Maria Grazia De Castro: il finto perbenismo delle donne

Ipocrisia, mediocrità, finto perbenismo e matrimoni combinati insieme a famiglie pseudoperfette: questo il mondo raccontato nel libro di Maria Grazia De Castro, che in Donne maledette, edito da Milena, denuncia il narcisismo e l’egocentrismo causa spesso di manipolazioni affettive. Le abbiamo rivolto qualche domanda.

Donne maledette, come nasce l’idea di scriverlo?
L’idea di scrivere Donne maledette nasce dalla volontà di dar voce alle donne e dar loro la possibilità di svelare, con la loro intelligenza e lucidità, l’ipocrisia e la mediocrità di un mondo apparentemente ammantato di perbenismo. Due donne, due sorelle apparentemente diverse tra loro che leggono, con la loro diversa sensibilità, uno spaccato sociale quasi a riscattarsi proprio di una società che per secoli ha relegato le donne in stereotipi e categorie: il matrimonio con un buon partito, l’accettazione di privazioni, l’inadeguatezza a compiere alcuni lavori, la cura esclusiva della casa e dei figli.

C’è qualcosa di lei in questo libro?
Sì. L’avversione nei confronti del narcisismo, dell’egocentrismo ipocrita, nella manipolazione affettiva e nel menefreghismo. Derive che interpretano il passato ma anche la nostra epoca. L’intento biografico probabilmente è quello di dare al lettore un contributo alla cognizione della superficialità sempre più diffusa e trasversale e che caratterizza le prassi sociali contemporanee e che porta le donne, più di tutte a soffrirne. Perché potenzia le gabbie stereotipate nelle quali sono ancora relegate.

Una frase del libro a cui è più legata?
«L’immaginazione era una delle risorse che più avevo utilizzato in tutti quegli anni di solitudine al convento, talvolta impiegandola pure per interpretare la realtà. Era stata sempre e solo l’immaginazione a lasciarmi un margine di libertà per riempire, almeno in parte, quel buco che aveva lasciato dentro di me la morte prematura di mia madre e mio padre».
L’immaginazione come salvezza, come capacità, paradossalmente, di vedere le cose così come sono. L’immaginazione come organo che si nutre con la lettura e che ha bisogno di essere alimentata altrimenti muore.  Da una vita senza immaginazione nascono i rimpianti.

Cosa rappresenta la scrittura per lei?
La scrittura guarisce. E io dovevo cicatrizzare quella ferita aperta e dolorosa che la morte prematura e quasi improvvisa di mia madre mi ha lasciato. Perché la scrittura è strumento di accettazione del dolore e possibilità di rinascita. È una pratica sanante.

Uno scrittore da cui prende ispirazione?
IrèneNémirovsky. Una penna caustica ma efficace. Potente e non banale. Un’autrice capace di addentrarsi come un laparoscopio nei sentimenti dei suoi personaggi a un livello di dettaglio tale da pensare che in ognuno dei suoi personaggi c’è qualcosa di suo. Per conoscerli così bene, diversamente da così non può essere. Più semplicemente uno stile di scrittura perfetto.

Tre aggettivi per descriversi?
Ha lasciato alla fine una delle domande che più mi fa paura! In questo momento mi trova un po’ impreparata e incapace di fare sintesi della complessità limitandomi a tre aggettivi. Non sono esaustivi del racconto di me stessa, ma comunque sono una persona volenterosa e ferma, ma riconosco di avere un temperamento ombroso.

 

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice