Igor Patruno: il 1975 attraverso un romanzo

In questa intervista l Igor Patruno parla del suo libro e della sua passione per la scrittura. Racconta degli anni Settanta e del periodo delle Brigate rosse, il suo romanzo è legato a una inchiesta giornalistica, e ovviamente a delle morti.

campi di maggio è un romanzo forte, emozionante e attuale, come è nata l’idea di scriverlo?
L’idea di una storia ambientata negli anni ‘70 risale all’estate del 1985 quando scrissi l’abbozzo di un romanzo che raccontava di una giovane donna rimasta vittima della sua scelta di aderire alla lotta armata. Era una vicenda totalmente immaginaria. Il manoscritto restò abbandonato e incompiuto perché non mi piaceva. Mi resi conto che avevo bisogno di tempo per affrontare quegli argomenti. Anche se ho continuato ad accumulare materiali, dai ritagli di quotidiani ai volantini del movimento del ’77, dalle riviste dell’epoca ai tanti saggi e romanzi pubblicati, ho rimesso mano all’idea solo nel 2005. Mentre iniziavo a scrivere ho capito che dovevo ispirarmi a storie vere, perché solo così avrei potuto tornare dentro quegli anni. Io amo raccontare i personaggi minori della Storia, quelli che nessuno vede, quelli che vengono dimenticati in fretta. Tra le tante vicende ho scelto quelle di Andrea P. e Silvana R., due giovani morti nel 1975 in circostanze mai chiarite. Ho chiesto e ottenuto dalla Procura di Roma l’accesso agli atti delle inchieste e ho intrecciato la loro storia vera a quella del protagonista del romanzo, Antonio Delle Piane, un personaggio immaginario, un giornalista giunto al termine della carriera, che decide di fare una inchiesta alla vecchia maniera sulla morte dei due ragazzi. La narrazione, in prima persona, si sviluppa quindi su due piani temporali. Il piano del presente di Antonio, che coincide con il presente del lettore, e il piano del suo passato, nel quale si ripercorrono eventi accaduti tra il 1974 e il 1980. Una volta stabilito cosa raccontare ho scritto e riscritto i vari capitoli finché non ho trovato la voce narrante giusta.

1975, un anno importante, perché proprio nel 1975 accadono tutti quegli omicidi?
Il 1975 è l’anno nel quale la violenza, anzi direi la ferocia, diventa più percepibile. I gruppi che avevano scelto la strada della lotta armata contro lo Stato alzano il tiro e passano dalle azioni dimostrative agli omicidi. In verità le BR avevano iniziato a uccidere l’anno precedente a Padova nel corso di un’incursione nella sede del MSI di via Zabarella, ma si era trattato di due omicidi non pianificati. Il cambio di strategia, l’impazzimento omicida, avviene nel 1975, dopo la morte di Margherita Cagol, la moglie di Renato Curcio. Anche i Nap, dopo la morte di Anna Maria Mantini nel giugno 1975, iniziano a progettare azioni sempre più tremende. Relativamente a I campi di maggio il 1975 è cruciale perché Andrea P. e Silvana R. sono realmente morti proprio in quell’anno. Tra l’altro la loro fine venne legata, nelle cronache dell’epoca, proprio alla vicenda dei Nap. Ad ultimo c’è nel novembre del 1975 l’assassinio di Pier Paolo Pasolini. Un capitolo de I campi di maggio racconta qualcosa sulla notte all’Idroscalo di Ostia. La brutalità e l’assurdità della sua morte spezzò in due il decennio e finì per rappresentare l’avvento di una violenza imprevedibile, spietata, bestiale.

Una frase del romanzo a cui sei più legato?
“Restai per quattro mesi ignaro del mondo. Intanto le piogge bagnavano la città e le sue ansie. Uscivo per andare all’università, per comprare l’indispensabile, per camminare da solo quando lei non c’era, senza avere consapevolezza degli spostamenti, degli incontri, dei discorsi scambiati con gli altri. Restavano i pomeriggi immobili, i silenzi assordanti della notte, la musica trasmessa alla radio mentre ci stringevamo nel letto”.

Cosa rappresenta per te la scrittura?
La scrittura cerca il senso dell’esistenza svelandone le fragilità. La voce narrante pone quelle domande sulla vita che nella nostra quotidianità non possono trovare spazio. Ecco io credo che la scrittura, quando è davvero tale, permette di andare oltre ciò che siamo costretti ad essere, mostrando ciò che avremmo potuto essere, o che potremmo essere. Nessuna pretesa di dare giudizi, ovviamente. La scrittura non giudica, si limita a raccontare. Nel farlo però apre squarci nella realtà e consente di svelare, di trovare quel che manca, che sfugge, che resta nascosto. Tutto ciò ancora non basta. Uno scrittore deve essere capace di coinvolgere il lettore, altrimenti il suo lavoro resta vago e inespresso.

Tre aggettivi per descriverti?
Non saprei descrivermi con gli aggettivi, però posso dirti che amo la leggerezza, l’esattezza e la molteplicità.

Progetti futuri?
Ho iniziato a scrivere un romanzo ambientato tra l’Italia e la Francia negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. Una storia, ispirata a fatti accaduti e a personaggi reali, sospesa sull’orlo di un baratro che ha poi inghiottito sessanta milioni di anime. Non è però un romanzo storico, il romanzo di genere non è nelle mie corde, mi interessa piuttosto l’atmosfera che si respira sul bordo di eventi inimmaginabili. Credo sia di una stupefacente attualità.

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice