La caparra dell’anima – Ugo di San Vittore
La caparra dell’anima di Ugo di San Vittore, a cura di Manlio della Serra, editrice Armillaria 2015, è un testo nato nel contesto storico del Medioevo (1200), periodo oscuro che, in Francia, ha caratterizzato tutto il quadro storico-culturale di quell’epoca, creando un pregiudizio difficilmente rimovibile non solo per la distanza temporale ma per l’irripetibilità di alcune teorie acquisite. Poche sono le strutture di pensiero autonomo, molto originali ma sufficienti per poter parlare di una cultura pluralistica. Essi hanno rappresentato gli elementi di innovazione che hanno allargato il campo del sapere, costituendo le componenti essenziali del quadro socio-politico dell’epoca, specie in Francia. Si diffonde la grammatica, la dialettica e la retorica per meglio conoscere i testi sacri, si ha molta fiducia nella ragione umana, per i teologi è il mezzo per superare l’inadeguata esperienza sensoriale. Ciò porta ad uno scontro ideologico e radicale in quanto accredita «una scienza divina che parla la lingua degli uomini». Il diverbio fra grammatica e teologia suggerisce ai contendenti di rivendicare ognuno il ruolo di perfetti interpreti della scrittura sacra, dando così una maggiore importanza all’uso della parola utilizzata per accrescere il valore della dialettica. Il curatore, dopo aver chiarito il contesto storico-culturale di una Francia diversa da quella attuale, si sofferma sull’autore, Ugo di San Vittore, teologo e autore dell’opera il De arrha animae, che mira ad escludere il conflitto tra forma e contenuto, utilizzando la ragione. Agostiniani e Domenicani spolverano Aristotele e, per certi versi, oscurano le tesi di Ugo di San Vittore, il quale, pur preservando la terna agostiniana (anima/corpo/spirito), imposta una identità nuova tra potere e volere divino, affermando che la conoscenza dei vari saperi deve essere finalizzata all’accrescimento di una ricchezza individuale, distribuibile con opere di carità e amore.
Ugo immagina l’amore terreno proiettato in quello divino, il peccato originale non ha corrotto la natura dell’anima e ha come fine il ritorno a Dio per sua volontà in quanto, nella sua divinità, l’ha resa bisognosa di rinnovamento, rivelando l’amore dell’anima come amore verso Dio, quale intima ragione d’amore di sé medesima e verso il prossimo. L’amore che ama l’amore, quale concetto di replica infinita, non è governato da leggi, perché l’amore non ha regole, è la legge della carità che risolve e riassume l’amore nella sua gratuità, presidiando su tutte le virtù, esso non ha limiti ed include anche l’amicizia, sotto la supervisione dell’amore del Creatore. Con la pubblicazione del De arrha animae, Ugo di San Vittore vede ogni individuo come il maestro della propria anima, capovolge così, le tesi molto diffuse dell’anima imprigionata nel corpo umano che esercita il predominio sulla materia, sino a mediare le tesi di Sant’Agostino. L’uomo vive sotto lo sguardo vigile di Dio per essere protetto come istruttore della propria anima, prima ancora che egli possa indirizzarla in un’altra direzione. L’amore per ogni creatura è un bisogno, non esercitarlo indebolisce l’anima e questo dualismo, propugnato da Ugo, porta verso l’amore divino, ove l’anima accede in modo progressivo e continuo, perché non trova sazietà soltanto nei beni terreni, dai quali vuole uscirne per non restare relegata come in un esilio forzato, cercando sempre il Creatore. Ugo sostiene che l’anima, data in caparra all’uomo da parte del Creatore, ha necessità di convincersi dell’esistenza di questa verità immutabile, che si riflette su sé stessa e suddivide il dialogo uomo/anima in tre parti: prologo, soliloquio e confessione.
Essa non va colta nella bontà invisibile del donatore ma nel suo pegno d’amore dato per il bene della verità, legge eterna su cui si fonda l’amore. È così che Ugo interpreta qualsiasi condizione di disagio dell’anima, non imputabile a Dio ma alla creatura che la porta, nonostante l’innato impulso di amare. Ugo coglie il rimprovero di Dio verso le devianze dell’anima, la quale spesso pretende l’esclusività dell’amore, per questo accusata spesso di corrompersi e, quindi, di deturpare la sua bellezza. La corruzione dell’anima non può essere causata da Dio, il quale ama tutte le creature dell’universo e necessita dell’amore partecipativo del creato, non esilia, quindi, l’anima che, attraverso la carità, genera il rinnovamento dell’amore, quale fine ultimo del Creatore. Il lavaggio dell’anima e la sua purificazione trovano la sua catarsi nel banchetto eucaristico, dove viene soddisfatto il bisogno di guardarsi allo specchio e se esso dovesse comunicare degrado, per rivestire di nuovo la propria innocenza, senza vergogna, sarà necessario ravvedersi e rompere le catene del peccato, ritornando così all’origine divina. Il curatore, Manlio Della Serra, sottolinea come l’opera di Ugo di San Vittore riesca, nonostante il tempo trascorso, a coinvolgere anche coloro che sono a digiuno degli accadimenti del Medioevo, in quanto il De arrha è un opera di forte testimonianza di spiritualità.
A te mi rivolgo, anima mia: tu hai saputo cosa hai ricevuto ed è necessario che lo sappia ancor di più, affinché non cominci a congetturare su quelle cose che non hai ricevuto o a non ringraziare per quelle che hai ricevuto.
Il cuore del libro è rappresentato dal soliloquio tra corpo e anima, dove si vuole dimostrare che tale dualismo non può essere opposto ma complementare, dove ognuno accoglie l’altro interrogandosi tra il sentire e l’agire, fino a compiere un viaggio personale e collettivo in tutti i meandri dell’essere umano ed avere, come fine ultimo, la simbiosi fra anima e corpo. Ugo nella sua confessione riconosce in Dio il Salvatore e avvalora il ruolo dell’uomo nel restituire il pegno dell’anima così come l’ha ricevuta in dono, per questo rivolge la sua supplica all’anima:
Ti prego, anima mia, abbiamo già detto molto: dopo tutte queste cose, uno solo conosci, uno solo prediligi, uno solo segui, uno solo afferri, uno solo possiedi.
L’anima risponde:
Questo scelgo, questo desidero, questo bramo con tutto il cuore.
Nel suo prologo egli invita i fratelli a usare questo monologo d’amore come leva per sentirsi più vicini a Dio e imparare meglio l’esercizio della carità per raggiungere il vero amore, l’amore eterno, infatti afferma:
Questa vita è transitoria perché si desidera l’amore eterno.
Claudio Bagnasco indica, in modo convincente, nella sua postfazione metaforica, i rischi dell’assenza di dialogo fra anima e corpo.
Anche Simone Weil definisce il difficile ruolo dell’anima nell’arco della sua breve vita:
Iddio pena, attraverso lo spessore infinito del tempo e della specie, per raggiungere l’anima e sedurla. Se essa si lascia strappare, anche solo per un attimo, un consenso puro e intero, allora Iddio la conquista. E quando sia divenuta cosa interamente sua, l’abbandona. La lascia totalmente sola. Ed essa a sua volta, ma a tentoni, deve attraversare lo spessore infinito del tempo e dello spazio alla ricerca di colui ch’essa ama. Così l’anima rifà in senso inverso il viaggio che Iddio ha fatto verso di lei. E ciò è la croce.
Interessante e utile è, quindi, il lavoro di Manlio Della Serra nel presentarci l’opera di Ugo di San Vittore. E gli mette in evidenza il vuoto odierno creatosi non solo nella chiesa cattolica, dove ogni discorso di fede si è allontanato, costringendo lo stesso Papa a parlare più spesso di corruzione, di violenza, di politica e di fame, ma un vuoto esistente soprattutto nella società civile, che vede assente l’uomo con il suo essere, anzi vede la presenza di quell’uomo che agisce con un corpo senza anima! Diventa così l’uomo del terzo millennio, inventore di azioni che dividono e reazioni che si formano attorno ad un falso dio, portatore di morte e non di vita, come se avesse perso o restituita al Creatore la caparra dell’anima. Sarà sufficiente l’indulgenza proveniente dal Giubileo, proclamato da Papa Francesco, a riportare l’uomo sulla retta via?
La caparra dell’anima
Ugo di San Vittore
a cura di Manlio Della Serra
Armillaria, 2015
Pagine 164
Prezzo di copertina € 12,00
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