Anni luce – Andrea Pomella

La prima volta che ho visto un video dei Pearl Jam (era Alive, unplugged) non mi aspettavo che una voce così grossa uscisse da quel ragazzo. Mi ricordava una specie di Tom Sawyer. C’era questo sorriso un po’ furbesco, quella vena di ironia mista a divertimento, come a dire: «Ma siete davvero tutti qui per sentire noi?». E in effetti sì, sono tutti lì per voi, perché appena il ragazzo ricciuto apre bocca appare chiaro che è un leader. Si trasforma in una sorta di sciamano, entra nella musica che lui stesso sta producendo e poi va a ruota libera, assecondato dal suo branco di giovani lupi.

Ho una fruizione particolare della musica. A volte non voglio mettere una faccia a quella voce che sento. Così per me una volta messa è quella, e dunque per quanto mi riguarda Eddie Vedder è fermo ai suoi vent’anni. Che è ciò che più o meno succede in questo libro.

Anni luce (Add editore, 2018) è l’ultimo lavoro di Andrea Pomella, ed è candidato al Premio Strega. Ha il formato di un diario e una copertina incendiaria. È un bell’oggetto da maneggiare, a metà tra un’alba e un tramonto. Sembra quel tipo di cosa su cui un ragazzo può investire sentimentalmente, un libro talismano che com’è o come non è non togli da in fondo allo zaino.

Parla, attraverso la voce narrante di un ragazzo, di un’amicizia tra simili, di un pezzo di strada percorso insieme, come in On the road, che infatti è citato. Una Roma appena diversa e poco lontana nel tempo raccoglie i giri sconclusionati che un’intera generazione di giovani compie cercando – o cercando di annullare – la propria identità: sono i ragazzi che hanno avuto vent’anni negli anni Novanta, quelli che si sono riconosciuti nel grunge come in uno stile di vita, leggendovi «una filosofia ribelle, depressa, pessismista, che aveva come unico sfogo la pulsione suicida».

Né Q né io – dice a un certo punto il protagonista – sapevamo di pensare, vestire e vivere grunge. Avevamo i capelli lunghi, indossavamo jeans strappati e camicie da lavoro aperte su magliette usurate. Eravamo enfaticamente inclini a giudicare insopportabile la malinconia quotidiana della vita al termine del millennio. Andavamo in cerca degli angoli di città più squallidi e sotterranei in cui rintanarci e godevamo nel constatare quanto poco del raggiante edonismo degli anni Ottanta fosse sopravvissuto.

Il libro è una sorta di tributo alla giovinezza. Riunisce tutti gli spettri, i riti e le prove che un adolescente incontra nel suo avviarsi verso l’età adulta, spettri diversi a seconda della generazione e allo stesso tempo anche uguali perché intrinsechi alla condizione di giovane. Non propriamente un romanzo, alterna delle parti più prettamente saggistiche di contestualizzazione a tema musicale a riflessioni autobiografiche di stampo molto personale, paradossalmente sempre gestite “da fuori”, nonostante la centralità dell’io. Pomella crea una rete documentaria associando fatti della grande Storia, riferimenti al proprio vissuto, rielaborazione artistica tramite la scrittura di tutto un portato esperienziale che si è stratificato negli anni risultando poi fondativo della sua identità di persona. Sin dall’inizio ci si accorge che è una guida affidabile: fine intelligenza musicale, una certa arte, niente parole superflue, cultura dosata a seconda delle situazioni.

Nel personaggio di Q, molto luciferino, distilla l’essenza primitiva delle sirene che eternamente attirano i giovani, facendone un alter ego più spinto al limite, più distruttivo, e con più fascino del narratore: proprio il tipo di amicizia in grado di mettere in moto il processo di formazione del protagonista.

L’ubriachezza esaltava i tratti distintivi di Q. Al principio, oltre che dalla sua follia, si rimaneva affascinati dal suo modo di conversare, di piegare la testa dopo una frase, di ascoltare con aria complice, ma come se non credesse a una sola parola di quello che gli stavi dicendo. Facevano colpo perfino le sue maniere da bisbetico, la sua crudeltà temperata da un’ironia accecante e da una maliziosa cortesia. […] Quand’era ubriaco la sua indole subiva un’accelerazione, ma questo era esattamente l’obiettivo della nostra ubriachezza.

Una specie di Dean Moriarty rivisitato, per chi ha amato la strana interdipendenza tra Dean e Sal Paradiso.

In Anni luce poi ci sono i Pearl Jam (bisognerebbe forse dire che ci sono prima, intorno e durante), e nella loro inafferrabile composita esistenza fatta di testi, immagini, canzoni, fama, fans, media, si solidificano qui in una presenza di una estrema, corporea vitalità, quasi una violenza, la stessa che fa dire alla voce narrante che “Ten, il primo disco dei Pearl Jam, fu il treno che travolse la mia giovinezza”.

Di Eddie Vedder e della sua formazione, dei Pearl Jam e del panorama musicale di quegli anni, Pomella parla in un modo tale che Anni luce potrebbe essere senza problemi il primo approccio col grunge anche per un ragazzo cresciuto a pane e pop, perché è sincero, è “mirato”.

In uno sfogliare di serate, atti vandalici, pomeriggi passati a suonare o ascoltare lo stesso pezzo in loop, tra un treno preso e un treno perso in giro per un’Europa niente affatto da sogno rispetto alle aspettative di ragazzi con una forte vocazione alla fuga, la storia si avvia verso uno scioglimento, che in realtà non si scioglie. Nel finale c’è una vena di cattiveria, di rimpianto, di irrisolto, l’incidente è una girandola veloce perfetta come un coupe de théatre, taglia senza possibilità di tornare indietro, quel periodo è finito, chiuso, stop.

Finito il libro si sorride sentendo riecheggiare le note di pezzi come Plush degli Stone Temple Pilots o come Would degli Alice in Chains, o come Jeremy o Alive dei Pearl Jam, o come tutti i Nirvana, e si sorride a pensare che se per i suoi stessi iniziatori il grunge nasceva da un malessere, è oggi un qualcosa di assurdamente vibrante, creativo, forte, in confronto al grigiolino della musica a cui siamo esposti quotidianamente.

Così come basterebbero forse solo un fuoco, una chitarra e una bottiglia di whisky a far brillare improvvisamente gli occhi a uno dei tanti ragazzi Duemila convinti di aver bisogno di molto di più, ed è proprio il segno che questa corrente aveva qualcosa da dire.
Un libro che regalerei.

Anni luce
Andrea Pomella
ADD editore, 2018
Pagine 160
Prezzo € 13,00

 

 

Teodora Dominici

Articolista, collaboratrice editoriale free-lance e scrittrice in pectore