non curate” ad esempio), la stessa che, con una buona dose di virtù e saggezza, l’insegnante-mediatore può, grazie anche alla sua esperienza unita alla sensibilità, aiutare per poi scoprire quello che risuona nell’interiorità – non solo conflittuale dell’allievo magari (riferendoci sempre all’ambito scolastico) –, risalendo possibilmente al disagio “primordiale”. Egli stesso interagendo trae vantaggio per imparare ad alimentare e fortificare l’educazione alla relazione.
Il testo è interessante anche perché analizza con sottigliezza persino la natura di qualche disagio, citando alcuni autori che i giovani adolescenti leggono e a cui sono affezionati (Coelho, Tagore ecc). Ciò permettere di sondare le fonti cui essi attingono e capire quanta valenza assume la voglia di primeggiare nella quotidianità, dove anche i sentimenti tendono alle mode fugaci! Forse proprio perché predomina la paura di essere diversi da ciò che impone il mercato, anziché dimostrare il coraggio accettando la propria personalità, ben contenti che sia diversa dalle altre.

Come giustamente leggiamo: «il mediatore permette di non restare ostinatamente raggomitolati su se stessi e di incontrare l’altro», quindi ciò può portare a pensare di accettare se stessi per incontrare il prossimo traendone stimoli anche per ampliare la propria apertura mentale e vivacità intellettiva.
Queste non sono altro che strategie relazionali utili per un’armonia all’interno di un gruppo che pensa. Non a caso torna in mente Cartesio con il suo Cogito ergo sum.
Disparati sono gli spunti di riflessione. Se tutta la nostra esistenza ruota intorno alla psicologia comportamentale, è bene leggere per capire quali sono i disagi che più ci riguardano. Infatti di esempi ce ne sono diversi, tutti secondo un preciso cammino esistenziale, tutti secondo mancanze (in genere di tipo affettivo) che è bene ammettere per poi superarle. Perché ogni uomo, adolescente o adulto, necessita di soddisfare bisogni fondamentali (materiali e non).

Pertanto in un conflitto occorre innanzi tutto non giudicare e non farsi trasportare dalla dinamica mantenendo un sano autocontrollo; poi analizzarlo per ricavarne i molteplici effetti positivi che esso apporta; e, infine, accrescere le motivazioni, le proprie convinzioni, permettendo di aumentare la consapevolezza della propria identità e l’autenticità di un rapporto.

Persino nel team di lavoro si possono trarre dei vantaggi. In un’azienda se aleggiano serenità e armonia ci guadagna la salute della persona, la gioia nell’esercitare la professione, il piacere di incontrarsi con i colleghi: ovvero produzione e crescita esponenziali! Mentre quando circolano pensieri negativi si minano comportamenti e le possibili attuazioni di aspirazioni desiderate. Una persona insoddisfatta non produce e ci rimette sia la persona sia il prodotto che questa genera!

A scuola, quando non si riesce a mediare il conflitto, a farne le spese non sono solo gli alunni (demotivati, scontenti, erranti e senza meta) ma persino i docenti che evidentemente rimangono vittime del lavoro meccanico legato alla pura disciplina.
E questo non solo a causa del rapporto con gli alunni, ma persino con il corpo docenti. Infatti capita spesso che nuovi colleghi (precari) subiscano atteggiamenti di indifferenza da parte di quelli già in ruolo. Essi, anche se giovani e con tante iniziative, vengono, in questi casi, boicottati dai colleghi veterani della scuola, pertanto può capitare che si ritrovino demotivati ancor prima di iniziare l’anno.

Il docente deve saper ascoltare, deve dare voce alle esigenze e alle emozioni, deve saper «trasferire l’aggressività sul piano del fare»: ovvero, sempre d’accordo con la Martello, deve impegnare le parti a non rimanere su posizioni di principio, promuovendo delle riflessioni sui comportamenti.
Tante volte, infatti, gli insegnanti possono essere vittime o carnefici: due posizioni  completamente opposte. In questo contesto ci si può associare al saggio Cicerone secondo cui in medio stat virtus.
Ricordiamo che gli alunni assorbono, hanno la sensibilità, dovuta comunque a un’ingenuità di fondo, di rilevare ogni atteggiamento del proprio docente, affibbiandogli di conseguenza una maschera. L’insegnante debole è sempre quello insicuro, vittima degli alunni i quali affermano senza indugi: «è lui che non sa tenere la classe!».
Di certo ognuno deve fare la sua parte. La mediazione, ci piace ribadire, aiuta a «individuare l’origine del conflitto e a confrontare i propri punti di vista». Attraverso questa è possibile «ricreare fiducia» in qualsiasi tipo di rapporto. Ma il mediatore è spesso una figura professionale ben definita che agisce secondo un iter oggettivo. Rimanda all’alchimia proprio perché “illumina” in qualche modo il mondo emotivo di ogni essere umano e lo fa anche con interventi di natura filosofica. E come tutte le figure professionali possiede una carta di identità e una formazione per costituire una garanzia di affidabilità.
Il testo fornisce dei criteri per scegliere persino un (buon) mediatore. Ma quando questa figura non necessita, chiunque può guardarsi dentro, movimentare la propria mente e generare nuove condizioni di rapporto positive per se stesso e per chi gli ruota attorno.
Del resto: «chi ama il prossimo attraverso il proprio lavoro ha il lavoro più bello del mondo» ci suggerisce Giorgio Rovesti, pediatra milanese che interviene nell’appendice del testo. E in qualità di insegnante (mediatore, nonché “direttore d’orchestra” quando serve!), bisogna pensare che il sapere va sempre considerato un investimento in tutte le sue sottigliezze.

 

Conflitti: parliamone. Dallo scontro al confronto con il metodo della mediazione
Maria Martello
Sperling & Kupfer, 2006
Pagine 234,
Prezzo di copertina € 17,00

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist