Antonio Mesisca con Nero Dostoevskij

In quest’intervista Antonio Mesisca ci parla della sua passione per la scrittura e del suo romanzo Nero Dostoevskij, e del perché abbia scelto di citare lo scrittore russo.

Nero Dostoevskij affronta un tema importante e attuale: il gioco d’azzardo. Com’è nata l’idea di scrivere questo libro?
Considero i vizi e le debolezze dell’essere umano aspetti estremamente affascinanti. Fonti di disperazione aperte a  scenari imprevedibili. L’azzardo e i loschi giri che ci gravitano intorno per primo. L’idea era quella di approfondire un argomento di peso con ironia per restituire al lettore un testo leggero e divertente. E mi auguro di esserci riuscito.

Perché Dostoevskij?
Tutto nacque il giorno in cui qualcuno mi raccontò che Dostoevskij aveva scritto Il giocatore di getto, in una notte, per rivenderlo ad una rivista letteraria e ripagarsi i debiti contratti al gioco. Questa cosa mi colpì molto, mi girò in testa per un po’ finché mi decisi ad entrare in libreria e comprarmi quel libro. Mi piacque ma più di tutto mi piacque la sua storia. E poi rimasi colpito dai titoli delle sue opere, c’era una sorta di filo conduttore che si sposava bene con il romanzo che faticavo tanto a scrivere. Pensai di usare il titolo di ogni opera per ogni capitolo e lasciarmi guidare da quella traccia. Diventò tutto più semplice e venne fuori Nero Dostoevskij. Non so quanto ci sia di reale nella storia della stesura de Il giocatore, ma mi piace pensare che andò proprio in quel modo.

Una frase del testo che vorrebbe regalare a chi ancora non ha acquistato il testo?
Direi l’incipit:
«Chiusi i conti con il gioco d’azzardo una sera di dicembre, quando, imputato dell’ennesimo ammanco dalle casse della gioielleria, sparai a mia moglie a sangue freddo. Non le lasciai il tempo di ripetermi che ero un fallito, un povero morto di fame raccolto per strada, che campavo alle sue spalle, che buttavo nel cesso i risparmi di una vita. La spensi con la stessa disinvoltura, con l’identica consapevolezza con cui si smorza una radio.
OFF. Fine delle trasmissioni».

Quando ha iniziato a scrivere?
Sono circa dieci anni che scrivo, in modo molto discontinuo e senza metodo. Scrivo solo quando ne sento necessità, non cerco mai di forzare perché mi rendo conto di buttare via il tempo, che la volta dopo dovrò cancellare quasi tutto. Meglio un’ora alla settimana ispirati che tutte le sere costretti. Nero Dostoevskij ho iniziato a scriverlo nel 2009 e l’ho finito quattro anni dopo. Fondamentalmente sono una persona pigra, il giorno che scrivere mi restituirà sempre lo stesso divertimento che provo nel leggere probabilmente sarò diventato un bravo autore.

Scrittori a cui è più legato?
Mi piace moltissimo Etgar Keret, racconti brevi bizzarri, neri e commoventi.
Poi mi hanno molto influenzato i romanzi di Bazell e di un autore francese poco conosciuto al cosiddetto grande pubblico che si chiama Nan Aurosseaux. Tra gli italiani direi Cavina, Ervas e Carlotto, che per uno scrittore di noir è imprescindibile. Su tutti comunque Pino Cacucci.

Tre aggettivi per descriversi?
Pigro, impaziente, indeciso. Poi ho anche qualche difetto.

Progetti futuri?
Sto scrivendo un altro romanzo sulla falsa riga di questo che spero di ultimare entro l’anno prossimo. Sarebbe già un grosso risultato.

Grazie a…?
Alle mie bravissime editrici Chantal e Eliana Corrado e all’agenzia Talento Letterario in primis nel boss Gianluca Calvino. Non fosse per lui adesso non saremmo qui a parlare di Nero Dostoevskij.

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice