Gigi Paoli: spiritoso, brillante, disincantato

In questa intervista il giornalista e scrittore Gigi Paoli. Curioso, trasparente e libero, così si descrive. In queste parole racconta il suo libro Il rumore della pioggia e di sua figlia che ha cresciuto da padre single.

Come è nata l’idea di scrivere Il rumore della pioggia?
Per la curiosità di scoprire se, dopo decenni di letture di gialli, riuscivo a essere capace anch’io di crearne. L’ho scritto in pausa pranzo in redazione, al computer del mio giornale, e la notte a casa, dopo il lavoro e dopo aver messo a letto mia figlia. E’ stata una specie di sfida, oltre alla voglia di provare a mettere in un libro quello che per tanti anni è stato il mio impegno nella cronaca giudiziaria.

Perché Firenze?
Perché è la città dove sono nato, dove ho vissuto e ho lavorato per quasi vent’anni. E’ una città che si presta molto a essere scenario di storie. Firenze non è uno sfondo, è essa stessa protagonista. Ma non la Firenze da cartolina, quella che finisce nei film di Hollywood o nelle fotografie dei turisti giapponesi. Quella è la Firenze “facile”, da cartolina. A me piace la Firenze nascosta, buia, piovosa, terribilmente gotica, che nasconde mille misteri dietro i portoni di tanti palazzi così imponenti. Una Firenze diversa dai soliti stereotipi che la rendono, comunque a ragione, una delle città più belle del mondo.

Qualcosa su questo protagonista particolare? Ha qualcosa di lei?
Quel che ho cercato in questo libro è soprattutto la credibilità nel raccontare la storia. E quindi sì: ho cercato di riversare dentro Marchi, il protagonista, la mia lunga esperienza di giornalista di cronaca giudiziaria e, soprattutto, quella assai più difficile di genitore single di una ragazzina che oggi ha quasi 15 anni. Un mestiere, quest’ultimo, molto più difficile del primo.

Cosa rappresenta per lei la scrittura?
La mia vita. Ho iniziato a collaborare con La Nazione a 15 anni, facevo pezzi di sport. Non ho mai pensato di poter fare altro, né penso di saper fare altro se non questo. E mi ritengo molto fortunato: faccio il lavoro che ho sempre sognato, il giornalista. Penso infatti che non ci sia peggior schiavitù che alzarsi la mattina e dover fare un lavoro che si odia. Io sono fortunato. Adoro questo lavoro, nonostante le difficoltà dei tempi e degli spazi che mancano sempre. Scrivere libri è tutta un’altra storia. E’ un divertimento. Fra le due attività c’è solo una cosa: la conoscenza del congiuntivo. O almeno ci dovrebbe essere.

Una frase che racchiude il libro?
Quella che mi ha inviato per messaggio un amico alle 7.30 del mattino, dopo averlo comprato il pomeriggio precedente. «Accidenti a te, non mi hai fatto dormire, ho letto il libro tutto d’un fiato». E’ il miglior complimento che potessi ricevere perché era esattamente l’obiettivo che volevo raggiungere.

Tre aggettivi per descriversi?
Curioso, trasparente, libero.

 

Claudia Crocchianti

Giornalista pubblicista e scrittrice