Nicoletta Sipos: il coraggio per vivere al meglio

Un libro emozionante che racconta la storia dei suoi genitori è La promessa del tramonto, da poco edito da Garzanti. Nicoletta Sipos è una scrittrice «ironica, testarda e un po’ folle» e nel suo raccontarsi ha fornito ai suoi lettori uno stralcio di storia dove la sofferenza, l’amore e il coraggio hanno camminato di pari passo per molti anni.

La promessa del tramonto è il suo ultimo successo: come nasce l’idea di scrivere questo romanzo?
Non c’è un momento preciso, è stato un processo molto lento, una presa di coraggio. Sono cresciuta sentendo le storie che compongono il mio libro e – diventata grande – ho preso a raccontarne qualcuna. La reazione incantata degli ascoltatori mi ha sempre colpito. Eppure, scrivere questa storia è stato più difficile e complicato del previsto.

Perché?
Occorreva un montaggio che trasformasse i ricordi in un vero romanzo. Alla fine ho scelto una struttura essenziale, iniziando il racconto con l’avventurosa fuga del protagonista dalla soffocante Ungheria stalinista.

Chi sono Tibor e Sara?
Sono i miei genitori. Lui è un medico ebreo che ha studiato in Italia, a Torino, e a Torino ha incontrato negli anni ‘30 la sua compagna, figlia di un avvocato antifascista. L’amore è grande, la decisione di sposarsi è presto presa, ma si scontra con le leggi razziali e l’opposizione della famiglia di lei. I due si sposano comunque, nell’estate del 1939, poco prima dello scoppio della guerra che li separa. Lei si trova così in Ungheria ad affrontare la deportazione della famiglia acquisita e la guerra. Nel novembre del 1944 lui riesce a tornare dal fronte e le cose sembrano aggiustarsi. Ma poi arriva lo stalinismo. Qui mi fermo: spero di averla incuriosita, e di avere incuriosito i suoi lettori!

Una frase del libro che lo raccoglie?
Mi piace la considerazione finale di Tibor che nel 1989 parla della fine del comunismo che aveva costretto lui e la famiglia ad abbandonare l’Ungheria, e dice: «Ho pensato che quella fosse la beffa peggiore, l’ingiustizia più atroce. Il gigante che ci aveva strappato le radici, annientato amicizie e speranze, distrutto il futuro, ucciso i sogni, era solo un fantoccio. Si stava sciogliendo come neve al sole. Non capivo nemmeno più perché ci aveva fatto tanta paura».

Cosa rappresenta la scrittura per lei?
Vita.

Uno scrittore o scrittrice a cui è più legata?
Jack London. Il suo Martin Eden ha illuminato la mia adolescenza e i miei primi tentativi di scrittura.

Tre aggettivi per descriversi?
Ironica. Testarda. Un po’ folle.

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice