La canzone italiana d’autore – Maria Ausilia Gulino

Per meglio introdurci alle origini della canzone italiana d’autore, Maria Ausilia Gulino indaga in profondità, andando nell’antica Grecia in cerca di Tindaro e delle sue liriche e, scrutando le Muse che davano ai giovani greci lezioni di Mousikè, insieme di arti comprendenti anche la musica, scopre il disagio dell’immobilità interpretativa del cantante-autore e la fissità di certi griot che fino a ieri potevano essere paragonati ai “cantastorie”, artisti di strada, ormai scomparsi nel nostro continente, che eseguivano la “cantata” accompagnati spesso con la chitarra, fino a penetrare in componimenti culturali di alto valore letterario, come quelli di Pascoli, Montale, Ungaretti ecc… per poi considerare la ventata musicale che accarezza l’animo di ognuno quando si ascoltano opere di  Chopin, Beethoven, Wagner. L’autrice si pone un quesito, che peraltro non ha regole fisse, cioè, se nasce prima il testo musicale o quello letterario, oppure se nascono in contemporanea. Sono queste realtà che esistevano ed esistono tutt’oggi, infatti osserva la produzione del testo letterario, senza musica, attribuito ai poeti siciliani, agli stilnovisti, a Petrarca e a Leopardi, per giungere, nel ‘500, alle “villanelle”, un ibrido di composizione dialettale e letteraria che ebbe la massima diffusione con l’accoppiamento alla musica fino al ‘700, per poi passare alle canzonette. La Francia da questo momento la fa da padrona fino agli inizi del ‘900 con i suoi “caffè concerto”, raccontando la “rivoluzione francese” e le cronache della “Belle Epoque”. Nel tardo ‘800 giunge a Roma la forma della canzone francese, entra nelle osterie con gli “Stornelli romani” e i “sonetti” celebrati per la festa di San Giovanni, nella seconda metà del ‘900 nasce la canzone d’autore, ciò che prima era opera di due soggetti adesso a scrivere parole e musica è solo uno.

Progenitore dei cantautori viene indicato Domenico Modugno, sostiene l’autrice, al quale si deve “l’unità di testo, musica e interpretazione”. Egli rigenerò la canzone con il dialetto, di cui Renato Carosone ne fu maestro, ruppe la tradizione melodrammatica interpretata da Nilla Pizzi e Claudio Villa e nacque una scuola in cui si cimentarono nuovi talenti di cantautori, i quali  arricchirono la musica italiana. I temi nuovi prepararono la “contestazione del 68”, le canzoni non erano più ripetitive, fu ciò che portò Luigi Tenco, per il suo stile nuovo, ad essere escluso dal festival di Sanremo e quindi al suicidio, confermando così lo stato di disagio del mondo giovanile. I testi dei cantautori penetrarono nel sociale e anche nei sentimenti individuali, abbracciarono la poesia in quel tempo un po’ marginalizzata, rivolgendosi a figure, come Salvatore Quasimodo, Pier Paolo Pasolini, Caproni, Moravia, Calvino, Fortini ed altri. Modugno iniziò col musicare “Ora che sale il giorno, Le morte chitarre” di Quasimodo e “Che cosa sono le nuvole” di Pasolini. Figli della guerra che lasciavano alle spalle una dittatura si trovavano ad essere impegnati, come scrive l’autrice, in tematiche universali, come “la libertà e dare un nuovo senso alla vita”, dove in modo preponderante si dispiegavano gli artisti francesi, a cominciare da Edith Piaf e Giuliette Greco, che sponsorizzavano “Sartre, de Beauvoir e Prévert”. Si scopre così Il valore documentario della canzone d’autore,  fino a svolgere un ruolo di protagonista del cambiamento della morale nel periodo considerato.

Queste canzoni ascoltate con tutta la nostra disponibilità a lasciarsi coinvolgere emotivamente, ci donano con estrema efficacia proprio la dimensione psicologico-emotiva di un rifiuto che veniva certamente opposto alla cultura dominante, ma non ancora in modo condiviso.

Sembra così che la musica d’autore rappresenti “ciò che non si può dire” e le parole “ciò che non può essere taciuto”, ciò ha fatto grande Domenico Modugno per il coraggio di rompere col passato e scrivere una pagina nuova dei cantautori, insieme a tutti coloro che l’hanno seguito. L’autrice suddivide gli appassionati di musica in “ascoltatore emotivo e ascoltatore colto” al punto che ognuno si affida alle proprie pretese interiorizzando il linguaggio ed ogni implicazione spirituale e culturale, fino a ricevere stimoli e a provare emozioni, forse prima assenti, per essere attratti in modo esistenziale. L’uomo, coinvolto in modo pieno dalla musica, viene piacevolmente indotto a creare una nuova arte, è infatti, attraverso la movenza dei passi e atteggiando le membra alle regole del ritmo musicale, che fa nascere il ballo, una interessante azione scenica che crea l’arte della danza accompagnata dalla musica. In effetti la musica non stimola soltanto i sensi, si appropria del corpo e, per mezzo dei suoni, esprime i sentimenti facendo vibrare l’anima. L’autrice va oltre, attribuisce al suono il potere di stabilire il decorso del tempo soggettivo, dove l’Io  apprezza e misura il tempo secondo la percezione della mente che, a volte, fa correre tanti pensieri e anche il battito del cuore, così, ascoltando la musica, il tempo non è omologo a quello segnato dall’orologio, nonostante la componente musicale a volte venga sminuita per esaltarne la componente linguistica… Per avvalorare questa tesi aggiunge l’analisi del testo prodotto da Luigi Tenco con “vedrai vedrai”, dove sprigiona tutta l’insofferenza dell’autore e la rabbia per le promesse non mantenute, tentando così di misurare nella libertà di espressione la forza del vivere, un’esperienza lontana dalla commercializzazione di un pensiero artistico, che si realizza nel bisogno già intrinseco del mittente alla ricerca di un destinatario, spesso anonimo, che accomuna emozioni e bisogni nel tentativo, spesso vano, di tradurre le idee in realtà. L’autrice parla di “parole che suonano” in quanto l’uso delle parole nella canzone è limitato alla funzione ritmica e al rispetto metrico, la differenza è dovuta alla tecnica della composizione usata dagli artisti oltre che il contenuto, è ciò che porta al successo una canzone anziché un’altra. L’autrice ci parla anche della diffusione del prodotto musicale, del difficile percorso da fare con la distribuzione, per la miriade di procedure di selezione e controllo, dove si innescano gli interessi delle industrie elettroniche, del disco, delle radio e delle televisioni, tanto che per sfruttare le esigenze di mercato organizzano Festival, concorsi a premi, turnèe, ecc., ma le canzoni che sopravvivono nel tempo, al di là delle selezioni delle industrie discografiche, sono le canzoni di valore che sopravvivono per le loro qualità musicali. L’autrice approfondisce la ricerca storica, in modo limpido, sulla riproduzione della musica ad iniziare dal “carillon”, un’indagine storica riservata non solo ai lettori che hanno familiarità con la musica e con le tecniche di riproduzione ma anche a quelli che vogliono iniziare ad addentrarsi in questo comparto, si parla del fonografo, del microfono, dell’altoparlante, del disco a 78 giri, di LP, di valvole termoioniche, della stereofonia e del 33 giri, del CD, fino a giungere all’HI-FI ed entrare nell’era internet, MP3 e i NAPSTER. L’autrice perviene, in ultimo, all’affermazione che, assemblate tutte le componenti che consentono la produzione musicale, per assecondare le esigenze di mercato, precisa che viene aggiunta l’immagine dell’artista, introdotta attraverso la produzione di una videoclip che affascina il pubblico con delle iconografie e un immaginario biografico distante dalla realtà. In definitiva l’autrice fa notare come la musica di oggi abbia un rapporto molto stretto con le nuove tecnologie anche se essa, nei secoli, ha dovuto fare sempre i conti con l’evoluzione sociale e tecnologica, ma adesso l’artista tiene di più alla propria identità, non è più disposto a cambiare metodo di produzione musicale e da ciò è facile capire perché oggi vi è una vasta gamma di musiche differenti, che spesso nascono dalle diverse immagini di stile dell’artista. Maria Ausilia Gulino così conclude:

A questo va aggiunto che la fruizione di musica fa parte di un più ampio consumo culturale, che ha assunto nel corso del tempo dimensioni gigantesche: la riflessione su questo fenomeno interessa i campi dell’antropologia, della sociologia, della psicologia e della storia.

Lo stile con cui l’autrice ha scritto questo saggio non ha sfiorato minimamente la sua fantasia in quanto ha costruito un percorso reale attingendo da una ricca e accurata bibliografia, che  mette in luce come il fare musica, accompagnata dalla cultura, serva a creare un’arte sublime e vera, generando effetti nell’animo umano e superando, quindi, ogni concezione mentale dell’armonico.

 

La canzone italiana d’autore
Maria Ausilia Gulino
Delos digital, 2017
Pagine 72
Ebook € 2,49

 

Franco Santangelo

Critico e Storico