La questione più che altro – Ginevra Lamberti

 

Oggi mi sono alzata dal letto, ho aperto la porta di casa, sono uscita di casa, fuori di casa c’era la valle dove vivo. La valle dove vivo ha dei difetti oggettivi, tipo quello di essere permeata dalla morte civile, ma a parte questo è un posto esteticamente pregevole.

Dove siamo?
In Italia, in uno di quei luoghi che in maniera così naturale riescono a unire il valore artistico-paesaggistico alla totale assenza di prospettive di crescita, ma principalmente, direi, siamo nell’incipit del romanzo d’esordio di Ginevra Lamberti, La questione più che altro (Nottetempo 2015).
Lei, che è nata a Vittorio Veneto nel 1985 e che è arrivata al primo romanzo passando attraverso la scrittura sul suo blog e varie prove narrative brevi, ci racconta di Gaia, o meglio lascia che Gaia si racconti da sè, prendendo a poco a poco i contorni di una controfigura che, seppur non esaurendo del tutto le esperienze dell’autrice, si fa pretesto per buttare nella pagina una buona dose di autobiografia. Il che non è male, quando da ciò scaturisce una illuminante e bizzarra concrezione di giudizi, aneddoti, scenette, esperienze del mondo affastellate semplicemente camminandoci in mezzo, e maniere di filtrare, di percepire, di reggere, di sdrammatizzare gli scossoni della vita.

Gaia è un’universitaria fuori corso che un solo esame separa dalla laurea, e vive in una periferia della campagna veneta, ai margini della civiltà. Le sue giornate sono popolate di presenze senza nome, e alcune neanche più vive, nonna-di-su, nonno-di-giù, la genitrice, il genitore, le amiche della nonna che schiacciano col bastone da passeggio le lumache incinte, il gatto geloso del “cavo dell’internet”, l’amica cosmonauta e due colleghi di università che condividono con lei una sconcertante bravura nel traslare da una casa condivisa all’altra i pochi effetti personali contenuti in cassette della frutta.
Cosa c’è in questo libro?
Sostanzialmente la quotidianità di una giovane di oggi alle prese con la beffarda inconsistenza delle offerte di lavoro reperite “nell’internet”, con il complesso micromondo delle responsabilità e degli affetti familiari, con la contemporaneità percepita come surreale e per molti versi grottesca, con il tempo che scivola come una gondola lungo i canali di Venezia ma senza lo stesso romanticismo, con le proprie ipocondrie, idiosincrasie, che si cristallizzano in attacchi di panico scambiati per infarti e in sogni pre e post apocalittici che si lasciano dietro una scia di poco rassicuranti stati d’animo.

Il linguaggio che Ginevra ha scelto, e sul quale ha parecchio lavorato, è una scorrevole mistura di frasi accessibili e riferimenti colti, di allocuzioni, segmenti fissi che ritornano con cadenza regolare creando un sostrato a metà tra il rituale e l’allucinato, e conducono il lettore lungo l’andirivieni degli stati mentali di Gaia, personalità densa di ironia, capace di un sarcasmo un po’ sardonico, utile a digerire la tabula rasa del suo futuro incerto, tutto da costruire.
Spicca in forte chiaroscuro il personaggio del padre, malato ma pieno di vita, nel quale si concentra l’emotività della voce narrante anche se in modo elusivo, un padre che compare in sequenze come questa:

Gli ho detto che non doveva preoccuparsi per me e per la stagnazione dell’economia, intanto per via del fatto che sono miracolata, e poi perché almeno un posto da traduttrice di istruzioni per lavatrici lo avrei trovato di sicuro. Mi ha detto per quando ti laurei tu, fanno le lavatrici che si traducono da sole.

O questa:

Intorno, tutto è parcheggio. Dentro agli occhi dei suoi dipendenti, tutto è parcheggio. Il genitore indica i parcheggi esteriori e interiori con ampio gesto della mano troppo gonfia e mi fa, un giorno tutto questo non sarà tuo. Poi dice, ho un tumore.

E ne potremmo scegliere altre mille, una per argomento, così da creare una surreale cartina geografica che tocchi tutti i punti nevralgici di cui si parla nel libro, il lavoro che non c’è, l’università ormai più simile a un non-luogo che a un luogo, la casualità dei rapporti umani, una solitudine soffocante dalla quale non distolgono i racconti di sporadiche chiacchierate, sporadiche cene.

C’è umorismo. C’è modernità. C’è spirito di osservazione. E quel senso del tragicomico che tratteggia e deforma persone e situazioni. C’è tristezza, anche. La tristezza di una generazione che anche quando vale impiega troppe troppe energie ad autoconvincersene, e alla fine si svuota, così che, se sceglie di raccontare, racconterà alla maniera di Gaia: come uno che fedelmente prenda nota. Come uno che si faccia cronista dell’assurdità che ha attorno. Come uno che non abbia ancora fatto i conti con il proprio peso sulla terra, ma che abbia sviluppato una formidabile, irresistibile arma di difesa: quella del disincanto, ovvero, di un’autoironia che conquista.

 

La questione più che altro
Ginevra Lamberti
Nottetempo edizioni, 2015
Pagine 204
Prezzo di copertina € 13,00

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore