Il bambino che disegnava parole – Francesca Magni

La dislessia è un fattore neurobiologico, almeno così viene definita al momento dalla neurologia, dunque non è una malattia. Eppure ancora viene considerata come una sorta di “marchio” per cui il bambino non viene capito abbastanza prima di tutto dalla famiglia stessa, poi dal contesto scolastico che tante volte lo vede diverso in senso negativo. Più di ogni altra normativa che ho studiato e spiegazione scientifica è stato illuminante il libro della giornalista Francesca Magni che ha raccontato la storia di suo figlio, dislessico, e del percorso intrapreso per trovare la giusta metodologia ai fini di una brillante carriera scolastica. Il bambino che disegnava parole, edito da Giunti, mi ha catapultata in un mondo nuovo, mi ha guidata alla conoscenza e dunque mi ha permesso di scoprire (in qualche modo) come pensa una persona dislessica, come funziona il suo cervello e quali sono le problematiche connesse quando non viene capito. Si tratta semplicemente di un disturbo della lettura, quando, nello specifico, il fonema non entra in perfetta relazione con il grafema. Ma la cosa che più mi ha arricchito è il modo di pensare anche dei normolettori che spesso grazie alla memoria a breve termine che funziona benissimo fanno uno studio fin troppo mnemonico senza interpellare la parte logica: non a caso i dislessici, che invece per aiutarsi devono necessariamente utilizzare la logica, o meglio, crearsi visivamente ciò che studiano, riescono a sviluppare pensiero di senso compiuto con il raggiungimento ottimale delle competenze.

«Per un dislessico le informazioni devono “riempirsi di senso”, così risulta loro più facile memorizzarle; riempire di senso significa articolare le nozioni in racconti ampi e compiuti.»

Ogni bambino è diverso a prescindere dal tipo di apprendimento, e i ragazzi con Dsa (Disturbo Specifico di Apprendimento) hanno un modo di approcciarsi alla scuola e dunque allo studio in modo del tutto personale: in fondo sono queste le ultime linee guida da parte del Ministero per una didattica inclusiva e personalizzata, però spesso le certificazioni arrivano quasi a metà anno scolastico, e le famiglie non sempre accettano e sono pronte a collaborare, perché come ci fa notare la scrittrice e mamma di Teo, il dislessico non lo è solo a scuola, ma anche nella vita di tutti i giorni, quindi le frustrazioni che potrebbe avere possono riguardare ogni momento della sua vita. Così come i mancini, che fino a qualche tempo fa venivano costretti a scrivere con la mano destra, causando loro grossi disagi psicologici tanto che alcuni reagivano con balbuzie. I bambini con Dsa hanno un cervello dal punto di vista biologico che funziona diversamente, dunque devono usare strategie a loro adeguate per ottenere risultati in ogni caso brillanti.

«Se la nostra società fondasse la comunicazione interamente sul canto, uno stonato sarebbe sfortunato quanto un dislessico ed è probabile che la scienza formulerebbe teorie su teorie, sviscerando, trovando e smentendo evidenze mai riconducibili a una categorizzazione univoca e chiara.»

La storia di Teo mi ha particolarmente commossa, perché è difficile trovare una famiglia così interessata ai problemi del figlio: malgrado il lavoro e il poco tempo a disposizione questa mamma si è fatta in quattro per capire le giuste strategie per lo studio, non si è nascosta dietro una certificazione, non ha cercato scuse, ha solamente invitato a studiare il proprio figlio che aveva bisogno di un metodo adatto a lui. Una storia invitante, sotto ogni punto di vista, specie quello famigliare, perché ogni attenzione parte sempre dalla famiglia e con la collaborazione della scuola si trova sempre il giusto equilibrio per il bene del ragazzo. I suoi momenti di sconforto sono stati anche i miei, così come le gioie dopo aver ottenuto i risultati sperati, e anche tanta commozione per avercela fatta dopo sacrificio e impegno.

«Non è una tesi molto lontana dalla mia idea di una didattica in cui non servano etichette e ognuno possa imparare per strade alternative alla pura lettura e memorizzazione per via fonologica, in cui possa dimostrare quello che sa attraverso prove declinate in base agli stili di apprendimento, senza bisogno di etichette. Come oggi a un mancino non si chiede più di scrivere con la destra, ma semplicemente di scrivere.»

Spesso gli insegnanti hanno la necessità di avere certificazioni per “partire” perché in Italia si sta dando peso più alla burocrazia che alla didattica stessa, eppure per fortuna non tutti sono legati a una carta. Ognuno personalizza come meglio crede, e dopo questa lettura mi sento più incoraggiata a fare questo lavoro sempre più creativo senza vincoli esagerati. Un libro che consiglio vivamente a tutti i docenti, di ogni ordine e grado, a tutti i genitori che tante volte non sanno nemmeno di avere un figlio dislessico, considerandolo sfaticato con poca voglia di studiare, agli educatori e alla società odierna che deve includere tutti, senza etichette.

 

Il bambino che disegnava parole. Un viaggio verso l’isola della dislessia e una mappa per scoprirne i tesori
Francesca Magni
Giunti, 2017
Pagine 366
Prezzo € 16,00

 

 

Maria Ausilia Gulino

Teacher – Journalist