L’arte di essere fragili – Alessandro D’Avenia

 

I libri salvano la vita, è innegabile. Basta saper scegliere, affinché ciascuno possa ritrovare quella bellezza che va cercando, che poi è anche sinonimo di felicità e di quel che di positivo la vita riserva. Un salvagente al quale aggrapparsi e col quale immergersi in una realtà diversa, da vedere con nuovi occhi. A volte basta un professore che svolga con passione il suo mestiere e che non pensi solo ad eseguire il programma, per riuscire a trasmettere entusiasmo nei confronti di quell’autore bistrattato dalla critica, perché, anche se grande, considerato un menagramo.

Deve essere avvenuto così l’incontro fra il D’Avenia studente e Giacomo Leopardi, il poeta di Recanati, cantore di Silvia e della luna. E deve essere fingendo d’instaurare un dialogo intimo col poeta, tramite alcune missive, che l’insegnante che c’è in lui ha voluto trasmettere ai suoi ragazzi tutta la forza d’animo di quest’uomo dal corpo martoriato, incessante ed indefesso ricercatore della felicità. Un poeta che suscita interesse, riflesso negli occhi lucidi di studenti attenti.

Quando ho letto l’ultimo romanzo di Alessandro D’Avenia, L’arte di essere fragili (Mondadori, 2016), sono stata felice che egli abbia riscattato la figura del poeta di Recanati, per tutti ingabbiato in quel ruolo di pessimista all’estremo, reso deforme dalla gobba e impossibilitato a godere dell’amore. Anche Il giovane favoloso, sebbene col volto di Elio Germano, non gli aveva reso giustizia, riducendo le sue difficoltà e quel suo animo sensibile a vere e proprie “menomazioni”, che in pubblico lo rendevano del tutto inadeguato.

La tendenza a rivalutare certe figure dalla vita troppo “ordinaria”, quali ad esempio lo Stoner di John Williams, guarda caso anche lui un insegnante, rappresenta una salvaguardia all’ultimo baluardo della resistenza; alla capacità di lottare con tutte le forze pur di rimanere fedeli alle proprie certezze. Chi, come Giacomo Leopardi, ha saputo in sostanza mettersi a servizio della vita.

L’arte di essere fragili, che è divenuto anche una rappresentazione teatrale, è nato prendendo spunto proprio dai ragazzi della classe dove D’Avenia insegna, ai quali egli si è sempre rifiutato di elencare, di questo indomito lottatore alla ricerca continua della felicità, le tre fasi canoniche di un pessimismo fine a se stesso – individuale, storico e cosmico.

L’obiettivo è di far apprendere loro l’arte del “riparare”, ovvero la lotta continua per la bellezza; fare qualcosa di bello anche quando attorno pare esserci il vuoto, la noia e il nulla, e proteggere il fuoco che alimenta la nostra esistenza. Come ha fatto Leopardi, che nella prima parte della sua giovinezza ha inteso restituire all’uomo l’infinito, incoraggiandolo ad andare al di là di quella “siepe” che rappresenta i limiti della nostra vita. La maturità ha però subito ceduto il posto al disincanto, che ha preso voce in poesie come A Silvia e quelle venute dopo, dove ci si chiede il senso della vita. Per poi sfociare nell’idea finale, col canto della Ginestra, che riesce a profumare da un luogo isolato come il deserto. È qui che avviene la “riparazione” di Leopardi, dove si compendia quell’immagine potente che incarna l’arte di essere fragili, e accettare le proprie debolezze facendone non un sinonimo di vergogna, bensì di vanto. Tre età che D’Avenia lascia raccontare al poeta stesso, quasi se nella sua opera in vita egli avesse letto un messaggio per un uomo del Ventunesimo secolo, che dall’autore si espande e raggiunge i giovani studiosi, il lettore e l’essere umano in generale. A chi, in sintesi, sa difendere tutte le cose fragili, poiché consapevole che esse siano le più preziose. In un mondo che mira alla perfezione fisica e dà in cambio ben poche certezze, può essere felice solo chi non si nasconde e rimane se stesso. Chi, insomma, si concede anche la possibilità di essere fragile.

Il fatto che, nonostante tutto, Leopardi abbia seguito il suo “rapimento” – la manifestazione più autentica di noi – fa della sua misantropia un ponte, che collega fra loro gli uomini e li sprona a proseguire nella ricerca.
Insegnare significa interagire coi giovani, e questo racconto teatrale di D’Avenia mette tanta carne al fuoco. Come ad esempio testimonianze, situazioni e messaggi che adolescenti in difficoltà gli hanno rivolto nel corso degli anni, o che hanno tratto beneficio dalla lettura dei suoi libri.

Un dialogo poetico, quello utilizzato dall’autore, in linea con gli argomenti trattati, capace di creare poesia dove tutto era già poetico. Senza dubbio un’impresa ambiziosa, quella di rivolgersi direttamente al poeta de L’Infinito, così come quella di dare voce ai suoi pensieri più intimi, quasi fosse ancora vivo. Ma se questo potrà servire a restituire la bellezza ai nostri ragazzi  e ad insegnare loro la grandezza della poesia, ben venga ogni singola parola.

 

L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita
Alessandro D’Avenia
Mondadori, 2016
Pagine: 210
Prezzo di copertina cartecea: € 19,00

 

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa