Orfani bianchi – Antonio Manzini

«Volevo misurarmi con un personaggio femminile. Una donna unica con una vita difficile che per trovare un angolo di serenità è pronta a sacrifici immensi».

Viviamo in un paese dove la gente non riesce a badare ai propri vecchi, e per questo lascia che a prendersene cura siano altri. È la motivazione per cui Antonio Manzini ha scritto Orfani bianchi (Chiarelettere, 2016), un romanzo potente, in cui il punto di forza – un paradosso – sta proprio nell’estrema semplicità con cui è congeniata la trama, sebbene costellata di catastrofi, col suo linguaggio diretto ed altamente evocativo. Essendo stato un attore, Manzini si è limitato a mettere in scena la vita, quella che ci scorre addosso ogni giorno e lascia vivere i nostri sensi di colpa; che ci coglie bambini e mai abbastanza adulti, incapaci di fare sacrifici e sempre pronti a delegare.

Orfani bianchi è nato osservando la romena Maria che si prendeva cura della nonna dell’autore, alla cui “categoria” egli ha voluto “rendere giustizia” – perché diciamocelo apertamente, così come direbbe lui, le badanti fanno proprio una vita di merda!
Il romanzo parla di Mirta, una giovane moldava costretta a lasciare il proprio figlio dodicenne – all’inizio affidato all’anziana madre, poi ad un “internat”, ovvero un orfanotrofio – per venire a Roma a guadagnare qualche soldo e sfuggire ad una vita di stenti. La storia di una badante come tante, che riflette un vero e proprio problema sociale.

Attraverso il filtro dell’ironia, che in lui è tipico, Manzini ci descrive una realtà amara, ed una doppia storia d’amore. Cimentandosi in un personaggio femminile, egli narra con maestria l’amore materno, col suo senso di colpa sempre in agguato, così come quello nei confronti di un uomo. Mirta è un personaggio coraggioso, che crede nel domani e ha voglia di ricostruirsi un futuro, con un connazionale, anche lui da anni in Italia, che le ha promesso di portarla via. Ilie, suo figlio, è uno di quegli “orfani” detti “bianchi”, perché una madre ce l’ha, ma è lontana.

Le vicissitudini che vivrà Mirta, nel suo lavoro, sono molteplici. Anziani che non collaborano, anzi, per ripicca le fanno i peggiori dispetti; famiglie che la sfruttano e la trattano malissimo, incapaci di amare anche i loro stessi congiunti che vivono come un eterno fastidio da scaricare ad altri; l’indifferenza o peggio ancora il sospetto della gente e l’odio verso lo straniero. L’integrazione di Mirta in Italia non è semplice, e gli unici momenti di felicità ella li vive scrivendo all’amica del cuore o al figlio; oppure nei fugaci incontri con Pavel, il suo promesso sposo.

«Quanto costa questo lavoro, Nina? Il prezzo qual è? È alto, te lo dico io. Quello che lasciamo pesa cento volte di più di quello che otteniamo».

Antonio Manzini sembra avere in serbo per noi un amaro messaggio. Ovvero, l’uomo pensa sempre di rimandare la felicità ad un domani che vede davanti agli occhi, ma che difficilmente poi riesce ad afferrare con mano. Sarebbe forse meglio cogliere l’attimo, perché quel domani agognato non è poi così certo. Il tempo sfuma, si spreca, si perde. Se passato lontano dai propri cari, poi, diventa inutile. L’unico destino che tutti accomuna è quella degenerazione del corpo, grottesca quanto ineluttabile.

Orfani bianchi è un romanzo che fa sorridere e commuovere. Un piccolo capolavoro attraverso cui prendere coscienza della realtà che ci circonda, dove il tempo si ferma, e tu, lettore, sei lì, a vivere quelle emozioni insieme coi protagonisti.

 

Orfani bianchi
Antonio Manzini
Chiarelettere, ottobre 2016
Pagine: 256
Prezzo di copertina € 16,00

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa