I sogni non svaniscono all’alba – Gianni Manghetti

«Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia», dice un proverbio africano. E anche se mai citato dall’autore, sembra la frase perfetta per racchiudere e anticipare nel giro di una rapida intuizione il significato profondo del libro di Gianni Manghetti, I sogni non svaniscono all’alba (Primamedia editore, 2016). Il titolo pare richiamare al contrario un testo teatrale del 1960 di Indro Montanelli, I sogni muoiono all’alba: in questo breve ma intenso romanzo, invece, la tesi è proprio quella opposta, e cioè che bisogna mettersi in gioco, soffrire, avere la flemma di aspettare anni, e non rinnegare mai la propria identità e la propria volontà, fino ad avere la conferma attesa, che si è parte attiva di qualcosa di grande e di vero da realizzare.
Qui ad attendere navigando in cattive acque sono due personaggi diversissimi tra loro per età, provenienza e cultura, il Biondo, un operaio di mezza età emigrato dalla Toscana in Francia nel Secondo dopoguerra, e Gent, un giovane sudanese che la guerra civile in Sud Sudan ha spinto a chiedere asilo politico in Italia. A loro si aggiungono tre neolaureati in ingegneria, Giacomo, Carlo e Sergio, che come il Biondo a suo tempo rivestono la Francia di tutte le loro più rosee speranze lavorative: sono stati convocati per un colloquio dalla prestigiosa Icaro, industria francese produttrice di sistemi aerospaziali, per la loro eccellente tesi di laurea all’Università di Pisa, e desiderano lasciare l’Italia per iniziare quella che si prospetta come un’entusiasmante carriera professionale.

Il Biondo torna al suo paese dopo quarant’anni passati in Francia, e non trova più niente come l’aveva lasciato: i tempi sono cambiati, gli amici invecchiati, il bar dove trascorreva in compagnia le fredde serate invernali modernizzato e vuoto, nessun lavoro, nessun posto per vivere e sentirsi a suo agio. Si è lasciato alle spalle un passato di operaio di fabbrica, a Lione, una compagna e una figlia, perdute entrambe con il licenziamento a causa dei propri principi morali, perché la fabbrica dove lavorava produceva mine antiuomo, e il Biondo italien non accettava più di contribuire a quella che i responsabili definivano con orrendo eufemismo una “produzione delicata”.

Gent dal canto suo sognava l’Italia come una Terra Promessa ricca di benessere e prospettive, e si ritrova a destreggiarsi alla meno peggio tra centri di accoglienza, notti di fortuna ai portici della Stazione Termini, pranzi rimediati alla Caritas e una massacrante esperienza di raccolta dei pomodori al Sud Italia, il tutto condito dallo spettro della diffidenza.
Come entreranno in contatto queste cinque persone tanto differenti, cosa legherà a filo doppio le vite del Biondo, di Gent, di Giacomo, di Carlo e Sergio?

Un libro forte e diretto, costruito sulla sapiente alternanza di capitoli dedicati all’uno e all’altro protagonista in rapido passaggio: con una lingua schietta che non conosce paure l’autore entra nella mentalità di due uomini che si sono persi e poi ritrovati, accompagnandoli nell’intimo delle loro strutture di ragionamento più profonde, nelle più riposte sfumature emotive, nei desideri e nelle frustrazioni, senza timore di portare alla luce anche le sconfitte della vita. Insolita la trama, completa nella sua semplicità, grande la capacità di indagine e di resa di alcuni ambienti molto precisi, come il lavoro dei migranti, l’atmosfera dei centri di accoglienza, gli anni duri degli scioperi di fabbrica, in Toscana come a Lione, sino alla mirabile scena della conferenza stampa concessa dal Presidente del Gruppo Icaro, dove tutta la tensione del romanzo, tutta la carica di attesa, tutta l’energia narrativa della storia si concentrano come in una bomba sul punto di esplodere.

E di bombe si parla fin troppo, tra l’altro, di quelle bandite in tutta l’Unione Europea da una campagna internazionale anti-mine, di quelle che continuano ad alimentare il traffico di armi nel quale anche le aziende più insospettabili sono coinvolte, di quelle che fanno scempio di civili in paesi come il Sudan, il Ruanda, l’Irak, e di quelle che i giovani Giacomo, Carlo e Sergio, ai quali è dedicato il libro, sognano di eliminare dalla vita di tante persone a cui restituire il diritto alla sicurezza, con la messa a punto di un sistema brevettato per sminare i campi di guerra in Africa e nel mondo.
Gianni Manghetti, che è presidente della Cassa di Risparmio di Volterra e autore di La notte di San Martino, La Grazia bussa sempre due volte, Vite Pendolari, è con I sogni non svaniscono all’alba alla sua terza pubblicazione per Primamedia editore, dopo Nomi nella cenere (2012) e Lacrime asciutte (2014). Con questa sua ultima opera, costruita quasi esclusivamente attorno a personaggi maschili, ci consegna un messaggio di fiducia nella capacità dell’uomo di riscattarsi, di rinascere, di ricostruire. Dedicato alle nuove generazioni e a chi mantiene intatto l’ardimento di cambiare la realtà.

 

I sogni non svaniscono all’alba
Gianni Manghetti
Primamedia, 2016
Pagine 192
Prezzo di copertina € 14,00

 

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore