Come fossi solo – Marco Magini

Dirk, Dražen, Romeo: alle voci interiori di questi tre uomini Marco Magini, giovane finalista al Premio Calvino 2013 classe ’85, sceglie di affidare la narrazione di un pezzo di storia recente d’Europa, e neanche dei più conosciuti. Il fatto è il massacro di Srebrenica, ove dal 12 al 16 luglio 1995 furono uccisi tra gli 8.000 e i 10.000 musulmani bosniaci ad opera dell’esercito serbo: siamo nel pieno dell’autentico dramma che sconvolse la ex Jugoslavia, e del quale l’autore, allora bambino, poteva comprendere solo a grandi linee la portata, attraverso i telegiornali.

Ma quella che ci racconta nel suo libro di esordio (Come fossi solo, Giunti 2014) è una storia vera, che deve evidentemente averlo colpito nel profondo: un genocidio, una guerra, la fotografia di un terremoto politico e sociale, tematiche estremamente impegnative per un inizio, e che denotano una certa consapevolezza.

L’attacco è potente, visivo, cinematografico (non per niente questo libro ha di recente vinto il premio “Un romanzo per il cinema”): veniamo a contatto coi pensieri di una psicologia prettamente maschile, e d’improvviso siamo noi che ci stiamo facendo la barba, siamo noi a percepire l’odore di vomito nel bagno che non abbiamo mai visto ma che ci sembra immediatamente riconoscibile. Invece è Dirk, casco blu olandese tornato a una vita “normale” dopo essere stato di stanza a Srebrenica assieme al contingente Onu colpevole di non aver impedito la strage.

Mi gira la testa. Mi siedo sulla tazza per pisciare in modo da non perdere di nuovo l’equilibrio. Lo spazzolino, il dopobarba, la crema per il viso: ogni singolo oggetto si trova esattamente dove si è sempre trovato e dove sempre si troverà. Mi tiro su: è solo l’immagine riflessa nello specchio a essere fuori posto in questo cazzo di bagno.

Dirk beve un gin tonic dopo l’altro in pieno giorno anziché mangiare i cibi sani che la moglie gli ha lasciato, e in un lampo di furia omicida distrugge con violenza il suo salotto, sbriciolando dalla prima all’ultima tutte le fotografie elegantemente incorniciate che stavano lì a sdrammatizzare, allontanare un passato troppo fuori dagli schemi per figurare in una casa borghese: ma è tardi per la rabbia. Dirk, dovevi agire prima.
Dražen Erdemović, la seconda voce, è un giovane serbo-croato con sposa e bambina che si arruola nell’esercito serbo per assicurarsi il pane atto a nutrire la sua famiglia. Mite, riflessivo, mosso da un senso di giustizia che gli procurerà prima l’irrisione e il disprezzo di tutti i suoi commilitoni, poi – per ben due volte, l’una peggio dell’altra – il rischio di morire, e che infine lo porterà a confessarsi colpevole, unico tra tutti i responsabili dell’eccidio, dinanzi alla corte del Tribunale penale internazionale, è la figura dell’antieroe per antonomasia: si nasconde sul fondo di una camionetta durante un’imboscata in cui volano i proiettili, vomita quando è il suo turno di stuprare una prigioniera, se la prende col contadino a cui ha appena salvato la vita quando si rende conto che per questo nobile gesto si è giocato la reputazione di fronte alle truppe. Di sé dice da solo:

Vorrei trovare parole migliori per spiegare questo mio senso di inadeguatezza, vorrei dirgli che anche io avrei voluto fare la mia parte , ma tutto quello che riesco a mettere insieme sono queste due frasi  a mezza bocca, una breve difesa da un’accusa che non mi è stata nemmeno mossa.

Romeo, la terza voce, è un giudice spagnolo di mezza età che ha preso la propria partecipazione al Tribunale penale internazionale come un avanzamento di carriera: osservatore, lucido di mente anche se non integerrimo, avezzo alle avventure extra coniugali garantitegli dalla sua posizione e a muoversi all’interno delle complicate interazioni sociali connesse col suo ruolo, è capace di una estrema autocritica, e si conosce così bene da intuire già, dopo la presuntuosa visita del collega francesce finalizzata a ottenere il suo appoggio per l’assoluzione di Dražen Erdemović, che piuttosto voterà a favore della condanna, pur di non darla vinta a un giudice che considera il processo a un uomo come un palcoscenico sul quale dimostrare la propria supremazia retorico-culturale.

Quando Romeo González era uno studente universitario il franchismo era ancora una cosa seria. Con la censura non si scherzava e lui era sempre stato un ragazzo intelligente, ma non un eroe. Seduto alla scrivania del suo ufficio, Romeo González ebbe la chiara percezione di come quel posto stesse davvero succhiandogli ogni forma di entusiasmo. «Sono stanco» disse a se stesso a mezza voce. «Quando questa storia sarà finita, tutto tornerà a posto, tutto tornerà come prima».

Lo stile è buono, con un linguaggio incisivo, semplice, atto a seguire lo snodarsi dei pensieri. Frasi brevi, alcune aforistiche, tendenza all’introspezione riflessiva. Forse si può crescere in quanto a realismo nei dialoghi – come deve essere difficile riuscire a dare il senso di quel che potevano realmente dirsi due persone in mezzo ai colpi di mortaio!

Sostanzialmente è un libro dell’immobilità, del tempo che consuma e logora il cervello, dell’impotenza, è un libro dei piani che sono più grossi di te, un libro del coraggio e della codardia, è un libro della burocrazia che paralizza, e degli esseri umani impreparati alle scene vere della vita. Dirk rimane sconvolto dell’uccisione di un suo compagno che gli muore tra le braccia: ma Dirk, Dražen, dove pensavate di andare, arruolandovi? Forse che non è dai tempi dell’Iliade che alla guerra si muore?
Di Come fossi solo si è fatto un gran parlare: noi volontariamente non ci stiamo soffermando sul pathos e sulla drammaticità delle scene più crude. Leggete il libro.
Una bella prova, e una testimonianza coraggiosa. Per ricordare che «A Srebrenica l’unico modo per restare innocenti era morire».

 

Come fossi solo
Marco Magini
Giunti, 2014
Pagine 224
Prezzo di copertina € 14,00

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore