Resto qui – Marco Balzano

Con la diga avremmo perduto le case, gli animali, il lavoro. Di noi, con la diga, non sarebbe rimasto più nulla. Saremmo dovuti emigrare, diventare altro. Un altro guadagnarsi il pane, un altro posto, un altro popolo. Saremmo morti lontano dalla Val Venosta e dal Tirolo.

Marco Balzano parla di quel campanile che è in copertina e svetta sul lago di Resia in Val Venosta, in Trentino Alto Adige, meta di turisti che si scattano selfie lasciandosi l’acqua alle spalle. Testimoni di un paesaggio suggestivo ma ignari che sotto quelle acque, più o meno profonde – dipende dai periodi – si nasconda il vecchio paese di Curon e una civiltà intera. Perché quando la diga è stata costruita, alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo, non senza incidenti e indecisioni, gli abitanti già duramente provati dalla guerra hanno dovuto migrare altrove.

Troppo poco si sa di questa terra di confine, invasa in ogni forma possibile  (prima dal fascismo e poi dal nazismo), fino a perdere l’identità; così come la lingua (un misto di tedesco e italiano, che propriamente non è mai stato né l’uno né l’altro).

Resto qui del milanese Marco Balzano, classe 1978 e di professione insegnante, esorta a resistere contro tutto e tutti pur di rimanere ancorati alla propria terra e ai propri principi. Quando anche il Sud Tirolo viene raggiunto dallo scoppio della seconda guerra mondiale e la lingua madre viene minacciata, tanto che vengono cambiati persino i nomi sulle lapidi nei cimiteri, la parola rimane l’unica arma a disposizione, insieme alla volontà di ribellarsi. La protagonista è Trina, una donna forte e caparbia a cui l’avvento del fascismo ha impedito di svolgere il suo lavoro di insegnante nelle scuole tedesche e non si è mai lasciata lusingare da quel nazismo che, per questa terra dilaniata, forse ha potuto rappresentare l’abbaglio di una comoda opportunità. Quando il marito Erich si rifiuta di tornare al fronte a combattere, Trina non esita a seguirlo sulle montagne, diventando così la moglie di un disertore.

Alla storia civile abilmente romanzata, dove la guerra col suo scenario disumano di morte catalizza l’attenzione del lettore, questo romanzo aggiunge una tragedia privata. Che possiamo definire come la storia di un’assenza. Quella di una figlia scomparsa e di cui non si è più saputo nulla, a cui Trina scrive di continuo lettere che poi brucerà al fuoco del camino: un espediente per raccontare a se stessa che ci sarà un domani in cui sperare. E mentre il piccolo paese di Curon si svuota, dato che la fine della guerra non ha portato ai suoi abitanti alcuna pace, imperversa la preoccupazione di quella diga che si intende costruire, allagando giusto la piazza dove c’è la chiesa. E poco importa se almeno s’intenda salvare il campanile. I compaesani, anche chi fino ad ora è sempre rimasto come Trina e Erich, devono rinunciare alle loro radici. Scendere a patti con le autorità e accettare dei compromessi. Rassegnarsi a una nuova vita, sebbene Trina abbia sempre gli occhi rivolti a quella figlia, la quale ha conosciuto Curon e quindi avrebbe un unico posto dove tornare.

Resto qui è stato pubblicato da Einaudi nel febbraio 2018 e figura fra i dodici romanzi in lizza per il Premio Strega. Indipendentemente da come andrà a finire, credo che meriti di concorrere, perché è sempre importante occuparsi dei luoghi abbandonati che hanno conservato gli albori della nostra storia. Una denuncia delle barbarie subite dall’uomo in tempo di guerra e delle tante ingiustizie perpetrate. Ma soprattutto di quanto radicata sia la resilienza nel genere umano, capace di risollevarsi e continuare a vivere.

Forse perché dopo la guerra, insieme ai morti, bisogna seppellire tutto quello che si è visto e che si è fatto, scappare a gambe levate prima di diventare noi stessi macerie. Prima che gli spettri diventino l’ultima battaglia.

 

Resto qui
Marco Balzano
Einaudi, febbraio 2018
Pagine: 180
Prezzo: € 18,00

 

Cristina Biolcati

articolista, scrittrice e poetessa