Gli amori sofferti di Cesare Pavese – Silvia De Paola

Di lati oscuri Pavese ne ha avuti parecchi, eppure nella luce che sfavilla dai suoi immemorabili versi tuttora riesce difficile accettare il tragico destino della sua morte. Un uomo che aveva il potere di “amare oltre misura”, che scriveva per avvicinarsi al proprio simile per insegnargli che la vita è comunione, ancora oggi è in grado di “servire e svegliare il mondo” attraverso la bellezza della natura descritta nelle sue opere.
Un saggio, di Silvia De Paola, si intitola Gli amori sofferti di Cesare Pavese, e fa leva su questo aspetto della sua poetica: l’amore.

Il mestiere di colui che scrive versi dovrebbe essere quello di rompere l’incomunicabilità e le frontiere tra i popoli, e questo lo capisce ancora di più quando l’autore va per qualche tempo in Calabria. Abituato a una cultura di tipo cittadina, illuministica e razionalistica, non appena si ritrova a contatto con il mare, le antiche usanze paesane, i rituali di una regione profondamente diversa dal Piemonte, turba parecchio la sua sensibilità. Egli in Calabria si innamora di una serva, «prototipo della donna meridionale scura di carnagione, misteriosa e selvaggia», tanto da descriverla con un aspetto tra il «divino e il caprino», una mescolanza di sacralità e bestialità.
Cesare Pavese rimane colpito da questa terra, che come una donna di quel tempo, non sa ribellarsi al suo destino: una terra dove mito e realtà coesistono, dove «l’antica civiltà non muore e se muore, rinasce dalle sue ceneri».

Ma perché gli amori di Pavese sono «sofferti»? Egli ha un particolare rapporto con la vita, con l’infanzia e con l’età adulta. E ogni donna che incontra la vede come possibilità di vita perché questa senza l’amore non ha motivo di esistere. La donna per Pavese è «fonte d’amore» ma anche e soprattutto di «alta, struggente, divina poesia». Bianca Garufi è colei che non deve assomigliare alle altre, malgrado i ripetuti tradimenti. Misteriosa, dura, come un’eco della terra calabra:

«Di salmastro e di terra
è il tuo sguardo.
Un giorno
hai stillato di mare.
Ci sono state piante
al tuo fianco, calde,
sanno ancora di te.
L’agave e l’oleandro
tutto chiudi negli occhi.
Bava di vento caldo
tutto chiudi in te».

Questa Bianca, anch’ella scrittrice e poetessa, ha in sé il divino perché si fonde con la terra e il vento: racchiude l’irraggiungibile ma nello stesso tempo qualcosa di rassicurante e caldo.
Pavese ricorre spesso al mito, e alle dee della mitologia come Artemide per esempio, colei che «sa annientare un uomo con uno sguardo o un sorriso»: così sostanzialmente viveva ogni incontro con la speranza di trovare la sua “dea”, e l’impossibilità di realizzare questo desiderio si trasformava in grosse delusioni d’amore, generando piaghe insanabili.

«Non ci si uccide per una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, infermità, nulla».

Un saggio che fa leva sulla sensibilità del poeta torinese a ogni incontro con le muse della sua vita (Tina Pizzardo, Carolina Giuseppina Mignone, Costance Dowling ecc.). «Noi crediamo che tutti i sogni e le speranze, le immagini e i miti evocati da Pavese siano profondamente vitali, nonostante la tragicità della sua condizione umana di uomo e poeta. È nei suoi versi che risuonano, come un eco interminabile, la grande vitalità e passione per la vita, che forse proprio perché distante dalle sue aspettative gli si è rivelata tragica».

 

Gli amori sofferti di Cesare Pavese
Silvia De Paola
Bibliosofica, 2013
Pagine 94
Prezzo di copertina € 9,00

 

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist