L’odore salmastro dei fossi – Diego Collaveri

A Livorno, la città dove il romanzo noir L’odore salmastro dei fossi di Diego Collaveri (Fratelli Frilli Editore, 2015) è ambientato, i canali vengono detti “fossi”, cosicché sembra che in Toscana sia stata ricostruita una piccola Venezia a misura d’uomo.
Qui opera il commissario Botteghi, un uomo maturo dal passato doloroso, che lo ha visto perdere la famiglia in circostanze mai ben chiarite, segnate da sensi di colpa che egli si porterà dietro per tutta la vita. Mario Botteghi è un grande fumatore, incurante della sua salute: anzi, sembra che accendendo una sigaretta dietro l’altra, a ritmo compulsivo, egli voglia punirsi per non essere riuscito ad evitare l’ineluttabilità della sorte. E quando inizia questa estenuante caccia all’uomo, volta ad individuare una “talpa” all’interno del sistema, che tutto vede e prevede, la cortina di fumo che sempre fa da cornice alle sue gesta pare accecarlo e oscurargli per lungo tempo la realtà. Perché la soluzione all’enigma è lì, sotto ai suoi occhi; egli deve solo analizzare la prospettiva da un punto di vista più distaccato.

Difficile se di mezzo c’è una lunga scia di morte – tanti sono i cadaveri che si susseguono – quale conseguenza di un’indagine legata ad un traffico di clandestini, dove sembra esserci di mezzo un politico corrotto che sta cercando in tutti i modi di incastrarlo. Infatti, Botteghi si risveglia in un vicolo, dietro la chiesa diroccata nel centro storico di Livorno. Qualcuno gli ha dato una botta in testa. Poco distante c’è una pistola che ha appena sparato e un cadavere.

Presi un bel respiro. I sensi riconobbero qualcosa di familiare nell’odore di salmastro, portato dal mare, misto al puzzo ristagnante dell’acqua dei canali che attraversavano la città. Un brivido freddo mi scosse da capo a piedi, facendomi muovere.

Botteghi si rende subito conto che incolperanno lui dell’accaduto, e nessuno crederà alla sua innocenza, dato i suoi trascorsi. Non ha altra alternativa che alzarsi da lì, fuggire e rimettere insieme i pezzi. Deve indagare e scoprire chi ce l’ha tanto con lui da ingaggiare una vera e propria messinscena. Una caccia all’uomo che si rivela duplice: Botteghi cerca la talpa, e il resto del mondo cerca lui, perché lo ritiene il colpevole.

Di chi potrà davvero fidarsi? Gli amici, in realtà, si contano sulle dita di una mano.

Se c’è qualcosa che mi ha insegnato questo caso è che devo poter contare più che mai sull’appoggio di uomini a cui affiderei la mia vita. Quindi non posso permettermi chi non ha fiducia in me.

L’autore utilizza spesso un tipo di prosa che rasenta il linguaggio poetico, soprattutto nelle descrizioni dell’ambiente circostante. Questo, a mio avviso, rappresenta il suo punto di forza e, al tempo stesso, anche un paradosso. Le descrizioni sono molto piacevoli da leggere, ma stridono con l’essere “rude” tipico del protagonista, che spesso utilizza anche il turpiloquio per interagire coi suoi uomini. Poesia e noir forse parlano due lingue un po’ differenti e dal loro connubio nasce un’innovazione.
Una storia cinematografica, che ben si presterebbe a divenire una fiction.
A “ricoprire” tutto, quell’odore salmastro, tipico delle città bagnate dall’acqua, che a volte sembra di avvertire davvero.
Un romanzo non particolarmente originale, ma nel complesso interessante e suggestivo.

L’odore salmastro dei fossi
Diego Collaveri
Fratelli Frilli, 2015
Pagine 156
Prezzo di copertina € 8,42

 

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa