Nessuno come noi – Luca Bianchini

I romanzi che parlano dei mitici anni Ottanta sono molti, così come le serie televisive ambientate nelle scuole, dove il conflitto generazionale fra alunni e professori diventa un valido processo di formazione. Quindi non me ne vorrà l’autore se dico che, al principio, la trama mi era parsa poco originale. Ma come Luca Bianchini, anch’io sono “figlia” di quegli anni che mi hanno vista seguire una moda che più che gusto personale era necessità di omologarsi e desiderio di appartenenza. Perché se non eri paninaro, eri uno sfigato. E se non volevi essere sfigato, potevi benissimo diventare dark, o metallaro, o anche, perché no, bocciato, perché così eri più grande e andavi a trascinare la tua indolenza in una classe dove, di sicuro, le ragazze ti avrebbero considerato un vero “figo”. Non eravamo deficienti – non tutti quanti, almeno. Semplicemente, eravamo troppo “ingabbiati” in un mondo che voleva per forza fissarci in un cliché; che non gradiva  l’individualismo, osannato invece dall’epoca dei social network.

Era il tempo dei messaggini scritti a penna e fatti passare di nascosto fra i banchi, durante l’orario di scuola; oppure in cui si stava in casa sempre col desiderio che il telefono – quello fisso, unico che c’era – squillasse e portasse buone nuove, distogliendoci da quell’apatia che apparentemente ci sfiniva, quando invece era mancanza di originalità e di libera espressione. Un tempo in cui sognavamo di diventare come Patsy Kensit, fra l’altro poco appena più grande – e cantavamo a squarciagola Will you remember (to bring me flowers)?, anche se io preferivo I’m not scared; oppure With or without you degli U2 e ci piaceva Bono, ma spesso cantavamo a caso, senza conoscere bene le parole, forse perché il francese all’epoca la faceva ancora un po’ da padrone nella nostra formazione scolastica. Un’era in cui si portava il giubbotto della Best Company, che adesso non si sente più, e per stivali gli appariscenti Camperos. Ah, bei tempi! Il sabato sera non andavamo in discoteca, ma alle feste. A casa di uno e dell’altro, e ballavamo i lenti, avvinghiati ai “maschi” come avevamo visto fare nel Tempo delle Mele. A proposito, una mia amica sognava di essere Vic, e per un anno intero è andata avanti ad atteggiarsi come lei.

Chi aveva un fratello più grande, guidava il Ciao, ma non tutti. Il motorino era una cosa da “ricchi” e per chi aveva i genitori solo di “larghe vedute”. “Perché se cadi ti fai male”, questo era. Non si pensava ancora a tutte quelle catastrofi che sono venute dopo. Stragi del sabato sera o terrorismo al Bataclan. Certo, la gente moriva, ma le cose si prendevano con un po’ più di fatalismo, come se non si fosse ancora ben consapevoli che causa primaria di tutti i mali era sempre e solo l’uomo.

Per tutti questi motivi ho letto Nessuno come noi di Luca Bianchini (Mondadori, 2017), pensando che, nonostante le premesse, invece mi è piaciuto. Perché quello che conta, quando si racconta una storia, è essere credibili. E lui lo è stato, dato che deve avere buona memoria, e ha sviscerato nel suo romanzo esattamente quello che ognuno di noi ha vissuto in quegli anni. Ha semplicemente ricordato tutto di quando era in terza liceo, al Majorana di Moncalieri, che poi è anche la classe che frequentano i protagonisti.

C’è Vincenzo, detto Vince, figlio di un pugliese giunto in Piemonte per lavorare come operaio alla Fiat; c’è Caterina, detta Cate, di Trofarello, la bella della scuola, figlia di gente che ha una tintoria. C’è Spagna, all’anagrafe Alessandra Spagnolo, la dark del gruppo, e forse anche quella più spiritosa. E poi c’è lui, il “bello e dannato”, il ripetente Romeo Fioravanti, figlio di un facoltoso professore universitario che ama l’Ariosto, e ha una bellissima villa in collina. Non mi soffermerei sul fatto che gli “intrallazzi” amorosi abbiano un ruolo importante nella storia, sul “chi ama chi” – sappiate solo che Vince è cotto di Cate, ma lei puntualmente s’innamora di qualcun altro. Il  clima da “sitcom” – che così tanto andavano di moda negli anni Ottanta, fra cui Tre cuori in affitto, da cui i tre compagni di classe avevano tratto il loro nome prima dell’avvento di Romeo –, si protrae per tutto il libro, perché a Bianchini si potranno anche imputare alcune “sterzate” alla Moccia, sul finale, ma non di certo la mancanza d’umorismo. E così, non mancano personaggi della “vecchia guardia”, i professori, come Betty Bottone, una delle prime a considerare i suoi alunni come esseri pensanti e aventi un’identità propria, in un’epoca in cui i genitori davano sempre ragione ai docenti, e per questi ultimi, essere amici dei loro studenti era peccato mortale.

Un piacevolissimo tuffo nel passato, insomma, vero toccasana per chi ci è stato davvero. Una prosa scorrevole, che induce a terminare il libro in tempi molto brevi. Luca Bianchini è stato credibile, ai miei occhi, e per questo sono qui a consigliarvi il suo libro.
Prendetevi una pausa e abbandonatevi a qualche sana risata – il dialetto piemontese è a dir poco esilarante! Velatamente, dietro a tutto questo, ritroviamo i problemi dei ragazzi di tutte le epoche. Con o senza cellulare, sono cose sempre attuali.

 

Nessuno come noi
Luca Bianchini
Mondadori, gennaio 2017
Pagine: 250
Brossura € 18,00

 

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa