Dormiremo da vecchi – Pino Corrias

Vorrebbe, Pino Corrias, affabulandoci nella sua maniera spiccia e cinematografica, farci credere a una verità studiata e costruita a tavolino, e cioè che Oscar Martello, il produttore faccia da bandito più ricco di Creso e più famoso di tutta Dolceroma, sia il miglior ideatore di sceneggiature sulla piazza: invece è proprio lui, Corrias, che potrebbe dare dei punti allo stesso Martello.
Questo perché nella storia che inventa – speriamo, ché se fosse vera ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli – sembra di ritrovare traccia di quel vecchio adagio di eccelsa provenienza, che recita più o meno così: «se compare un fucile nella prima scena di un racconto, stai ben sicuro che prima della fine della storia quel fucile sparerà».. Il che starebbe a significare, calandoci nella contingenza della sua storia, che l’abile utilizzo di flashback e anticipazioni, unito a una buona dose di dettagli seminati a manciate qua e là, fanno di questo intreccio una lettura ad alto potenziale di interesse.
Dormiremo da vecchi (Chiarelettere, 2015) non è un romanzo nel senso vero e proprio del termine: è più che altro una narrazione, condotta da una voce onnisciente estremamente informata, esperta e mondana, che ama regalare al lettore un certo numero di ben studiate frasi ad effetto (se il lettore le capisca o meno, dipende da quanto è rapido: per stare al passo con questa rutilante girandola di eventi deve esserlo, e molto).
Ma cosa succede, nella storia? I protagonisti sono tre, Oscar Martello, il produttore cinematografico di poco sopra; Andrea Serrano, ombroso sceneggiatore rampante; e Jacaranda Rizzi, attrice che si è affermata nonostante il suo hobby consista nel distruggere sistematicamente il proprio equilibrio psicofisico con l’ausilio di droghe e tutto quanto possa servire a frantumare nervi, neuroni e amor proprio. Lo sfondo naturalmente è Roma, la Roma di Cinecittà, del Supermondo dei privilegiati, la città eterna del lusso e dei giochi di potere, che però l’autore, in uno dei suoi rari momenti lirici, riesce a descrivere in simili termini:

È una di quelle mattinate che fanno brillare Roma come fossero d’oro i suoi millenni: Campo dei Fiori dondolato dal vento di ponente ha ancora il profumo dell’estate che sa di albicocche e di basilico. Un vento piccolissimo che spettina le terrazze in fiore, spande l’odore dei caffè tra i tavolini dei bar, i banchi del mercato all’aperto e le chiacchiere dei turisti.

Tra i tre protagonisti si sprigiona un movimento autodistruttivo messo in moto da un obbiettivo da raggiungere: salvare un film di mafia all’italiana dall’imminente flop, salvarlo architettando una finta sparizione dell’attrice protagonista (Jacaranda) in corrispondenza dell’uscita nelle sale, così che giornali, televisioni e web alimentino la curiosità del pubblico, creando un vero e proprio caso mediatico con conseguente colossale afflusso nelle sale. Panem et circenses, niente di nuovo, quel che ha sempre fatto felice il popolo di Roma: solo che le regole nel corso dei secoli sono cambiate, la società pure, e così quella che doveva essere una romantica fuga d’amore dell’attrice con lo sceneggiatore si trasforma nell’innesco di una bomba a mano che nessuno sa chi stia davvero per lanciare, quando grazie a due sciacalli gossippari «si aprirà il grande vomitatoio della Rete dove centinaia di anonimi sputeranno le loro calunnie di piccoli frustrati e grandi depressi».
Parole poco tenere di Corrias riguardo all’era dei social network… Ma per i ricchi romani ne ha di ancora più secche, nel tratteggiarne un ritratto fulmineo in occasione di un funerale:

L’ultima volta c’è stato con Oscar per Mariangela Melato, senza neanche la voglia di entrare, gli è bastato il colpo d’occhio della folla assiepata fuori. L’esposizione universale di occhiali da sole e cappotti Prada. La batteria di fotografi. La recita in grande stile del dolore collettivo. Che poi è il modo di festeggiare in lacrime la circostanza di essere tutti ancora vivi e godersi in santa pace il rimorso della morte altrui.

Un gran mondo di ricchezze spropositate, desideri meschini, nulli ideali, verità apparenti e sfuggenti, intrighi e sgambetti, scalate al potere e scheletri nell’armadio, ville, terrazze, barche e palazzi popolati di

donne magre e ancora addestrate alla corsa, molte con piccoli tatuaggi alle caviglie ma grandi disegni di futuro in testa, sparpagliate tra la schiera delle mascelle dei maschi che masticano a braccia conserte, tutti con un’aria non rassicurante, con gli stomaci allenati a digerire i sassi del potere, e quando occorre anche a lanciarli per spaccare le corna al prossimo.

Fotogrammi suggestivi, non affreschi, perché Corrias è veloce come la sua storia, spezzoni, pezze, immagini, che si affastellano in una variegatissima indigestione di tipi umani e situazioni, come questa:

Andrea prosegue. Cerca un bagno. Ma i bagni sono pieni di gente che si ammucchia, sniffa, si fotografa e si trucca. Ne trova uno piccolissimo e vuoto. Si serve. Poi capita nella cucina grande, quella centrale, con musica reggae a bassa intensità, dove stanno tutti in piedi, età media vent’anni, dondolando e mangiando le cose più varie, polpette al curry, biscotti, salame, yogurt, sottaceti, budini al cioccolato. E masticano, aiutati dal loro giovane metabolismo. E inghiottono. E bevono.

In tutto ciò, nel marasma di figure che abusano di privilegi, di droghe, di sesso a pagamento, di notorietà a prezzi modici e di bugie quasi gratuite, in un microcosmo in cui

si usavano le parole come pietre acuminate da incastrare dentro le vite altrui, come armi per alimentare i cattivi sentimenti, coltivare invidie, svelare segreti, insinuare, calunniare, spaventare, irridere, umiliare,

si delinea in controluce la figura di Andrea Serrano, questo giovine sceneggiatore bello e dannato che sembra uscito dalla penna di un De Carlo (con buona pace di tutti e due gli scrittori!), un “pianista di donne” mai vanaglorioso, che si è creato il proprio personale inferno da cui faticosamente risalire, introverso e viaggiatore, coltivatore di solitudini ed esperto in frasi monosillabiche che dicono un decimo di quel che una persona normale direbbe a trovarsi nelle situazioni in cui lui si trova. Andrea Serrano è il miglior amico di Oscar Martello e non sa bene neanche lui perché, forse per caso, forse per insofferenza, forse per superficialità…

S’innamora di Jacaranda che reputa una donna fuori del comune, e muove la nostra pietà alla fine dei giochi, perché è l’unico che, pur non avendo la tigna di condurre i giochi dove gli pare, non smentisce la propria essenza di sognatore buono (anche se ingenuo).
Jacaranda invece potrebbe dare la stura a un’interpretazione poco poco maschilista della società da parte dell’autore (ma forse è solo la fotografia di quel che è): quando la donna inciampa e cade in basso è perduta, se a cadere è l’uomo invece, fosse anche il peggio bandito pendaglio da forca, avesse anche camminato sulle teste dei suoi amici per arrivare in cima, beh, ci sta simpatico perdio!, soprattutto se un bravo scrittore s’impegna sotto sotto a farcelo piacere, come fa con

l’immensamente ricco e prepotente Oscar Martello, che si pregia di convocare l’intera Dolceroma con una sola riga d’inchiostro: «Ore 21 – Vi aspetto a casa – Aventino – Roma, rsvp», répondez, s’il vous plaît. Con questo esagerato birignao di non mettere nemmeno l’indirizzo per esteso. Ma a onor del vero chi, tra gli abitanti di Dolceroma, ignora dove abiti «quel grandissimo figlio di puttana di Oscar Martello?».

Noi ora lo sappiamo, perché abbiamo letto il libro. Stiamo ancora sorridendo, dopo tanto fango, del finale paradossalmente aperto, che rilancia in un colpo di reni – o di scena? – come a sollevarsi dalle proprie ceneri.

Dormiremo da vecchi
Pino Corrias
Chiarelettere, ottobre 2015
Pagine 256
Prezzo di copertina € 16,90

 

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore