Augustus – John Williams

«Io sono un uomo, debole e sciocco come la maggior parte degli uomini; se ho un vantaggio sui miei simili, è quello di esserne consapevole, e quindi di aver compreso le loro debolezze, senza la presunzione di trovare in me più forza e più saggezza di quanta ne abbia riscontrate negli altri. E questa consapevolezza è stata una delle fonti del mio potere.»

Mette subito in guardia John Williams, in merito al suo romanzo Augustus, recentemente tornato in auge grazie alla pubblicazione della Fazi, con traduzione di Stefano Tummolini che abbiamo già avuto modo di apprezzare in Stoner, capolavoro assoluto. Quello che è definito come uno dei romanzi storici più appassionanti del secolo – perché anche parlando di un imperatore romano Williams risulta evocativo – deve essere considerato in realtà un’opera d’immaginazione, in cui tante sono le invenzioni e gli espedienti letterari, compreso il modo di concepire l’intreccio fra i personaggi, che avviene attraverso un continuo scambio di epistole. Per questo, quando qualcuno, andando a centellinare la storia, si renderà conto che taluni personaggi non siano mai esistiti e altri particolari completamente romanzati, ha ragione.

John Williams è legittimato da questo suo voler rendere “umano” e più vicino a noi il primo imperatore della storia di Roma. Più che per battaglie e date, Ottaviano Augusto (Roma 63 a.c – Nola 14 d.c) verrà ricordato in quanto uomo che si fidava dei suoi sogni premonitori e amava giocare ai dadi, riservando grande importanza all’amicizia e alle lettere – soleva circondarsi di poeti e uomini di cultura.

Non importa quindi se il lettore possa trovare qualche incongruenza con la storia, perché i personaggi che Williams delinea  – quali Marco Antonio, Cleopatra, e tutti i condottieri che hanno affiancato l’Augustus, senza escludere lo stesso Giulio Cesare – emanano un’infelicità di fondo che è denominatore comune. Bucano la pagina, parlandoci di un grande isolamento affettivo quale effetto collaterale di chi è ambizioso e si trova in una posizione di potere.

Scelto come suo successore da Giulio Cesare in persona, Augusto, che alla morte dello zio aveva solo diciotto anni e non aveva mai goduto di buona salute, si ritrova a dover organizzare un intero regno; quella Roma in cui corruzione e violenza erano all’ordine del giorno. Per dirla come Augusto stesso, una città trovata edificata nell’argilla e che sotto il suo governo è diventata di marmo.

Le continue congiure, così come le trame mosse a screditare, ordite da chi finge di essere amico – fra tutti quel Cicerone a cui poi, l’Augustus di Williams, vorrebbe concedere il perdono – mettono in evidenza un popolo mosso da bassi istinti e tornaconti di potere, dove la morale era, per quanto possibile, ancora più latitante di quanto non lo sia oggi.

Pur di preservare il prezioso sangue della dinastia Iulia, i matrimoni non avevano niente a che vedere con l’amore. E il romanzo sorprende perché indugia sul fatto che nella numerosa famiglia “allargata” di Ottaviano si sposassero sempre e solo fra loro, mentre i divorzi e le adozioni fossero cosa fin troppo abusata.

Padre devoto di un’unica figlia femmina, quella Giulia simbolo di devozione e obbedienza alle sue origini, Ottaviano ha saputo utilizzare il pugno di ferro anche nelle avversità. Quella legge sui matrimoni, da lui stesso promulgata, dove si ordinava la pena di morte a chi venisse sorpreso a tradire il coniuge, è giunta proprio al momento opportuno. E lui, a sua volta marito fedifrago, ha saputo volgerla a proprio favore, condannando l’adorata figlia all’esilio sull’isola di Ventotene. Divenuta in tarda età di troppo facili costumi, la bella Giulia ha avuto così salva la vita.

Forse questo ha fatto Ottaviano Augusto, nel corso del suo lungo regno. Guardare in faccia quel che di volta in volta era chiamato a “subire”, e ricavare un beneficio. Baluardo della “resilienza”, colui che durante le campagne contro il nemico non si è risparmiato in battaglia e ha rischiato più volte di morire, colpito da malattie ferali, in realtà ha sepolto tutti i suoi nemici e anche i suoi amici.

Contro ogni previsione, Ottaviano è morto vecchio. E in Augustus John Williams ne ha colto in pieno lo sgomento, per l’ironia di quella sorte che forse neanche lui avrebbe ritenuto possibile. Un’eco di solitudine e mestizia che, a distanza di tanti secoli, ancora si propaga.

Su quel giovane, dal fisico esile e gli occhi incredibilmente azzurri, nessuno avrebbe scommesso. Pareva essere stato messo lì per caso!

 

Augustus
John Williams
Fazi, settembre 2017
Pagine: 410
Prezzo: € 18,00
Ebook € 9,99

 

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa