Gli ipocriti – Eleonora Mazzoni

Prima parte: Io vi spio. Seconda parte: Dio ti sgama. Terza parte: Per sempre. Il Sommario de Gli ipocriti (da domani in tutte le librerie) è essenziale e non immediatamente perspicuo. Di cosa parlerà il nuovo romanzo  di Eleonora Mazzoni, attrice di teatro che nel suo romanzo d’esordio come scrittrice, intitolato Le difettose (Einaudi, 2012), ha messo in scena i tormenti e le battaglie delle donne che non riescono a diventare madri?

Questa volta ci si muove nel segno di Cristo: ogni esperienza, ogni luogo, ogni relazione o dialogo descritti nel libro sono come gravati da un onnipresente sentore di incenso. Eppure l’ingresso nella narrazione è tutto fuor che monacale, ricorda anzi certe pagine alla Tre metri sopra il cielo, popolari, dense di dettagli troppo concreti, ed espressioni che a noi no, non sembrano far parte della letteratura. Sarà forse una cartina al tornasole di quanto rapidamente stia cambiando l’orizzonte di attesa dei lettori? Ci si augura solo di certi lettori.

«Non ti preoccupare, gennaio te lo regalo io» dice lui con voce né di pancia né di testa. «Vieni sul divano. Subito. Dimmi che mi ami. Dimmelo anche se non è vero.»
Dalila esce dal bagno in sottoveste trasparente fucsia a pois bianchi e neri e si inginocchia davanti a lui.
«Ti amo».

Chi sono gli ipocriti del titolo?
Quasi subito prende la parola la voce narrante che racconterà l’intera storia: appartiene a Emanuela, per gli amici Manu, quindicenne non bella, non forte, non intraprendente, divisa tra due amicizie femminili che si riveleranno entrambe sbagliate per lei, anche se complementari, quella per Linda, compagna di banco trash che parla solo di rapporti sessuali, e quella per Paola, universitaria attraente e demodè che infiamma i nuovi accoliti del movimento religioso a colpi di frasi ad effetto e citazioni poetiche. Poi c’è Valeria, la sorella maggiore, spirito libero che gira l’Europa e si scopre lesbica nel finale del romanzo (salvo essersi fatta mettere incinta da qualcuno che di certo non è donna); e Michela, la “prima della classe” del movimento religioso, la preferita di don Ettore, si sospetta per motivi poco intellettuali e molto più carnali.

Lo sfondo di tutto ciò è una Bologna ricreata a tratti con realismo e a tratti evanescente, con le vie, le strade, le scuole, l’Università, la sede dei ritrovi religiosi incentrati su volantinaggio, raccolte di fondi, organizzazione di incontri e iniziative volte a fidelizzare sempre il maggior numero di poveri ignari.
Una religiosità opprimente, incalzante, subdola, come un fango, che maschera i propri difetti e scusa quelli altrui pur di conservare la fedeltà e il timore dei suoi protetti.
Gli ipocriti in questo romanzo sono praticamente tutti. Amedeo, padre di Emanuela e Valeria, critico cinematografico che tradisce sistematicamente la moglie portandosi a letto tutte le attricette di belle speranze che passano sotto le sue mani; Sara, sua moglie, che sa e tace, sino al momento in cui chiederà il divorzio per coronare la storia d’amore che intrattiene da anni con l’amante; Paola, dipinta come una fiammella di entusiasmo e fede, scoperta a baciarsi col padre di Emanuela; don Ettore, inculcatore di buoni principi cristiani in Emanuela, in realtà confessore privato di Amedeo e muto garante di tutte le sue bassezze; Sam, il ragazzo che Manu crede di amare, nella pratica interessato solo a portarla a letto con poco sforzo, nonostante lei sia un’anonima adolescente sovrappeso e incolore; ed Emanuela stessa, che si lega alle persone per il disperato bisogno di restare in piedi. Ma non è un restare in piedi onorevole, o la fiera battaglia di un personaggio borderline: Manu non si conosce, è scontenta di sé, ingoia cibo solo per poter vomitare e mangiare di nuovo, frequenta l’infrequentabile Linda solo per non restare da sola, e, una volta giunta a toccare con mano l’ipocrisia del movimento religioso nel quale è nata e cresciuta, lo stesso non riesce a liberarsene, scegliendo vigliaccamente l’appartenenza al gregge, che anche se marcio garantisce un minimo di protezione dal mondo esterno.

Manu, che dice di detestare il padre per quello che ha fatto alla madre, arriva a scusare i suoi comportamenti rivoltanti, e a far cadere sulla madre le responsabilità del divorzio, confermandosi degna figlia dell’ipocrisia cattolica nella quale è nata e cresciuta.

Linda ha cominciato a scopare presto. Secondo lei agli uomini piace sverginare le ragazzine, o come dice, gli piace svezzarle, si credono dio, o una cosa del genere. Da piccola quando nei film gli attori si baciavano mio padre spegneva la televisione. E io mi sentivo in colpa. A me il sesso non credo che piaccia. Cioè. Più che altro è un affare che ho relegato in soffitta. Va be’. Mi tocco qualche volta, quando sono sola e non ho niente da fare, non provo granché ma mi faccio compagnia. Oggi è successo tre volte di seguito. Sono vergine e depravata.

La prosa di questo lungo libro attraversa gradualmente tutti gli stadi dell’inenarrabile, modellandosi parola per parola sulla ricostruzione pedissequa di uno slang giovanile dialettalmente connotato, denso di ellissi, parolacce, espressioni in codice, senza nessuna rielaborazione artistica a livello linguistico, uno spropositato mimetismo, e nessun filtro tra gli umori e le pulsioni della protagonista e un’opportuna maniera di porgerli, nonostante la lettura sia agevolata da un’intelligente e svelta scansione dei capitoli e da un sapiente utilizzo dei colpi di scena e delle chiuse ad effetto, che nei momenti più felici fanno pensare a una una narrazione cinematografica ben riuscita.
Ma gli adolescenti non sono così. Le famiglie non sono così. Le relazioni non sono così. E la vita non è così.

Stamattina Linda nel bagno della scuola fa su un ottimo porro, sto quasi per svenire, anche perché ho appena vomitato e non mi sento bene per niente. Lei come al solito comincia a ridere come un’idiota e a propinare i suoi vaneggiamenti filosofici su uomini e tette.
«Con le tette ci fai la spagnola e loro vanno fuori di testa.»
Dice anche che per farli impazzire devi saperci andare di bocca e di mano. Uffa. Non mi va di ascoltare le porcate di Linda, però non ho neanche la forza per alzarmi e andarmene. Lei non la smette più di parlare di cazzi in mezzo alle tette, che due razza di coglioni, e io non la reggo più. Poi mi dice: «Dai! Riprendiamoci col telefonino mentre siamo sballate».

Che l’umanità racchiuda in sè il culmine della bassezza e nello stesso tempo i più potenti slanci verso valori individuali e collettivi come la libertà, il rispetto, l’amore, lo sappiamo. Che il mondo possa fare schifo, pure. Ma qui si scava. Si viaggia nella melma.
Un libro da leggere se si ha lo stomaco corazzato, e se si è molto, molto felici.
Per capire cosa non fare nella – e della – vita.

 

Gli ipocriti
Eleonora Mazzoni
Chiarelettere, 24 settembre 2015
Pagine 256
Prezzo di copertina € 16,90

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore