Pater familias – Massimo Cacciapuoti

Matteo si sforzava di connettere con maggior precisione le sequenze del suo passato, e più andava avanti, più s’accorgeva che la vita di Eugenio, di Michele, di Antimo e di tutti gli altri messi insieme, era una penosissima storia d’infanzia violata, negata. Per questo amava a dismisura quei ragazzi, per quel sentimento acutissimo di pena che gli ispiravano.

Vorrei consigliarvi il primo romanzo dello scrittore napoletano Massimo Cacciapuoti, pubblicato già nel 1997 da Castelvecchi, uscito nel mese di novembre 2015 con la nuova stampa di Edizioni Cento Autori. Nel 2003 l’opera è divenuta un film multipremiato, con la regia di Francesco Patierno.
Attraverso una lunga scia di soprusi e violenza, l’autore mette in scena una provincia napoletana gretta; una di quelle realtà che si fa fatica a considerare possibile. Nel paese descritto regna una profonda ignoranza, causa ineluttabile di delinquenza, e l’unico modo per reagire alla propria “pochezza” sembra essere la forza. I giovani sono delinquenti; i padri di famiglia, appunto, sono inadeguati e violenti; la donna è considerata meno di niente e di continuo deve sottomettersi all’uomo, cercando di soddisfarne le ataviche pulsioni.

Il protagonista è Matteo, un trentenne che ritorna al suo paese, alla periferia di Napoli, dopo dieci anni di assenza. Ripercorrere quei luoghi rievoca in lui i ricordi del passato, che si fondono col presente. Rivivono così le storie dei suoi amici: ragazzi sfortunati e dal destino avverso, che adesso non ci sono più. Gli episodi di squallore e di violenze subite si susseguono, l’una dopo l’altra.
I personaggi ed i nomi sono tanti, impossibile ricordarli tutti. Ma alcuni colpiscono più di altri. Roberto, ad esempio, morto cadendo da un palazzo danneggiato da un terremoto; Antimo, ucciso da un carabiniere in seguito ad una rapina andata male; Eugenio, detto Geggè, che si uccide perché il padre gli ha rubato tutti i risparmi e non può cambiare vita.

E poi ci sono le figure femminili della storia: Rosa, Anna, Antonietta e le altre. Accomunate dal dover subire continua violenza; dall’essere scelte dal “boss” della banda e non potersi ribellare; dal dover perdere l’amore e coprirsi di vergogna per colpe non così gravi – per esempio, rimanere incinta era considerato un disonore irreparabile.
Quello che colpisce in questa storia è che la vita valga davvero così poco. Questi ragazzi vengono rinnegati dai loro stessi padri, quasi non fossero sangue del loro sangue. Fra consanguinei si è addirittura disposti ad uccidersi a vicenda, così come non ci sono gerarchie a tutela. I genitori non si curano prima dei loro figli, come sarebbe logico, ma vi è un’unica “giungla” in cui ciascuno pensa solo per sé.

Con i suoi monumenti antichi, Napoli svetta alta e maestosa e fa da contraltare alla grettezza della periferia. Mentre alla malinconia di Matteo si unisce il senso di colpa per avercela fatta, quando gli altri sono morti o hanno avuto la vita devastata.
Attraverso un linguaggio colorito, vicino alla lingua parlata, Massimo Cacciapuoti ci offre un suggestivo spaccato di letteratura neorealista. A tratti la prosa è approssimativa; in altri punti aulica e ricercata. Così come duplice e ampio è quel divario nella società, lontano da questi luoghi disagiati.

Pater familias, seppur col suo titolo latino, ci ricorda quanto duro sia nascere in determinati luoghi ed avere il destino già segnato. Un “morbo” che appesta e si ramifica, ponendo i giovani con le spalle al muro.

 

Pater familias
Massimo Cacciapuoti
Edizioni Cento Autori, 2015
Pagine 254
Prezzo di copertina € 10,00

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa

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