Maria di Ísili – Cristian Mannu

Sembrerà strano, ma i luoghi condizionano le persone, almeno nella realtà. Nei libri, invece, questo che è un semplice dato di fatto rappresenta la sfida lanciata alla sensibilità di ogni scrittore, che ciascuno raccoglierà a seconda del proprio potenziale, della propria poetica, dei propri intenti rispetto a opera risultante ed effetto prodotto nel lettore. Personalmente ho sempre ammirato due categorie di scrittori: quelli che senza mai essere stati in un luogo riescono a ricreare la suggestione e la complessità di un mondo lontano rendendolo estremamente vivo (gli scrittori alla Salgari, per capirci), e quelli che protendono ogni fibra del loro essere a trasporre su carta le voci, gli odori, i colori, le situazioni, le sensazioni legate alla terra in cui vivono, mirando a un “distillato” di immediata forza comunicativa. Cristian Mannu appartiene alla seconda categoria. Il suo primo libro Maria di Ísili (Giunti 2016), col quale ha vinto il Premio Calvino, è un libro scritto per e sulla Sardegna: vi si racconta attraverso la successione di dieci differenti voci la storia tormentata di Maria e della sua famiglia, distrutta da un unico gesto senza ritorno: la fuga della giovane, appena sedicenne, con il marito della sorella. Si può immaginare come quest’atto abbia potuto essere considerato all’interno di una società profondamente ancorata alla tradizione, legata al decoro della famiglia, a mentalità propense ad attribuire esclusivamente all’individuo di sesso maschile la possibilità di fare delle scelte.

Non che la scelta della giovane Maria sia condivisibile in toto: non stiamo certo parlando di una novella Antigone, che sfida le leggi della comunità per dare legittima sepoltura al fratello morto in battaglia. Maria, adolescente fantasiosa, colta, ardente, capace di tessere incredibili arazzi di rame e lana muovendo le dita sul telaio come un pianista sul pianoforte, muove il passo che cambierà tutta la sua vita per amore. E amore è quello che indusse sua madre a lasciare la Sicilia per la Sardegna inseguendo un uomo già sposato, e sempre amore – delle donne, dei loro corpi – quello che brucia in Antonio Lorrài, il ramaio gitano bello come un eroe, spingendolo a una vita di vagabondaggi ed errori.

Cristian Mannu dipinge un paesaggio naturale di selvaggia bellezza quando descrive le terre, i venti, e le campagne infuocate di papaveri viola, e al contrario ci fa scivolare nelle depressioni più nere quando si tratta di dare vita a scenari cittadini: i soldi che mancano, gli appartamenti ammuffiti, le vie labirintiche e opprimenti di una Cagliari periferica e sfasciata, grigia di persone sole e di stanze dove distruggersi, gli uomini di alcol, le donne di lavoro.
La personalità di Maria si compone a poco a poco per accumulo, secondo il movimento ondivago dei particolari che si aggiungono e si tolgono a ogni nuova voce chiamata a completare il quadro: lei sembra allo stesso tempo iperconsapevole di sè e completamente ignara.

Batti piede, batti forte sopra questo pedale di legno, batti senza riposo e componi la mia melodia. Primo tempo per te, principe che arriverai sopra un cavallo nero e mi porterai lontano. Muoviti filo rosato, muoviti e danza e crea una trama mai usata, segui le mani che ora si muovono lente, segui le vie tra la lana e componi la mia melodia. Secondo tempo per te, mamma, e per l’amore che ci consuma dentro. Scendi e risali filo di rame, sali e riscendi e accarezza questa morbida lana. È per te il terzo tempo, Borìca, e il quarto per te, padre mio, e per le ruote della tua bicicletta che girano. Senza sosta muoviti e danza, fine filo rosato, filo di rame più fino degli aghi di pino che cadono a terra in un giorno di vento e più forte di queste mie mani e delle sue. Danza e muoviti e intreccia i destini e scendi e risali e sali e riscendi e componi la mia melodia.

Il talento dell’autore per la mimesi regala autentiche sorprese, come quando il rapido passaggio da una voce femminile a una maschile, o da una voce colta ad una illetterata crea un effetto quasi dissonante, simile in tutto e per tutto a uno straniamento, al quale concorrono le espressioni dialettali incastonate nel discorso.
Lo stile di Mannu è particolare, circolare, a tratti metrico – una metrica dell’anima, tragica, arcaica. Le parole e la loro posizione nella frase profumano e sperimentano. Le tematiche trattate e la maniera in cui sono intrecciate hanno tutti i numeri per provocare un interesse: segreti, tradimenti, ammazzamenti, bambini morti, il discorso sull’omosessualità, il dramma delle storie che finiscono, delle famiglie che si sfilacciano stritolate dalle incomprensioni. Forse troppa carne al fuoco? O forse occorreva proprio tutto questo, perché il pungo arrivasse più violento. È un libro forte e bello anche se cupo, e che ha il grande pregio di dissipare l’amaro grazie a un finale che si apre rasserenante verso un futuro di rinascita: un vento nuovo capace ora di carezzare, non più solo di spezzare.

 

Maria di Ísili
Cristian Mannu
Giunti, 2016
Pagine 160
Prezzo di copertina € 14,00

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore

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