Andrea Inglese: Parigi è un desiderio?

Vivere a Parigi e raccontare l’esperienza in un libro. Amare la scrittura e renderla viva. Esprimere un desiderio e lasciarlo lì, ad attendere che si realizzi. Amare una città e poi detestarla. Di questo abbiamo parlato con lo scrittore Andrea Inglese, che con Ponte alle Grazie ha pubblicato Parigi è un desiderio.

Come è nata l’idea di scrivere Parigi è un desiderio?
Ho vissuto a Parigi in diversi momenti della vita, e per periodi più o meno lunghi, e sempre in situazioni sentimentali, abitative, professionali diverse, fino a quando mi è sembrato chiaro, che la mia storia con Parigi era finita. Dopo tanti andirivieni, mi sono ritrovato nuovamente a Milano, la città in cui sono cresciuto. A quel punto ho avuto la necessità di un regolamento di conti. Mi sono chiesto che cosa fosse stata Parigi per uno come me, uno straniero, che vi aveva vissuto, che vi era rimasto ammaliato, ma che anche aveva finito un po’ per detestarla. Naturalmente regolare i conti con una città come Parigi è grandemente presuntuoso. Ma io volevo fare un libro sperimentale, e poetico, che non somigliasse a niente. Poi mi rendevo conto che era una storia di amori distrutti che avrei finito per raccontare, un libro cupo, ossessivo e disperato. Alla fine è venuto fuori quello che spero credo sia un romanzo umoristico. Però non ho regolato nessun conto. Parigi mi guarda beffarda, ma io ormai me ne infischio. Non ci credo più a questa storia della città, della grande città, della città decisiva, del destino a forma di città.

Una frase del libro a cui è più legato?
Fortunatamente un romanzo non è come una poesia, dove un verso solo può contare esageratamente. In un romanzo, potrei tradire una frase preferita per un’altra, diversamente preferita. Quindi ne prendo una a caso, che è anche un calco di una frase di Jerome K. Jerome: «Come tutti i disoccupati, gli spossati affettivi e gli accidiosi per natura ero tremendamente indaffarato, dovendo costantemente assicurarmi che non stavo facendo le cose più importanti, più tipiche, più auspicabili di un maschio quarantenne: lavorare, guadagnare soldi, tessere proficue relazioni, contribuire alla manutenzione della casa e all’aggiornamento degli elettrodomestici, coricarmi con una donna, per espletare regolarmente le gioie della sessualità adulta.»

Tornando a lei come è nata la sua passione per la scrittura?
Per emulazione. Dopo aver letto il Giornalino di Gianburrasca, che mi è stato regalato quando avevo nove anni. Lo rilessi varie volte, e poi a undici anni, cominciando le scuole medie, cominciai a tenere un diario anch’io. Ne ho parlato qui: https://vibrisse.wordpress.com/2014/10/09/la-formazione-dello-scrittore-16-andrea-inglese/

E uno scrittore che può considerarsi la sua musa ispiratrice?
Ce ne sono diversi e che hanno agito diversamente secondo i periodi e i libri che scrivevo. Quanto alla stesura di Parigi è un desiderio, avrei voluto metterci dentro un concentrato di Perec, di Bianciardi e non so se più Bernhard o Bukowski. Ma più che un autore, ho utilizzato dei libri di riscaldamento. Quelli da cui leggere alcune pagine, la mattina, prima di mettermi a scrivere. Ad esempio certi libri di Paolo Nori, Ugo Cornia, Vitaliano Trevisan, Giorgio Mascitelli, Andrea Bajani, per gli italiani, o di Robert Pinget, PéterEsterházy, Jerome K. Jerome, Philip Roth, per gli stranieri.

Tre aggettivi per descriversi?
Impaziente, stralunato, tenace.

 

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice