Monte Carlo – Peter Terrin

Difficile trovarsi di fronte a un libro che sia assieme una storia a prova di bomba – per quanto semplicissima –, un raffinato esempio di sensibilità umana e un saggio perfettamente autonomo delle possibilità della narrativa contemporanea… «Magistrale, elegante e all’avanguardia! Passaggi che ti costringono a leggere e a rileggere con una disinvoltura atrocemente sublime», è stato detto a proposito di Monte Carlo (Iperborea 2016), l’ultimo romanzo dello scrittore di lingua olandese Peter Terrin.

La maniera migliore di accostarsi a questo libro è forse quella di leggerlo come una scoperta, senza cioè indagare anzitempo su chi sia l’autore e su cos’altro abbia scritto, per lasciarsene folgorare come da un piccolo capolavoro: e infatti la grande luminosità di Monte Carlo, la limpidezza dell’espressione in frasi che sembrano lavorate al cesello, la particolarità dei suoi strani ma estremamente realistici personaggi, devono essere assaporate in libertà, senza che l’orizzonte di attesa sia turbato o influenzato dalla conoscenza delle tematiche usualmente trattate da Terrin, del quale non vi diremo niente, se non che «è uno dei più interessanti autori di lingua olandese» (Nrc Handelsblad).

Jack Preston, giovane meccanico inglese che ha scoperto la propria abilità coi motori a tredici anni grazie al paziente lavoro su un vecchio trattore agricolo, è ora arrivato a far parte del team di meccanici della scuderia Lotus: proprio per questo si trova a Monte Carlo sul circuito più famoso del mondo, ove il principe di Monaco, il pubblico e la stampa mondiale attendono l’inizio del Gran Prix e soprattutto l’arrivo di Deedee, desiderabilissima e giovane stella del cinema francese. È con l’esplosione di un’auto da corsa appena lei entra in pista che la vita di Jack Preston cambia per sempre: mosso da un impulso fortissimo Jack avvolge con un abbraccio Deedee e le fa scudo con il proprio corpo, offrendo la schiena alla furia del fuoco e riportando dal suo atto di eroismo gravissime ustioni.

Di qui parte la snervante attesa di Jack, tornato al suo villaggio natale nella campagna inglese: un ringraziamento, un cenno, un segnale di gratitudine, personale ancor prima che pubblico, della giovane attrice il cui viso ha salvato dal fuoco. Ma niente, lei sembra non aver dato peso alla cosa. E anzi, col passare del tempo Jack e i suoi compaesani, che lo avevano salutato come un eroe, vengono posti di fronte al fatto che la stampa reputa fautore del salvataggio la guardia del corpo di lei.

In fondo nessuno era presente, nessuno può provare che davvero Jack abbia riportato quelle ustioni per salvare Deedeee. La Lotus addirittura lo licenzia, preferendo liberarsi in questo modo della macchia che potrebbe danneggiare l’immagine pubblica della scuderia.

Con una precisione agghiacciante e una poesia che sembra quasi fuori posto, Terrin dà vita a una surreale storia di ossessione e introspezione psicologica, l’inseguimento dell’approvazione del mondo da parte di un individuo francamente giusto e capace di coraggio, ma inevitabilmente offuscato da un lavorio mentale che lo porta a perdere di vista i punti di riferimento oggettivi e a crearsi una realtà parallela in cui ogni apparizione pubblica di Deedee, ogni sua dichiarazione alla stampa, sono segnali di amore rivolti a lui e solo a lui. Sullo sfondo una galleria di coscienze e volti che anche quando solo accennati sembrano avere tutte le capacità per imprimersi fortemente nell’immaginario del lettore.
Piccole storie nella grande, e la grande storia nelle piccole, come la metafisica breve parentesi dedicata all’allunaggio del 1969.

Il buio non è ancora buio. Non del tutto, non in cielo. Il cielo è una pelle tesa e liscia che scolora uniforme nel blu più pallido ed evanescente, così spento che niente al di sotto è più distinguibile. Al massimo si delinea un contorno – l’altopiano. Nella campagna gli animali chinano il capo e si coricano. È una sera di luglio e in cielo non c’è né luce né buio per miglia, dal villaggio fino al ponte medievale, l’unico rumore è il ruggito di quattro cilindri impetuosi sotto il cofano di una Cortina Lotus. La luce dei fari scivola bassa tra gli spettrali argini alberati, fiutando il macadam. In quell’istante coesistono l’una accanto agli altri, i fari, il buio, e l’ultima luce. L’Apollo 11 galleggia in orbita attorno alla luna, l’Eagle è atterrato e Buzz Aldrin tira fuori un’ostia e e del vino dal suo kit personale. Jack Preston imbocca la curva degli alberi, ingrana la terza, affonda il piede sull’acceleratore, con la coda dell’occhio vede la staccionata del pascolo… Lì il buio è buio e in alto, molto in alto sopra Aldstead, Aldrin prende la comunione e alla radio esorta a rendere grazie, tutti quanti, ognuno a proprio modo.

Monte Carlo viene a porsi nel solco delle opere novecentesche sull’identità e sul malessere dell’individuo, ma le supera portando sulla pagina le paure tutte contemporanee che affliggono gli uomini del nostro tempo. Scalza con agilità le pastoie di certe prose ipertrofiche per farsi netto ed essenziale nella sua maniera di raccontare, mantenendosi impalpabile come la luce di un giorno d’inverno.
Quel che resta di inspiegato è un tributo alla fantastica e alla volte inquietante casualità della vita.

 

Monte Carlo
Peter Terrin
Iperborea, 2016
Pagine 160
Prezzo di copertina € 16,00

 

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore