La figlia femmina – Anna Giurickovic Dato

Si chiama Maria, la figlia femmina che dà il titolo al romanzo d’esordio di Anna Giurickovic Dato, la giovane scrittrice catanese classe 1989 già vincitrice di premi letterari importanti e candidata, con questa sua storia, al Premio Strega 2017.
Esulando da qualunque tipo di sacra omonimia, purtroppo in questa vicenda non vi è niente di puro. Essa traccia un quadro sconcertante, ma quanto mai veritiero, di come molto spesso la violenza su donne e bambini avvenga in ambito familiare, dove agli eventi criminosi si aggiunge l’aggravante di un rapporto affettivo. Quest’ultimo, infatti, impedisce di denunciare e prendere le distanze da quel che sta avvenendo.

La doppia ambientazione del romanzo, che offre situazioni ambigue e personaggi malati, specchio di quel che sempre più spesso raccontano i media, si dipana fra il Marocco e Roma in un tempo passato e uno presente. Un dualismo di sentimenti – senso di colpa per non aver protetto e astio nei confronti di chi attenta alla normalità – che si manifesta anche nel tipo di narratore scelto dall’autrice; alla storia di Silvia, madre che non ha saputo o voluto vedere quel che avveniva alla sua bambina, in prima persona, si alterna un narratore onnisciente, necessario perché Silvia non avrebbe potuto descrivere quel che il padre faceva a Maria, nelle loro notti di favole e abbracci, in quanto assente e ignara di tutto.

Nella prima parte del romanzo, le avvisaglie della pedofilia di Giorgio ci sono tutte. E Silvia, che descrive gli albori della loro storia d’amore, col senno di poi, le confessa al lettore. Maria è piccola, solo una bimbetta furba e vivace, come un individuo di cinque anni può essere. Con la madre Silvia e il padre Giorgio vive a Rabat, in Marocco, dove il padre è stato trasferito in quanto diplomatico in carriera. Le giornate trascorrono fra i colori e i profumi del suk, il mercato marocchino; le passeggiate della famigliola alle feste che seguono la tradizione; le visite della nonna Adele, che forse già intravede qualcosa. Poi, un tracollo improvviso. Le attenzioni malate del padre portano la bambina, indifesa, a cambiare carattere e a diventare violenta e autodistruttiva. A nulla servono le lamentele delle maestre, che cercano di mettere in guardia Silvia. Qualcosa in Maria non va, ma lei, del tutto dipendente da Giorgio, a suo modo uomo granitico ed affascinante, non vuole crederci. O finge di non vedere.

Nella seconda parte, ritroviamo Maria e Silvia a Roma, dove la donna ha aperto una galleria d’arte e ha conosciuto un altro uomo. Giorgio è morto misteriosamente e Maria ha tredici anni. Bambina difficile, priva di amicizie e interessi, intaccata in maniera indelebile dai fantasmi del passato. Il tempo presente inizia il giorno in cui Silvia commette l’errore – o forse sarà proprio la sua salvezza, chissà – di invitare a pranzo il nuovo compagno Antonio, per farlo conoscere a Maria. Quest’ultima, mette in atto tutta una serie di comportamenti inadatti per la sua età e completamente fuori luogo, attraverso cui cerca di sedurre Antonio. L’uomo, dal canto suo, in un primo momento cerca di resistere, ma poi rimane completamente soggiogato dall’atteggiamento di questa piccola Lolita, la cui madre è caduta in uno stato d’incredulità tale da non riuscire nemmeno a reagire.

Nessuno è vittima; nessuno è carnefice. Ma tutti i personaggi, in questa storia, commettono errori gravi, così come rimangono sopraffatti dalla loro debolezza. Quel che era innocente, Maria, a causa del male perpetrato dagli adulti, sembra essere condannato alla dannazione eterna, senza possibilità di redenzione. Ma dove sono gli adulti? E, soprattutto, chi sono gli adulti in questa vicenda bislacca? Il comportamento di Maria mette Silvia davanti alle sue colpe. Davanti ad una bambina, di cui lei è gelosa, che non ha saputo a suo tempo tutelare. E Maria, vuole vendicarsi della madre, dimostrandole che tutti gli uomini sono perversi, oppure spera in una cura, in una loro intima riappacificazione al riparo di quel ménage a due che si era instaurato alla morte del padre?
Anna Giurickovic Dato non giudica i suoi personaggi, si limita a presentarli attraverso dialoghi molto naturali e del tutto credibili, affinché il lettore capisca che è proprio nella normalità che più si annida il male. E che l’educazione gioca un ruolo preponderante sulla malvagità dell’uomo. Ci spinge a guardare sotto la superficie, laddove le acque si agitano misteriosamente, mosse da ogni singolo impulso.

 

La figlia femmina
Anna Giurickovic Dato
Fazi, gennaio 2017
Pagine: 192
Brossura: € 16,00

 

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa