Voci femminili fuori dal coro: quando la scrittura diventa etica

Maria Paola Canozzi vive e lavora a Firenze. È autrice di poesie e racconti apparsi sulle riviste Salvo imprevisti, Cervo volante, Zeta, Il Cavallo di Troia, Caffè Michelangelo e in volumi collettivi fra i quali Il sesto poeta (Spirali, 1982), Versi d’amore (Corbo e Fiore, 1982), Viva la poesia (Vallecchi, 1985). Settembre sarebbe un bel mese, edito da Marco Saya edizioni (2014) è il suo primo romanzo: una panoramica ironica e aggiornata sulle problematiche connesse alla vita degli animali e alla preservazione delle bellezze artistiche e paesaggistiche di cui tutti avremmo il diritto di godere, presentata in forma di noir da una voce narrante davvero pronta a tutto. Come la sua autrice. L’abbiamo intervistata, ed ecco quel che è emerso dalla nostra conversazione…

Come è nata l’idea di trasportare in un romanzo tematiche sensibili come i diritti degli animali, le problematiche riguardanti la caccia e la convivenza urbana tra esseri umani, specie animali e natura?
L’idea di questo libro è nata intorno al 2010, quando entrò nel vivo la discussione sulle proposte di modifica alla legge 157/1992 (che regolamenta la caccia) presentate da un parlamentare di nome Orsi, che prevedevano la caccia anche a febbraio e ad agosto, anche per i sedicenni, anche dopo il tramonto, anche sulle rotte migratorie e altre atrocità. Per un tempo che a me sembrò eterno si dovette rimanere col fiato sospeso prima che quella spaventosa ipotesi rientrasse, grazie anche a una grande mobilitazione collettiva delle associazioni e di coloro che sono contrari alla caccia, che sono la stragrande maggioranza degli italiani, cioè più del 75%, con punte del 90% fra le donne. Da quella prospettiva da incubo è nata l’idea iniziale di questa storia, in un primo tempo quasi per autoconsolazione, come reazione all’impotenza in cui mi sentivo, tanto per reagire in qualche modo alla paura di non poter fare niente e di dovere solo aspettare le decisioni dei politici. Che sarebbero state comunque deludenti per me, perché io penso che l’unica legge giusta riguardo alla caccia sarà quella che la abolirà definitivamente.

La storia della protagonista si snoda tra Valbenedetta e Firenze, ambedue cittadine toscane, anche se la prima di fantasia, seppure perfettamente realistica e caratterizzante: autobiografia o esigenza letteraria?
Sicuramente una motivazione autobiografica. Mi sono riferita a luoghi che amo e che soffro a vedere trattati male: la bellezza agreste brutalizzata dai cacciatori, il paesaggio stravolto per interessi economici, la città mercificata dal turismo selvaggio e dall’avidità di chi la vede soltanto come fonte di reddito.

Settembre sarebbe un bel mese è a tutti gli effetti un romanzo, anzi un noir un po’ particolare, per essere precisi, eppure il plot va quasi costruito dal lettore, che grazie alla guida dell’io narrante compone la storia. In realtà un enorme spazio è dato alla natura, descritta in maniera vibrante, e allo scorrere di pensieri e osservazioni personali, al contrario rapidi e incisivi come massime: qual è il motivo di questa formula narrativa sui generis?
All’inizio voleva essere soltanto un instant book, un pamphlet contro la caccia, poi mi è venuta l’idea di costruirci dentro anche una storia, dove la presenza salvifica della natura e del paesaggio facessero da contrappeso alle riflessioni e fornissero anche una specie di conforto al lettore, gli lasciassero un messaggio di speranza. Alla fine quella è risultata la parte che mi ha dato più soddisfazione scrivere. Grazie a quella parte ho attraversato pensieri molto tristi –  come sono quelli che inevitabilmente vengono quando si riflette sulla sorte degli animali cacciati o allevati per il macello –  senza farmi annientare, riuscendo anzi a dare all’opera un tono divertente. Lo strumento dello humour si è rivelato quasi catartico.  

Lei ha scritto e pubblicato poesie. Come è approdata al romanzo, e quali pensa che siano le differenze tra lo scrivere poetico e lo scrivere in prosa? A quale sente di essere più legata?
Io credo di avere sempre scritto. Quando ero ragazzina riscrivevo il finale dei romanzi se quello dell’autore non mi piaceva. Scrivevo racconti e diari. Ho cominciato a scrivere poesia per un’improvvisa urgenza di fare chiarezza in me, di trovare dei punti fermi in un periodo di forte emotività. Sempre a causa dell’emotività ho deciso di smettere, per evitare di trattenermi su stati d’animo troppo intensi, e sono tornata alla mia prima forma espressiva. La prosa è più ragionevole, più “prosaica” appunto, ti dà il tempo di respirare e di misurarti sulla lunga distanza, anche se in cambio pretende pazienza e duro lavoro. Tanto più per me, che scrivo a spirale, cioè la mia scrittura consiste in continue rielaborazioni di un testo iniziale. Comunque amo e sento mie tutte e due queste forme espressive, anche se di recente ho perso un po’ il polso della poesia: frequentandola meno non so più valutarla al primo colpo come mi succedeva quando anch’io la scrivevo.  

I libri che le hanno cambiato la vita (se ce ne sono stati), o quelli che sono stati per lei particolarmente importanti a livello di formazione letteraria e crescita personale.
Uno per tutti, che mi ha veramente dato le coordinate rispetto all’importanza della creatività nella vita e al valore della scrittura: Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf. Un saggio straordinario che riempie di forza, oltreché di solidarietà per tutte le donne a cui è stata – ed è – negata la realizzazione individuale in una società fatta a misura maschile.

C’è qualche autore contemporaneo a cui si sente affine?
Nessuno in particolare a dire la verità. Leggo moltissimo e di tutto, e mi capita raramente di innamorarmi di un autore, come mi succedeva a vent’anni. Ma allora leggevo i classici, e ho paura di essermi già fatta fuori gli assi al primo giro! In genere però posso dire che rimango più soddisfatta dalla narrativa femminile. Nelle voci delle autrici, pur diverse e fatte le debite distinzioni, trovo più facilmente qualcosa che mi corrisponde.

Potremmo definire Settembre sarebbe un bel mese un testo “militante”. Oltre a quello consegnato alle pagine del libro, c’è qualche messaggio che vorrebbe comunicare ai lettori?
Sì, che la natura è patrimonio di tutti e nessuno dovrebbe avere il diritto di danneggiarla. Se ci sono leggi che permettono che questo accada, quelle leggi vanno cambiate. Se vogliamo un futuro migliore – anzi, se semplicemente vogliamo un futuro –  bisogna che ci attiviamo in prima persona, senza lasciarci impressionare dal fatto che tutto sembra immensamente più grande di noi.
La questione del rapporto predatorio dell’uomo rispetto agli altri animali è un grossissimo nodo che va sciolto al più presto. Per me la motivazione è senz’altro etica, ma per chi fosse indifferente a questo aspetto, ricordo allora che il 18% delle emissioni globali di gas serra deriva dagli allevamenti – superiore al 14% che deriva dai trasporti! – e urge un’inversione di tendenza prima che sia troppo tardi.

Crede che scriverà un secondo romanzo?
Ce l’ho già pronto, devo solo intercettare l’attenzione di un editore, che non è un’impresa da poco. L’editore con cui ho pubblicato Settembre sarebbe un bel mese, Marco Saya, attualmente si sta concentrando su poesia e saggistica.
Anche questo secondo romanzo è un giallo, anzi un giallo/noir – a quanto pare i generi mi stanno stretti –, ci lavoro da tempo, la prima stesura risale a diversi anni fa, Settembre sarebbe un bel mese è stato più svelto e gli è passato avanti anche perché è un romanzo breve e molto attuale. Ma prima o poi spero che toccherà anche a quest’altro, che ha una trama più ricca e un maggiore approfondimento dei personaggi.

Per ultima una domanda di attualità letteraria: cosa ne pensa del Nobel a Bob Dylan?
Sono rimasta spiazzata, come spesso mi accade davanti alla scelte degli accademici di Svezia. Da autori di nicchia sono passati alla popstar internazionale, con un balzo di 180 gradi. È rimasto spiazzato lo stesso Dylan, che infatti pare non abbia ancora metabolizzato il premio. Mi piace la sua musica, certamente, ma i testi non posso dire di conoscerli, a parte quelli celeberrimi, quindi appena avrò un po’ di tempo mi riprometto di leggerli.

 

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore

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