Mario Fazio: la trilogia della “percezione”

In questa intervista lo scrittore Mario Fazio presenta il suo ultimo libro, ci racconta la sua passione per la scrittura e qualcosa della sua vita privata.

Phaos. La percezione del Nero, il suo ultimo libro come è nata l’idea di scriverlo?
Prima di tutto permettimi di ringraziare te e il giornale per l’occasione di raccontarmi un po’. Per chi è all’inizio come me è sempre bello ed emozionante. La percezione del Nero è il secondo volume di una trilogia, ed è il continuo della storia raccontata in Phaos. Il Nodo e il Sigillo, che troverà la sua conclusione nel terzo libro, ancora in fase di stesura. L’idea di Phaos è stata nella mia testa per tanto tempo. Da tempo mi chiedevo se fosse naturale il fatto che noi tutti avessimo la magia, piuttosto che non l’avessimo. E se l’avessimo avuta e poi qualcuno ce l’avesse tolta? Questa è stata l’idea che ha dato la spinta a tutto.

Il primo libro di cosa racconta?
Nel primo Phaos si racconta la storia di Nevio Alba, il protagonista, un personaggio che volutamente è una figura molto comune, un borghese medio, piuttosto sfortunato. Volevo che il protagonista non fosse un prescelto, un eletto, ma che fosse un uomo della strada, uno qualunque in cui chiunque potesse riconoscersi. Non quindi un figlio, nipote o discendente da chissà quale ramo familiare, ma una persona che non arriva a fine mese, che non trova lavoro ed è costretto ad adattarsi. Intorno a lui gira il più grande segreto dell’umanità: l’Estro. Un antico potere magico che da sempre ci appartiene ma che, in una civiltà precedente alla nostra, ha portato l’umanità all’estinzione. Da quella civiltà sono sopravvissuti sette esseri millenari che, mimetizzati intorno a noi, dettano da sempre la nostra storia e la nostra evoluzione.

Uno scrittore e un romanzo a cui tiene molto?
Non ce n’è uno solo ma diversi. Posso dirti che sono cresciuto a pane ed Agatha Christie e credo che Dieci piccoli indiani sia un piccolo capolavoro di stile. Ma c’entra molto poco nella mia formazione di scrittore. Ho letto recentemente molto Zafon, di cui mi piace moltissimo lo stile barocco, ma anche Ammaniti e la  Läckberg. Per non parlare dell’influenza che ha avuto la Rowling negli ultimi anni. In genere comunque mentre sono in fase di stesura di un testo, evito accuratamente di leggere perché inevitabilmente lo stile dell’autore finisce nel mio e questa cosa un po’ mi infastidisce.

Cosa rappresenta per lei la scrittura?
Bella domanda! Ci vorrebbe un mese di terapia per risponderti bene, eheheh. Per me la scrittura rappresenta in parte una fuga verso i miei mondi lontani, fatti di creatività e libertà. In altra parte rappresenta un riscatto continuo, fatto di una sfida verso i miei limiti che ogni testo che scrivo mi permette di superare. C’è che mi dice che scrivere è terapeutico e probabilmente è vero. Per me è quell’elemento che mi avvicina di più alla Magia.

Nei personaggi delle sue opere c’è qualcosa di lei?
Nei miei personaggi c’è tutto di me! Ogni tanto qualcuno mi chiede: «Qual è il personaggio che ti somiglia di più?» e io rispondo sempre che tutti mi somigliano, perché io sono in ogni personaggio, in ogni luogo e in ogni dettaglio. In qualche modo questo percorso assomiglia molto a quello che affronto quando recito a teatro: vado a pescare le emozioni nel mio vissuto. Lo stesso accade quando scrivo, vado sempre a cercare qualcosa che mi è capitato e sono fortunato perché la vita mi ha dato una naturale predisposizione all’osservazione continua di tutto e di tutti. Mentre parlo con il mio interlocutore, per esempio, mi perdo nei suoi dettagli, nelle invisibili pieghe delle sue contraddizioni visibili e non. E lo stesso faccio mentre cammino, mentre guido e questo di me fa un pericolo per strada! No, scherzo dai.

Tre aggettivi per descriversi?
Solo tre?! Vediamo: Trasparente, Gentile, Testardo.

 

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice