Nascita dell’Odissea – Jean Giono

«Andra moi énnepe, Mùsa, polytropon os màla pollà»: chi non ricorda questo musicalissimo ritornello, facile a entrare in mente anche per chi non ha dimestichezza col greco? Il primo verso dell’Odissea di Omero pone al centro l’uomo, quell’Ulisse del quale Jean Giono, l’autore di Angelo, dell’Ussaro sul tetto, si diverte a tratteggiare un ritratto del tutto innovativo, a tratti impertinente, nel suo Nascita dell’Odissea.

Disteso sulla sabbia umida, Ulisse aprì gli occhi e vide il cielo. Null’altro che il cielo! Sotto di lui, la carne esangue della terra che partecipa ancora all’astuzia delle acque. Il mare perfido ululava dolcemente: le sue molli labbra verdi baciavano senza sosta, con baci feroci, la dura mascella delle rocce.

Così Giono sceglie di iniziare la sua personale rilettura dell’Odissea, ponendo subito in scena un Ulisse naufrago e un orizzonte mediterraneo fatto dell’abbraccio imprescindibile di terra e acqua, la prima di una lunga serie di descrizioni in cui la sensualità, la carnalità della prosa di Giono ci fa vedere, odorare e ascoltare i colori, i profumi, il chiacchiericcio di tutta una straordinaria teoria di città di porto, locande, calette nascoste, rifugi di taglialegna, abitazioni di mercanti d’olio e profumo, città di mercato, sino al luogo supremo, quello in cui in qualche modo tutto il romanzo tende come una freccia bene incoccata, Itaca, la sospirata Itaca, e la casa del cuore che sembra parlare all’antico padrone come una vecchia amica.

‘Ti aiutavo a sollevare i sacchi di olive’, diceva il muro. ‘Ti ricordi’ diceva il boschetto ‘la grande ombra che ti offrivo?’. E i fichi: ‘Mangiavi i nostri fichi assieme a Penelope: mordeva sul tuo morso’. Scivolò a poco a poco fin sull’erba morbida. Non riusciva più a controllare le membra: tutta la forza della vita gli affluiva nella testa e sporgendosi dagli occhi osservava la casa. ‘Sei tu, ragazzo mio’ essa gli diceva, ‘come torni tardi!’.

L’umanissimo Ulisse che questo breve ma intenso romanzo ci presenta è un uomo vero, che ama il vino, l’essenza della donna, il mare libero dinanzi alla prora della nave; è un uomo che soffre, che imbroglia, che rabbrividisce quando scorge il segno della presenza degli dei; è un uomo che fa i conti in tasca ai propri contadini, che s’ingelosisce alla vista delle giovani e muscolose cosce d’Antinoo, che cerca alibi per scusare la sposa dell’incuria in cui trova la casa una volta tornato in patria. Ed è un uomo che si commuove, come un bambino, al ritrovare le care cose del suo passato, come il famosissimo letto di ulivo, attorno al quale vent’anni prima

egli aveva dapprima danzato la danza crudele del lavoro, poi si era rallegrato quando, carico di drappi nuovi, il letto fu pronto ad accogliere il corpo delicato della fresca sposa. Ora non restavano più sul legno freddo che le tracce della pialla e dello scalpello di Ulisse, ma bastavano per evocare l’artefice e il nugolo delle sue bestemmie.

E lei, Penelope, questa donna eccezionale che in Omero si faceva simbolo dell’onestà e della fedeltà, è in Giono una bellissima femmina, non più giovane, i cui occhi verdi come il mare hanno trafitto il cuore riottoso del giovane Antinoo, giovinetto che si piega all’amore di lei quasi di malavoglia, perché gioisce in realtà delle delizie della vita campestre solitaria.
Non c’è filosofia in questo piccolo capolavoro, quanto un realismo travolgente e rigoglioso che abbraccia tutti gli ambienti e tutti i personaggi, di un’umanità disperatamente sincera. Il divino, l’animale e l’umano si compenetrano come le tracce di un’enorme forza vitalistica emanante dal creato.

Attraverso la descrizione di questo mondo vivacissimo e per niente lontano dalla sensibilità moderna, ma anzi scintillante metafora di ciò che meglio conosciamo, Giono ci mostra la nascita di un mito, il più affascinante nella storia dell’Occidente, e ci spiega come possa essere possibile che, in un universo dove i confini tra verità e menzogna sono così labili, l’invecchiato reduce da Troia, di così immaginoso e suggestivo eloquio, si trasformi davvero nel forte eroe attorno alla cui fronte scherzavano le dee, che dopo le sue imprese «dormivano tra i suoi capelli e, al mattino, scivolavano fino alla sorgente della sua bocca».

Ulisse, del quale tutti bevono le parole come dissetandosi a una fonte meravigliosa, diventa davvero più forte grazie alla fama della sua finta forza. Massacrerà col solo aiuto della suggestione il giovane Antinoo, riaccenderà con lo stesso potere l’amore – in realtà mai sopito – nella sua diletta Penelope, ma si farà odiare, per il proprio successo, dal figlio Telemaco, che in Giono nulla ha della positività attribuitagli da Omero.
Uno splendido libro di voci, di terra, di colori, di quotidianità e di sangue, di uomini e di donne che poggiano i loro piedi sui sentieri della vita, con le loro piccolezze e le loro meschinerie, con le loro passioni inseguite, perdute, ritrovate.

 

Nascita dell’Odissea
Jean Giono
Guanda, 2005
Pagine 156
Prezzo di copertina € 6,38

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore