La Locanda dell’Ultima Solitudine – Alessandro Barbaglia

Del poeta e libraio novarese Alessandro Barbaglia, autore del romanzo La Locanda dell’Ultima Solitudine (Mondadori, 2017), è stato evidenziato lo stile carico di giochi linguistici. Secondo me, che ne ho appena terminato la lettura, il punto sta proprio nel fatto che egli sia un poeta.
I romanzi scritti dai poeti presentano uno stile scarno, con capitoli brevi, perché è nella loro natura riuscire a comprimere i pensieri, cercando di porre in ogni frase il massimo dell’emozione.
Inutile tentare quindi un riscontro tangibile con la realtà, perché il poeta, se si è disposti a seguirlo, fa volare con la fantasia e conduce in un mondo surreale, dove è la suggestione a prevalere.

E alludo a quanto capita in questa storia, in cui un uomo e una donna si cercano pur senza conoscersi, sebbene lui abbia prenotato un posto in un ristorante – a dire il vero una locanda magnifica a picco sul mare, che ha una storia alle spalle e brilla di luce propria – con ben dieci anni d’anticipo.

Ora, mi direte che tutto questo sia impossibile. Le piccole locande a conduzione familiare nemmeno più esistono e, se anche esistono, purtroppo falliscono alla velocità della luce e quindi una prenotazione, proiettata in un futuro così lontano, neanche verrebbe presa in considerazione.
Un consiglio: non fate l’errore di pensare che questa sia una storia improbabile. Perché appunto, perdereste tutta la poesia di cui l’autore ha intriso il racconto; un’analisi introspettiva ed estremamente intima, che porta ad una lenta e inconsapevole riscoperta di sé.

Non perdetevi la “potenza” di questi personaggi, forse appena abbozzati, ma che bucano la pagina e potrebbero essere chiunque di noi. La delicatezza di Viola, che vorrebbe fuggire da Bisogno, il piccolo paese dove vive con la madre e dove è vittima di maldicenze ed eventi che forse accadono in tante parti, ma di cui nessuno sa niente. Così come la tenacia di Margherita, sua madre, figlia di donne aventi tutte nomi di fiori e abbandonata dal marito che, nell’accordare fiori, vorrebbe insegnare alla gente a gridare ed esternare il proprio dolore.

E di tanti altri, come il papà di Viola che anticipa il vuoto e la perdita, quando ancora questi non ci sono. E infine, un cane nero, Vieniquì – scritto proprio così – che quando si vede costretto fugge.
Insomma, la domanda alla quale dovrete rispondere è questa: amo io i romanzi scritti dai poeti?
Se no, passate oltre.
Ma se invece la vostra risposta è sì, vi consiglio vivamente questa lettura, che sa di magia e di favole antiche. Di tempo che si ferma e non delude nell’attesa.

«Libero delle attese amava tutto perché lui, le attese, le aveva accettate. […] Non c’era niente di male in tutto questo e se qualcosa nella vita non arrivava era perché non l’aveva aspettato abbastanza, non perché era sbagliato aspettarlo».

 

La Locanda dell’Ultima Solitudine
Alessandro Barbaglia
Mondadori, gennaio 2017
Pagine: 164
Prezzo: € 17,00

 

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa