Lucia Marino di Regalbuto: come nasce un’artista

Lucia Marino esercita un’attività che spazia nel campo dell’arte e si esprime abilmente nella lavorazione della ceramica e del vetro. Da oltre quindici anni ha aperto un laboratorio di decorazione per ceramiche e vetro a Regalbuto, comune facente parte del libero consorzio di Enna. Le vetrate artistiche vengono sottoposte a sabbiatura classica e a due tempi, le fusioni di vetro e vetrate istoriate (ornate con raffigurazioni che richiamano episodi della storia, testi e figure sacre) vengono dipinte a fuoco e legate a piombo, si aggiunge anche una produzione stile Tiffany. Lucia Marino ha cercato di trasformare un’antica forma d’arte in una contemporanea, a volte con tecniche tradizionali, altre sfruttando l’elemento vetro in modi innovativi e in combinazione con materiali diversi, la sua arte è legata alla bellezza degli oggetti che produce accompagnati dalla filosofia espressa dallo stile dell’ “Art Nouveau” e dell’ “Art Deco”. Ha conseguito il diploma Superiore di Arte Applicata, quello di Maestra d’Arte presso l’Istituto d’Arte “M. Cascio” di Enna e il Diploma con attestato di decoratore su ceramica. Lucia sin da bambina ha manifestato una predisposizione al disegno, tanto che il nonno materno, accortosi di questa passione innata, la copriva di regali con colori, matite e pastelli, incitandola e incoraggiandola a realizzarsi sin dalla tenera età. Più tardi, spinta da Fratel Giuseppe e Fratel Ciro, frequenta le Scuole Lasalliane che mettono a disposizione tutte le attrezzature del centro per la lavorazione della ceramica, riuscendo così ad ottenere una notevole padronanza nella lavorazione dell’argilla. Le sue prime esperienze si formano sull’imitazione dei decori delle ceramiche di Caltagirone e di Deruta sino a giungere alla creazione di uno stile personale, tanto che i manufatti di Lucia oggi vengono riconosciuti prima ancora di leggere la sua firma. Inizialmente si affermò con la creazione personale del c.d. “Biscotto”, consistente nella composizione della miscela di argilla, alla quale aggiungeva polvere di pietra lavica, che le conferisce proprietà diverse dalle altre lavorazioni in terra cotta. Adesso realizza i classici “lumiere” di Caltagirone, dalle forme umane con la cavità per contenere l’olio nel cappello contenente anche uno stoppino per attivare la lampada artistica e fare luce, “U bummulu malandrinu”, contenitore in terracotta che ha un’ antica storia in Sicilia perché serviva ai contadini per tenere l’acqua sempre fresca, i “Lumi di Matrangela”, ancestrale simbolo femminile che si regalava alle donne come augurio di fecondità, la tradizione sopravvive in Sicilia, a Santo Stefano di Camastra, dove si producono molte statuine in ceramica. Il punto di riferimento della produzione della Marino si trova sotto l’Etna, a Santa Maria di Licodia, dove vengono prodotti i mattoni di argilla al cui composto viene aggiunta polvere di pietra lavica estesa a mano e che, in prima cottura, viene aggiunto un gancio per appenderli alle pareti. Vengono realizzati tozzetti per diversi usi, varie decorazioni di animali, di frutta tipica siciliana, (arance, limoni, fichidindia, melograni) paesaggi rupestri e decori antichi di quadri di personaggi famosi e santi, di Paladini (i c.d. pupi siciliani). Sia quando studia il tozzetto che quando lo realizza, Lucia si sente molto coinvolta fino a innamorarsi della sua produzione, infatti sceglie con accuratezza il disegno e i colori finalizzati a rompere la freddezza ambientale e smorzare l’asetticità emozionale. Ormai la sua produzione è presente nelle migliori botteghe d’arte a Taormina, con acquirenti internazionali, a Pisa, a Genova e Rapallo, fra non molto sarà presente a Erice, Castellammare del Golfo (TP) e a Ragusa Ibla. Molte le mostre fatte in Sicilia, spicca quella di Palazzo Biscari a Catania, edificio ad un solo piano sopra un basamento elevato che un tempo ebbe come visitatore Johann Wolfgang Goethe, quella di Palazzo Manganelli a Catania, edificio settecentesco di stile tardo barocco, quella alla Villa Malfitano Whitaker di Palermo, sviluppata in tre livelli, di stile rinascimentale. Fra non molto sarà allestita un’altra mostra alla fiera di settore di Milano, a Rhò, nella prestigiosa HOMI, la casa a dieci dimensioni. Le scelte decorative e di forma di Lucia Marino vengono distinte con facilità da osservatori e pubblico sempre più numeroso, è riuscita a crearsi uno spazio non indifferente tra le ceramiche di Caltagirone e quelle di Santo Stefano di Camastra. L’artista vede il suo pubblico in continuo crescendo, l’espansione del suo prodotto, tipico della Sicilia, la coinvolge e la riempie di soddisfazione, fino ad aspirare di potere mettere le basi per una sua identificazione nella lavorazione della ceramica legata al territorio.

Lucia Marino all’interno del suo laboratorio è ormai dedita alla cultura della ceramica popolare, inserita nel grande solco di una antica tradizione e alla ricerca di una ceramica di Elitè, con capolavori di personaggi famosi, in attesa di un adeguato riscatto che possa premiare il suo impegno profuso sin da bambina rivelatosi proficuo e valido a legittimare un successo più ampio e meritorio.

Lucia Marino
Dettaglio realizzazione

Marino Lucia

Maestra d’Arte, nata il 5 novembre 1971, a Regalbuto ove esercita ed è titolare di un laboratorio di Ceramiche e Vetrate Artistiche, ha conseguito il Diploma superiore di Arte Applicata, il Diploma di Maestra d’Arte nell’Istituto d’Arte “M.Cascio” di Enna e il diploma di Attestato di decoratore su ceramica. La produzione del suo laboratorio è menzionata nell’introduzione di “Mestieri Artigiani nella terra di Demetra”. Oltre alla vasta produzione di opere in ceramica realizza opere di scultura contemporanea in ceramica. Ha partecipato a diverse mostre a Catania e Palermo ed è presente nelle migliori botteghe d’Arte delle più prestigiose località turistiche italiane.

San Michele Arcangelo

Maria Vergine e l’Arcangelo Michele sono associati nel loro combattimento contro il demonio ed entrambi, iconograficamente parlando, hanno sotto i loro piedi, a seconda dei casi, il serpente, il drago e il diavolo in persona, che l’Arcangelo tiene incatenato e minaccia, pronto a trafiggerlo con la sua spada.

In Europa, durante il medio-evo, furono elevati tre capolavori di storia, architettura ed arte: L’abazia di Mont Saint-Michel in Normandia, la Sacra di San Michele sul Monte Pirchiriano, in Piemonte e il Santuario del Monte Gargano in Puglia. La sua statua compare sulla sommità di Castel Sant’Angelo a Roma, quale protettore del popolo Cristiano.

Lucia Marino ha realizzato l’opera artistica di San Michele Arcangelo su un modello di terracotta, materiale ceramico ottenuto dalla modellazione dell’argilla, fornitole da suoi collaboratori. Questo materiale è in uso da millenni, sia come materiale da costruzione, vasellame, che come oggettistica di arte. Spesso la ceramica si afferma mediante tematiche originali di decorazione e di pittura artistica, realizzata con tinte e colori speciali, da mani abili ed esperte, che ormai hanno reso questo tipo di opere un arte tipica dalle origine remote, ultimata a caldo con l’utilizzo del forno o a freddo, non solo nella fase di modellazione. Sebbene ci troviamo di fronte ad una riproduzione di San Michele Arcangelo, i colori utilizzati dall’artista, il vibrare della luce e l’atmosfera creata dall’azione dei soggetti rappresentati dominano l’animo umano. In quest’opera non si percepisce qualcosa di compiuto ma che dovrà accadere, ed è in ciò che appare come sospeso il mistero della vita, avvolto dalla profondità dei colori che coinvolgono sentimentalmente l’osservatore.

 

San Giorgio

Della sua vita non ci sono notizie storicamente fondate, si sa che fu un soldato originario della Cappadocia e martirizzato sotto Diocleziano nello stesso periodo in cui fu martirizzato San Vito.

L’iconografia tradizionale di Giorgio è legata al suo miracolo più celebre, quello appunto dell’uccisione del drago. L’episodio, come viene riportato nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, è noto: per tenere lontano un mostro che infesta la città libica di Selem gli abitanti estraggono a sorte giovani vittime da dargli in pasto. Quando il sacrificio tocca alla figlia del re, compare San Giorgio a cavallo che neutralizza il drago (la scena immortalata dagli artisti); quindi invita la principessa a legare la cintola al mostro, ora mansueto, per condurlo in città. Di fronte al miracolo il re e l’intera popolazione si convertono e il drago viene finalmente ucciso.

Lucia Marino ha realizzato quest’opera riproducendo l’uccisione del drago da parte di San Giorgio con la fornitura del “biscotto”, cioè la terra cotta miscelata con l’inclusione di polvere di pietra lavica prodotta sotto l’Etna, in Santa Maria di Licodia.

La miscela del mattone, modellato, lo distingue da molte altre ceramiche di composizione diversa e anche per la bassa temperatura della prima cottura. I colori utilizzati sono il blu, il rosso e il bianco, in perfetta armonia fra loro, sovrastano un prato verde e nello sfondo un corso d’acqua mentre la luce bianca dall’alto mette in evidenza il soggetto, tra sfumature chiare fino a quelle sature, con toni verdi, grigi e marroni, compreso il bianco che dà luce all’espressività motoria di San Giorgio nella sua aggressività contro il drago.

L’ANNUNCIAZIONE di ANTONELLO da MESSINA

La tavola venne realizzata su commissione  (23 agosto 1474)  di Giuliano Manjuni,  sacerdote della chiesa di Santa Maria Annunciata a Palazzolo Acreide, per l’altare maggiore. Nel contratto era imposta la consegna dell’opera entro il successivo mese di novembre. La pala fu rimossa dall’altare maggiore  e trasferita su un altare lungo una parete umida della stessa chiesa, causa del precario deperimento della pregiata composizione. Nel 1906 fu acquistata dallo Stato che provvide subito ad a un primo restauro e poi al trasporto della stesura pittorica dalla tavola alla tela che, purtroppo, male eseguito, finì con il danneggiare ulteriormente il dipinto (in particolare le svelature delle mani e del viso della Vergine).

Lucia Marino sembra riproporre la copia danneggiata dell’Annunciazione di Antonello da Messina, come si può osservare nel petto, sulle mani e sul viso. Il mattone realizzato sotto l’Etna, a Santa Maria di Licodia, con l’inclusione di polvere di pietra lavica, dà l’impressione di trattarsi di un’opera riesumata e riportata alla luce dei nostri giorni. Come colore prevale il blu sfumato per ricreare l’umidità patita dall’opera originaria, che invade parte del collo e del viso, l’espressione rimane, si salva insieme allo sguardo profondo, diretto timidamente verso il basso, mentre la “macchia bianca” al petto offusca il movimento della mano sinistra nel sollevare il velo per coprire il collo, mentre la destra istintivamente protegge l’azione. Riesce Lucia Marino a compiere una composizione artistica a ridosso, cioè inversa alla restaurazione, quasi a voler lasciare in vita l’opera con tutta la sua storia.

SCALDA LETTO di CALTAGIRONE – BUMMULU MALANTRINU – LUME

Decoro ricavato da una antica piastrella all’interno di una villa, realizzato con colori blu e nero, oggettistica in terracotta per uso interno casa, ove il motivo della decorazione, riallacciandosi alla natura, richiama lo stile “Kamares”, che in seguito lascia il posto alla pittura dei vasi con una vernice più scura con sfondo bianco o chiaro. Gli elementi naturali sia della flora (foglie) che della fauna (pesci), come si vede nell’immagine, vengono catalogati dagli artisti “stile naturalistico”. Lucia Marino rispetta l’impostazione dello stile, ormai scomparso da oltre tremila anni, con l’assorbimento della civiltà di Creta a quella Micenea, facendolo così rivivere ai nostri giorni.

TESTA DI DONNA E DI UOMO – DETTE TESTE DI MORO DI CALTAGIRONE

Sebbene Lucia Marino sia dotata di tanta fantasia artistica, la riproduzione delle teste di moro di Caltagirone nasce da una leggenda d’amore di una ragazza siciliana, di Palermo, con un giovane arabo.
Intorno al Novecento nella “Kalsa”, quartiere arabo di Palermo, allora chiamato “Al Hàlisah” durante la dominazione araba, si narra vi abitasse una bellissima fanciulla che occupava le giornate curando i fiori del suo balcone. Venne osservata da un giovane moro che attratto immediatamente dalla sua bellezza se ne invaghì, le dichiarò subito il suo amore e la bella ragazza, colpita dalla temerarietà, ricambiò il sentimento.
Il giovane moro, però, era già sposato e aveva un paio di figli, quando la fanciulla seppe che sarebbe partito per tornare dalla sua famiglia in Oriente, fu colta da ira funesta, attese la notte e lo uccise in pieno sonno.
Gli tagliò la testa, ne fece una “rasta” (in siciliano vaso per piantarvi fiori) in cui piantò dell’odoroso basilico e lo mise in bella mostra nel balcone.
Il moro rimase per sempre con lei in modo insolito: la pianta, che veniva innaffiata ogni mattina con le sue lacrime crebbe rigogliosa e, col suo profumo destò l’invidia degli abitanti del quartiere, i quali si fecero fabbricare dei vasi di terracotta a foggia di “testa di moro”.

Questa leggenda è un po’ macabra, la dizione di “testa di moro di Caltagirone” viene contestata dai palermitani che vorrebbero che il vaso venisse chiamato “testa di arabo di Palermo”, non escludendo un’altra versione che vorrebbe entrambi morti. Le teste di moro di Caltagirone riportano una corona volta a riproporre la regale pianta del basilico. Le teste di Lucia si fregiano anche dello stemma di una larga foglia di basilico posto al centro della corona.

LA DAMA CON L’ERMELLINO di LEONARDO DA VINCI

Con il busto rivolto a sinistra e la testa a destra, Lucia Marino conferma la duplice rotazione del corpo, riproponendo l’identità dell’opera di Leonardo da Vinci su mattone di terracotta. L’ermellino sembra identificarsi con le movenze della fanciulla, per una sottile comunanza di tratti, gli sguardi dei due sono intensi e allo stesso tempo spontanei, mentre la figura slanciata della dama trova riscontro armonico nell’animale.

La dama attratta, allo stesso modo dell’ermellino, dal sopraggiungere di qualcuno nella stanza, viene indotta a compiere una rotazione della testa in assonanza con l’animale, in modo imperturbabile e solenne, come fosse un’antica statua. Un’emozione si percepisce da un impercettibile sorriso sulle sue labbra, grande risalto viene dato alla mano, investita dalla luce, con le dita lunghe e affusolate che accarezzano l’animale con grazia e delicatezza. L’abbigliamento della donna non è sfarzoso, per l’assenza di gioielli, a parte la lunga collana di perle scure. Tipico dei vestiti dell’epoca, le maniche sono le parti più elaborate, con due colori diversi, adornate da nastri che, all’occorrenza, potevano essere sciolti e sostituiti. Un laccio nero sulla fronte tiene fermo un velo dello stesso colore dei capelli raccolti. Lucia Marino riesce in modo perfetto a riprodurre la dama con l’ermellino, trasportando con arte colori, espressività e delicatezza di sembianze

LA RAGAZZA CON L’ORECCHINO DI PERLA di JOHANNES VERMEER

Questo quadro del Maestro olandese Vermeer ha suscitato, sin dalla sua creazione, una serie di reazioni nella famiglia del pittore, al punto di generare, successivamente, la produzione di un libro e di un film.
Griet è una ragazza olandese che vive a Delft nel 1665, suo padre è un pittore di ceramiche, divenuto cieco per un incidente sul lavoro. Griet viene mandata a servire a casa del pittore Vermeer. Emerge presto che anche Vermeer ha difficoltà a mantenere il suo elevato tenore di vita, sua moglie mette al mondo un gran numero di figli ed egli non riesce a produrre più di due o tre quadri all’anno, data la sua smania di perfezione. Griet mostra interesse e innata comprensione per i colori e la pittura, notando ciò Vermeer le insegna come preparare i colori per i suoi dipinti. Griet incarna una bellezza tipica olandese e così un giovane, di nome Pieter, viene attratto da lei, che però non ricambia subito i sentimenti. Anche il mecenate di Vermeer, Van Ruijven, prova attrazione per Griet e chiede a Vermeer di farla lavorare per lui, egli rifiuta, ma per mantenere buone relazioni, in quanto è la sua sola fonte di reddito, accetta l’incarico di dipingere per lui un ritratto di Griet. In realtà Vermeer prova un desiderio personale di ritrarla, ma deve nasconderlo a sua moglie. La sua relazione con Griet diviene sempre più intima, mentre peggiora quella con la moglie, la quale mostra sempre maggiore ostilità verso la ragazza. Quando il dipinto è ormai ultimato, sua moglie scopre la verità, incluso il fatto che Vermeer aveva ritratto Griet con i suoi orecchini di perla. Nel confronto finale con Griet la moglie si sente insultata dal marito quando le dice di aver dipinto Griet anziché lei perché riusciva a capire meglio la sua arte. Griet viene allontanata dalla casa e va a vivere con Pieter, mentre la cuoca Tanneke le porta gli orecchini di perla da parte della signora Vermeer, come “eredità” dopo la morte del pittore.

La riproduzione su mattone di terracotta mette in risalto il volto illuminato su fondo scuro e un panno azzurro intorno alla fronte facente parte del copricapo, quasi un turbante che le conferisce un’ area esotica.

Il titolo è suggerito dal grande orecchino la cui perla riflette un’ampia luce in alto e, più tenuemente, il bianco del colletto sottostante. Il volto idealizzato della fanciulla e il suo insolito abbigliamento conferiscono al dipinto un carattere di originalità e di mistero. Lo sguardo sognante della ragazza suscita nell’osservatore la sensazione che si stessero disturbando i suoi sogni. Ottima la riproduzione di Lucia Marino su mattone che ha onorato la più famosa opera di Vermeer.

SCENE DI PALADINI RIPRESE DALLE SPONDE (masciddari) DEI CARRETTI SICILIANI

Duello tra Rodomante e Mandricardo per la bella Doralice, promessa sposa a Rodomante.

Mentre re Agramante si prepara a dare l’assalto decisivo alla città di Parigi si apprende che due squadre di saraceni sono state massacrate da un misterioso cavaliere cristiano dall’armatura nera. A questa notizia Mandricardo, il feroce guerriero figlio del defunto re dei Tartari, Agricane, decide di lasciare il campo e di mettersi in cerca del responsabile dell’eccidio per vendicarsi di lui. Durante il viaggio si imbatte nella scorta di Doralice, la bellissima figlia del re di Granata Stordilan, promessa sposa di Rodomonte, che sta per ricongiungersi col padre e il fidanzato. Invaghitosi della fanciulla, Mandricardo fa strage dei suoi difensori e la rapisce, mentre la ragazza, dopo l’iniziale spavento, mostra di non disdegnare la corte dell’uomo e finisce per concedersi a lui pienamente. L’episodio è interessante non solo per la caratterizzazione negativa di Mandricardo, ma anche per quella di Doralice, dal comportamento opposto a quello virtuoso di altre protagoniste femminili del poema. Bella la riproduzione del duello tra Rodomante e Mantricardo che si contendono la bella Doralice, riprodotto dalla brava Lucia Marino trovata nella sponda di un carretto siciliano.

Franco Santangelo

Critico e Storico